RASSEGNA STAMPA

COME DISDIRE L’ADDEBITO DEGLI ELENCHI TELEFONICI IN BOLLETTA

La nuova truffa a danno dei consumatori riguarda gli elenchi telefonici addebitati in bolletta senza che l’utente abbia mai richiesto l’attivazione di questo servizio. Si tratta di un servizio che ormai credevamo scomparso anche perché effettivamente gli elenchi non vengono neanche realmente consegnati. 

A ciascuno di noi sarà capitato di trovare nell’androne del proprio atrio condominiale gli elenchi telefonici spediti dai diversi operatori come Pagine Bianche o Pagine Gialle. Ormai, con le nuove tecnologie e con l’utilizzo di internet, per trovare un numero di telefono non c’è più bisogno dell’elenco telefonico.

Tuttavia, alcuni operatori stanno continuando a far pagare ai consumatori il costo per la spedizione degli elenchi telefonici.

Il contribuente deve porre molta attenzione nella lettura dei dettagli indicati in bolletta. Per capire se il servizio relativo all’invio dell’elenco telefonico viene addebitato, solitamente si trova la voce “corrispettivo annuo consegna elenchi telefonici”. L’addebito avviene solitamente nelle bollette relative ai primi mesi dell’anno.

Ma come disdire il servizio o reclamare il pagamento di un servizio mai arrivato?

Sicuramente, una volta verificato l’addebito per il pagamento dell’invio dell’elenco telefonico mai pervenuto, la prima cosa da fare è quella di inviare una disdetta all’operatore che gestisce la linea telefonica di casa.

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IMPUGNAZIONE DI UNA CARTELLA ESATTORIALE PER VIZI PROPRI

Quando arriva una cartella esattoriale molti sono i motivi per cui essa può facilmente essere contestata dal contribuente. La legge prevede una decadenza che, di norma, è di 60 giorni dalla notifica del primo atto di accertamento (30 giorni per le contravvenzioni stradali). Ad esempio se la Regione ci invita a pagare il bollo auto e riteniamo che l’imposta non sia dovuta ci sono due mesi per contestare la richiesta di pagamento; se si lasca scadere questo termine l’atto diventa definitivo e non esisterà più alcun modo per opporvi.

Questo non vuol dire però che contro la cartella non vi sia possibilità di opporsi, ma tale possibilità è consentita unicamente per vizi inerenti alla formazione della cartella stessa .

Ecco cosa si intende quando si dice che è ammissibile solo l’impugnazione della cartella per vizi propri.

Ma quali sono i vizi propri di una cartella esattoriale?

Spesso accade che la cartella possa presentare vizi sorti nel momento della sua formazione o successivamente.

I vizi propri tipici della cartella esattoriale sono differenti, vediamone alcuni:

  • cartella priva di motivazione:  la cartella deve indicare le ragioni che ne determinano la sua emissione, facendo riferimento anche ad atti inviati in precedenza.  
  • cartella priva del criterio del calcolo degli interessi: la cartella deve spiegare come si è giunti a calcolare gli interessi specificando il tasso applicato per ogni singola annualità.
  • cartella notificata con pec in formato pdf: tecnicamente le cartelle notificate per posta elettronica certificata devono contenere l’allegato in formato p7m e non pdf, formato che permette al file di non essere modificato.
  • cartella caduta in prescrizione: potrebbe essere che la cartella, pur se corretta, sia caduta in prescrizione per il decorso del tempo.
  • cartella mai notificata: quando la cartella non è mai stata ricevuta dal contribuente.
  • cartella emessa dopo il termine di decadenza: se la cartella viene emessa oltre il termine fissato dalla legge (di solito pari a due anni per la notifica della cartella dal giorno in cui il tributo è stato iscritto a ruolo).
  • cartella già pagata o sospesa dall’autorità amministrativa o dal giudice.
  • cartella priva dell’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo.
  • cartella priva di uno dei suoi contenuti essenziali : ad esempio  l’intimazione al pagamento entro il termine di 60 giorni dalla notifica,; l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo; il numero identificativo della cartella; l’ente titolare del credito per il quale l’esattore sta agendo, le generalità del debitore (codice fiscale, dati anagrafici, ecc.); l’anno o il periodo di riferimento del credito; l’importo di ogni tributo iscritto a ruolo; il totale degli importi iscritti a ruolo; il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata fatta l’iscrizione a ruolo.

