RASSEGNA STAMPA

ASSENZA AFFETTIVA NELLA VITA DEI PROPRI FIGLI: GENITORE CONDANNABILE

Il genitore che si disinteressa dei propri figli è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale. Questa condotta rappresenta un illecito civile che incide in modo significativo sull’identità personale del bambino tanto da non poter essere compensata né dalla presenza dell’altro genitore né da un aiuto economico.

Ma non solo: l’assenza potrebbe avere anche risvolti penali.

I doveri genitoriali non si esauriscono nel semplice mantenimento, ma includono anche l’educazione, l’istruzione e l’assistenza morale.

Secondo la legge il genitore assente nella vita dei figli deve essere condannato a risarcire il danno agli stessi procurato. Tale risarcimento è dovuto non tanto per aver fatto mancare alla prole un sostegno economico quanto per il vuoto affettivo causato dall’assenza.

La privazione della figura genitoriale, agli occhi del legislatore e dei giudici, rappresenta una forma di illecito civile che giustifica un’azione risarcitoria del danno non patrimoniale, da liquidarsi tenendo conto di specifiche tabelle elaborate dal tribunale di Milano e prendendo come riferimento il periodo che va dalla nascita del bambino alla sentenza di condanna del genitore assente.

Attenzione però: può essere sanzionato anche chi ostacola la frequentazione tra il genitore e il figlio, in quanto tale condotta è lesiva del diritto del minore alla bigenitorialità.

Ricordiamo che il genitore assente che ometta di corrispondere il mantenimento alla prole rischia anche una condanna per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, punito dal Codice penale con la multa fino a 1.032 euro e la reclusione fino ad un anno.

La responsabilità sussiste solo qualora l’autore non corrisponda il contributo economico consapevolmente e ripetutamente.

Inoltre, la formazione di una nuova famiglia non è una scusa valida per infischiarsene dei figli avuti precedentemente . Anche colui che ha intrapreso una nuova convivenza e abbia avuto altri bambini è comunque tenuto ad assumersi le proprie responsabilità genitoriali.

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QUANDO E’ POSSIBILE LICENZIARE UN LAVORATORE IN MALATTIA

Ciò che tutti sanno è che fin quando il dipendente risulta malato ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro per tutto il «periodo di comporto», ossia un arco di tempo, individuato dal contratto collettivo, in cui l’azienda è tenuta a tollerare l’assenza.

Se, invece, la malattia non dura più del comporto, il lavoratore ormai guarito ha diritto a riprendere il proprio posto.

Se la malattia dovesse protrarsi oltre il comporto il datore di lavoro ha la possibilità  di risolvere definitivamente il contratto di lavoro senza obbligo di ulteriori motivazioni.

Esistono dei casi in cui è possibile licenziare un dipendente malato

Licenziamento di un lavoratore in malattia per motivi disciplinari

Il licenziamento disciplinare può essere inflitto nonostante l’assenza del lavoratore. Il dipendente che si mette in malattia non evita le sanzioni per condotte poste in precedenza. Il datore di lavoro potrebbe infatti accorgersi dell’illecito solo in un momento successivo alla presentazione del certificato medico.

Licenziamento di un lavoratore in malattia per motivi disciplinari successivi alla malattia

La condotta illecita del lavoratore che può determinare il licenziamento disciplinare può essere commessa anche durante l’assenza per malattia. Anche quando malato, il lavoratore deve tenere un comportamento ligio e fedele.

Non può ad esempio:

  • pregiudicare la guarigione compiendo attività che potrebbero aggravare o rallentare il decorso della malattia. Il dipendente deve collaborare per fare in modo di tornare sul lavoro il prima possibile;
  • fingersi malato, presentando un falso certificato medico;
  • rendersi irreperibile alle visite fiscali, ossia ai controlli del medico dell’Inps;
  • compiere, durante la malattia, un secondo lavoro in concorrenza con il proprio datore;
  • compiere, durante la malattia, attività pregiudizievoli per l’azienda come, ad esempio, la pubblicazione di post sui social rivolti contro il datore di lavoro.

Licenziamento per crisi o riorganizzazione

Il licenziamento economico è anche quello dettato dalla riorganizzazione dell’azienda e del personale, dalla razionalizzazione dei costi del personale, dalla esternalizzazione dei compiti, dall’obiettivo di realizzare maggiori utili.

Esso  può essere intimato anche in costanza di malattia del lavoratore. Ciò implica che il datore, prima di procedere alla risoluzione unilaterale del contratto di lavoro, deve verificare se il dipendente può essere adibito ad altre mansioni compatibili con la sua formazione e competenza.

Licenziamento per superamento del comporto

Il superamento del periodo di tollerabilità dell’assenza del lavoratore  il recesso del datore di lavoro. Non è necessario dimostrare il giustificato motivo oggettivo .

Il datore di lavoro potrebbe licenziare il dipendente anche dopo che questo, terminata la malattia, ha ripreso a lavorare, al fine di valutare la sua compatibilità con l’ambiente di lavoro e l’utilità residua della sua prestazione. L’importante è che non passi troppo tempo tra il rientro e il licenziamento.

Il lavoratore che vuole impedire il licenziamento per superamento del comparto può interrompere il periodo di comporto mettendosi in ferie.

In questo caso, il decorso del periodo di