Questi e tanti altri sono i motivi sulla base dei quali si può procedere all’impugnazione di una cartella di pagamento per vizi sorti nel momento della sua formazione.

Per cui, dal momento in cui si riceve una cartella, è sempre bene leggere attentamente cosa contiene e se all’interno della stessa vengono regolarmente indicati gli elementi essenziali.

In alternativa, è consigliabile sempre farla visionare da un esperto.

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LA RATEIZZAZIONE DI BOLLETTE ESORBITANTI: LE NUOVE REGOLE DA CONSIDERARE

La legge di Bilancio 2022 ha previsto una nuova modalità di rateizzazione delle bollette disciplinando che “gli esercenti la vendita sono tenuti a offrire al cliente finale un piano di rateizzazione di durata non superiore a dieci mesi, che preveda il pagamento delle singole rate con una periodicità e senza applicazione di interessi a suo carico, secondo le modalità definite dall’ARERA”.

In questo periodo in cui si sono registrati enormi rincari, l’ARERA ha stabilito delle regole precise da seguire affinché la rateizzazione possa essere quanto più conveniente per il contribuente che si trova in difficoltà nel pagamento di importi elevati dovuti all’aumento dei prezzi.

Il cliente che, in precedenza, riceveva una maxi bolletta o una fattura che non poteva pagare doveva necessariamente aspettare la scadenza per richiedere la rateizzazione. Quest’ultima era possibile soltanto nel momento in cui il fornitore inviava un sollecito di pagamento.

In realtà questa disciplina voluta dal legislatore è ancora valida ma le modalità di queste diverse rateizzazioni variano da azienda ad azienda. Alcune infatti, contrariamente a ciò che è stato definito dal legislatore, prevedono la possibilità del pagamento di un anticipo. Quello che è importante in questo periodo di rincari è che tutte le compagnie  hanno deciso di superare il limite fondamentale della legge: infatti, ad oggi, la rateizzazione può essere richiesta non appena la fattura è emessa senza dover aspettare che scada.

In questo ultimo periodo, infatti, sono state richieste delle modifiche sostanziali per semplificare e rendere efficace le rateizzazioni delle bollette relative alla fornitura di luce e gas nei confronti dei contribuenti.

Tre le più importanti:

  • consentire di rateizzare senza che la fattura debba prima scadere;
  • prevedere una prima rata pari al 25% del totale e non del 50% come avveniva precedentemente;
  •  la frequenza delle rate non deve tener conto della frequenza di fatturazione ma viene concordandola tra le parti;
  • cercare di mantenere la non applicazione degli interessi di dilazione;
  • prevedere la possibilità di piani di rateizzazione superiori ai 10 mesi.

È sempre bene consultare un esperto qualora queste norme non vengano rispettate.

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AUTOVELOX: QUANDO LA MULTA E’ NULLA

Quando si parla di multe per eccesso di velocità rilevate da un autovelox bisogna far riferimento all’art. 201 del Codice della Strada. Quest’ultimo specifica che, laddove non sia possibile la contestazione immediata della violazione stradale, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro 90 giorni dall’accertamento.

Ma attenzione: i 90 giorni per la notifica del verbale decorrono dal giorno in cui è stata commessa

l’infrazione.

E’ spesso accaduto in passato che i Comandi di Polizia Locale di molti Comuni italiani hanno interpretato tale disposizione decidendo che la contravvenzione per eccesso di velocità fotografata dall’autovelox dovesse essere notificata al trasgressore entro 90 giorni da quello in cui avveniva l’accertamento da parte dell’organo amministrativo, che non coincideva con il giorno in cui veniva commessa l’infrazione.

Ma non è così.

La multa per eccesso di velocità rilevata da un autovelox notificata oltre i 90 giorni dal momento in cui l’automobilista ha commesso l’infrazione, è illegittima. È però necessario che il contribuente ne richieda l’annullamento.

Per procedere con la richiesta il trasgressore deve contestare la multa tramite la presentazione di un ricorso davanti al Giudice di Pace. Quest’ultimo deve avvenire entro il termine di 30 giorni dalla notifica della multa.

Se, invece, il ricorso viene presentato al Prefetto, il termine è di 60 giorni dalla notifica della trasgressione a danno del conducente del veicolo.

In caso di omessa impugnazione da parte dell’automobilista, il verbale diventa definitivo e dovrà essere ugualmente pagato, con l’aggravio di interessi e maggiorazioni, anche se è da considerarsi illegittimo.

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COME INVIARE UN RECLAMO IN CASO SI VERIFICHINO PERDITE D’ACQUA

Il servizio idrico è uno dei settori nei quali ha cominciato a registrarsi una notevole varietà di disservizi e problemi per i consumatori.

Saper leggere la bolletta dell’acqua è fondamentale per capire se si sta pagando il giusto e per inviare subito un reclamo in caso di disservizi ed errori di fatturazione.

I disservizi che si manifestano in misura più frequente sono:

  • problemi relativi ai ritardi nell’attivazione della fornitura;
  • fatture con consumi anomali e letture errate;
  • problemi legati al malfunzionamento del contatore;
  • disservizi relativi a interventi tecnici;
  • errori nelle volture;
  • maxi-conguagli.

Può a volte capitare che si verifichi una perdita d’acqua che viene registrata dal contatore ma di cui il consumatore non si accorge. Tale perdita viene definita “occulta” ed è la causa dell’emissione di fatture di importi esorbitanti.

E’ consigliabile, in questi casi, chiedere l’applicazione della “depenalizzazione tariffaria” in modo tale da ridurre l’importo da pagare.

Può inoltre capitare che si verifichino dei maxi-conguagli. In questo caso è necessario richiedere l’applicazione della prescrizione breve che è stata introdotta da poco anche nel settore idrico.

Questa prevede che gli importi oggetto di fatturazione possano esser solo quelli relativi ai consumi degli ultimi due anni.

Affinché ciò venga applicato è però indispensabile richiedere formalmente l’applicazione della prescrizione al venditore. La suddetta procedura avviene tramite i moduli e i canali che obbligatoriamente devono essere messi a disposizione nella fattura di conguaglio dal gestore.

Se si è vittima di disservizi il primo passo è sempre quello di inviare un reclamo scritto al gestore.

Quest’ultimo ha 40 giorni solari di tempo per rispondere in forma scritta e motivata al reclamo inviato dal consumatore.

Nel caso in cui non si riceve alcuna risposta o questa non è soddisfacente per il consumatore, il passaggio successivo è quello di attivare una conciliazione.

Trattandosi una procedura stragiudiziale, non è necessaria l’assistenza di un legale.

È sempre bene e consigliato richiedere comunque l’assistenza qualificata di un esperto.

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COSA FARE SE IL BONUS SOCIALE NON VIENE APPLICATO IN BOLLETTA?

La nuova procedura per ottenere il bonus sociale in vigore dal 1° gennaio 2022 prevede il riconoscimento automatico del bonus in bolletta, senza quindi la necessità di fare alcuna domanda.

Condizione essenziale è che l’attestazione ISEE rilasciata dall’INPS non deve essere superiore a 12.000 euro e a 20.000 per le famiglie numerose se si vuole usufruire del bonus.

Secondo quanto previsto dal Decreto Aiuti n. 50/2022 l’agevolazione sarà riconosciuta anche retroattivamente a decorrere dall’inizio dell’anno qualora il modello ISEE sia stato presentato tardivamente.

Cosa fare se ancora non è stato applicato alcun bonus sulle bollette di luce e gas?

Dopo la presentazione della DSU (dichiarazione sostitutiva unica) da parte del contribuente, il sistema predisposto impiega circa un mese al fine di:

  • individuare la fornitura diretta intestata ad uno dei componenti del nucleo familiare ISEE;
  • effettuare le previste verifiche di ammissibilità sulla fornitura;
  • trasmettere agli operatori competenti i dati necessari per erogare il bonus in bolletta agli aventi diritto.

Dopo aver verificato questi dati, il bonus viene applicato dagli operatori all’interno della prima fattura successiva alla ricezione dei dati.

Dunque l’applicazione del bonus sociale dipende in primis dalla frequenza di fatturazione.

Potrebbe essere questo uno dei motivi per i quali chi ha presentato l’ISEE negli scorsi mesi potrebbe ancora non veder riconosciuto il bonus sociale nella bolletta ricevuta dal proprio operatore.

Se ci troviamo poi di fronte a forniture condominiali centralizzate, diverse sono le regole da considerare. In questo caso i tempi di erogazione potrebbero dipendere dalle tempistiche relative alla fornitura del codice PDR da parte del cittadino. Si tratta di un codice che identifica la fornitura condominiale, indispensabile per l’emissione del bonifico con il quale viene riconosciuto il contributo al cittadino.

Per l’erogazione del bonus bollette è necessario, quindi, considerare i tempi tecnici precisi.

Si consiglia di pazientare se non è ancora stato applicato ma si rientra in una delle ipotesi di cui sopra.

Se, nonostante il modello ISEE sia stato presentato per tempo, non è stato ancora erogato il bonus, si consiglia di consultare un esperto.

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UNA CARTELLA ESATTORIALE NON E’ SEMPRE DOVUTA

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Non sono pochi i casi in cui il tributo richiesto dall’agenzia delle entrate non è dovuto e questo accade nella maggior parte dei casi o per errata compilazione nelle dichiarazioni o perché c’è stata una difficoltà da parte dei sistemi informativi di far quadrare i dati della dichiarazione ed in tal modo sono generate in automatico le cartelle di pagamento.

Le cartelle esattoriali dovrebbero sempre essere precedute da una avviso bonario ossia quella comunicazione con cui l’Agenzia delle entrate invita il contribuente a sanare la situazione con una sanzione minima pari al 10% del tributo considerato omesso o carente.

Accade spesso che una cartella di pagamento non è dovuta a causa dell’avvenuto pagamento del tributo. Questo può dipendere sia da un errore di compilazione del modello di pagamento da parte del contribuente o di chi lo predispone per lui oppure da altri inconvenienti.

A volte è capitato, ad esempio, che l’anagrafica di un contribuente è stata associata a quella di una società pur trattandosi di una persona fisica. Quando accadono questi malintesi il tempo perso per dimostrare il pagamento avvenuto nei confronti del fisco costa e anche in questo caso si dovrà far valere le proprie ragioni presentando ricorso.

Ma sono diversi i casi in cui una cartella può non essere dovuta. A volte i termini sono scaduti da talmente tanto tempo che non si capisce perché le inviino.

Uno dei consigli da prendere in considerazione è quello, nel caso in cui il contribuente si rechi all’Agenzia delle Entrate e della Riscossione,  di richiedere un estratto delle pendenze tributarie.

Se queste somme risultano dovute, esse devono far riferimento ad un numero di cartella di pagamento regolarmente notifica pena la nullità della pretesa da parte dell’Ente che si occupa della riscossione. È opportuno, nel caso in cui la cartella non è stata mai ricevuta, farsi fare anche una relata di notifica in modo da vedere chi ha ricevuto quella raccomandata contenente la cartella di pagamento. Se quest’ultima non è in possesso dell’Agenzia della Riscossione è probabile che non si attivino per richiedere quelle somme perché sanno che in contenzioso il contribuente potrebbe avere ragione.

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COME IMPUGNARE UNA MULTA IN DIVIETO DI SOSTA

Una multa avutasi a seguito di un divieto di sosta può essere oggetto di svariati vizi o può non aver colto alcune circostanze. È pertanto possibile, in questi casi, un ricorso al Giudice di Pace o un ricorso al Prefetto.

Conviene comunque e sempre valutare attentamente le spese da sostenere: l’impegno nel cimentarsi in un ricorso vale l’importo della sanzione?

Vediamo insieme i più comuni motivi per cui può essere impugnata una multa in divieto di sosta.

Le sanzioni vanno infatti da un minimo di € 41 a importi più significativi nel caso in cui si intralcino i mezzi pubblici (solitamente da € 85 a € 338) o altre attività private, come altri veicoli in sosta oppure passi carrabili (in questo caso la sanzione va da un minimo di € 41 ad un massimo di € 168) . Nei casi più gravi si arriva anche alla decurtazione di 2 soli punti della patente. Esiste, in tutti i casi sopra citati, sempre la possibilità di riduzione del 30% qualora il pagamento avviene entro 5 giorni.

Cosa è opportuno verificare per impugnare una multa in divieto di sosta?

Innanzitutto bisogna verificare il numero di targa che spesso potrebbe incombere in un errore d’ufficio, oppure l’errore potrebbe essere fatto nell’indicare la marca o il modello dell’auto che non coincide con quella posseduta dal cittadino.

Altra verifica da effettuare è quella relativa ai giorni: della presunta infrazione al momento in cui il verbale è arrivato a casa non devono essere trascorsi più di 90 giorni.

Anche se a volte si è ritenuto di non imputare all’Ente la colpa per il ritardo nella notifica da parte dell’Ufficiale o del servizio postale, questo è uno dei più validi motivi per impugnare una multa.

A volte accade che la segnaletica che impone i divieti non è approvata in una delibera i cui estremi dovrebbero essere riportati sul dorso del cartello. Se sul su quest’ultimo non è scritto nulla, il suggerimento è quello di chiedere alla Polizia locale gli estremi della delibera che abbia disposto il divieto di sosta in quella specifica zona. Se questa manca, potrebbe essere oggetto di uno dei motivi per l’impugnazione.

Da verificare sono anche i poteri del soggetto che ha contestato l’infrazione. Infatti, non ogni divisa è autorizzata a lasciare una multa di divieto di sosta sul veicolo.

Può però accadere che la multa sia perfettamente lecita, ossia che il veicolo sia effettivamente in divieto di sosta e che chi ha accertato l’infrazione sia munito dei legali poteri. Tuttavia le circostanze del caso possono rendere il trasgressore non responsabile.

Infatti, se consideriamo il principio dello stato di necessità come motivo di non punibilità, l’art. 4 della Legge n. 669 ci dice che: “non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”.

In caso in cui si lascia un veicolo in divieto di sosta per mettere sé stessi o altri al riparo da un pericolo, è possibile impugnare il verbale ricevuto.

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QUANDO E’ POSSIBILE ANNULLARE UNA MULTA PRESA IN ZONA A TRAFFICO LIMITATO?

L’art. 7 Comma 14 Codice della Strada ci dice che:

“la violazione del divieto di circolazione nelle corsie riservate ai mezzi pubblici di trasporto, nelle aree pedonali e nelle zone a traffico limitato è soggetta alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 83 a € 332”.

Sappiamo bene che le Zone a Traffico Limitato sono quelle dove l’accesso è consentito solo ai veicoli con determinate caratteristiche. Solitamente si parla di veicoli meno inquinanti o di auto appartenenti ai residenti, o ancora a coloro che acquistano il ticket d’ingresso.
Per cui  tutti i veicoli che tentano di accedere e che non si trovano nelle categorie indicate,  verranno identificati dalle telecamere attive che provvederanno all’invio di multe per ZTL.

Dal momento che siamo in presenza  di un pericolo scarso, per le multe ZTL non è prevista la decurtazione di alcun punto della patente. Tuttavia devono essere considerate le spese di identificazione del trasgressore a partire dalla targa rilevata.

Per quanto riguarda la sanzione è prevista una riduzione del 30% nel caso di pagamento effettuato entro 5 giorni dal ricevimento del verbale. Si rinuncia, in questo caso, al ricorso innanzi al Giudice di Pace o al Prefetto.

Le telecamere sono in grado di riconoscere, in base alla lettura della targa, i veicoli che siano autorizzati ad accedere alla zona a traffico limitato.

Può, tuttavia, capitare che soggetti aventi diritto non vengano riconosciuti e quindi devono ricorrere allo strumento del ricorso. Prendiamo l’esempio dei disabili: si tratta di passeggeri o conducenti ai quali è sempre garantito l’accesso alla zona ZTL.

Ci sono stati casi diversi casi in cui il Giudice di Pace ha provveduto ad annullare le multe ZTL.

Ad esempio quando la dicitura “varco attivo” aveva tratto in inganno il conducente. Quest’ultimo ha interpretato la scritta come un “passaggio consentito”. Altri Giudice di Pace, invece, hanno ritenuto necessaria una distanza non inferiore a 80 metri tra il segnale e la telecamera, e una visuale libera per 80 metri prima della segnaletica. Altri ancora hanno ritenuto di annullare le multe ZTL a causa della mancata omologazione dei dispositivi impiegati.

In prossimità di ogni accesso per zona a traffico limitato dovrebbe essere posta una segnaletica chiara che indichi l’inizio di una ZTL e definisca le condizioni di accesso.

Contro le multe ZTL ci si può difendere in diversi modi.

Si può provvedere all’invio di un’istanza di annullamento in autotutela presso l’Ente accertatore, attraverso un’opportuna documentazione che indichi e provi le proprie ragioni.

In caso di mancata risposta o nel caso in cui quest’ultima non soddisfi il contribuente, è possibile procedere con un ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica dell’infrazione o con ricorso al Prefetto entro 60 giorni.

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COSA SUCCEDE IN CASO DI PRESENTAZIONE DI UN RICORSO

Gli accertamenti notificati a ciascun contribuente prevedono la possibilità di pagare entro 60 giorni. C’è però la possibilità presentare ricorso o istanza per la mediazione da parte dello stesso contribuente.

L’accertamento fiscale riguarda le imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e giuridiche (IRES), l’IRAP e l’addizionale regionale e comunale, ritenute d’acconto e l’imposta sul valore aggiunto (IVA).

La cartella di pagamento, invece, comprende il pagamento delle imposte indirette quali possono essere le imposte di registro, di successione, ipotecaria e catastale e le somme che scaturiscono da controlli automatizzati da parte dell’agenzia delle entrate o dai controlli formali.

Ma cosa succede se il contribuente decide di presentare ricorso?

Deve essere chiaro che anche nel caso di presentazione del ricorso, il contribuente è dovuto a pagare comunque 1/3 della maggiore imposta accertata.

Per cui, se ad esempio è stato contesto l’omesso versamento di IRES per 1.500 euro, anche nell’ipotesi in cui è stato presentato ricorso dinnanzi alla commissione tributaria, il contribuente è tenuto al pagamento di 500 euro.

Quando l’accertamento diviene esecutivo?

Scaduti i 60 giorni l’accertamento notificato al contribuente viene affidato al concessionario della riscossione dopo 30 giorni. L’agenzia della riscossione si occuperà della riscossione delle somme dovute dal contribuente.

Ma questo non avviene subito: prima devono trascorrere almeno 180 giorni.

Dunque, dalla notifica al contribuente all’azione esecutiva da parte dell’Agenzia della Riscossione trascorrono circa 270 giorni (60+30+180=270).

L’agenzia della riscossione può decidere, in questo lasso di tempo, di attivare anche azioni che seppur non sono esecutive sono cautelari e conservative come, ad esempio, il fermo amministrativo sul veicolo del contribuente o l’ipoteca sulla casa o sulla sede sociale o su uno stabilimento.

Se però l’importo richiesto dall’Ente è tale da provocare un danno grave ed irreparabile per la continuità dell’operatività aziendale il contribuente accertato può presentare istanza di sospensione al giudice tributario. Quest’ultima viene accolta dal giudice dopo che avrà analizzato che le motivazioni contenute nell’istanza siano valide.

Se la sospensione viene accolta le somme non saranno dovute fino alla sentenza di primo grado.

Qualora, invece, la sentenza sia sfavorevole, il contribuente è dovuto al pagamento delle somme non pagate alle quali si aggiungeranno gli interessi legali.

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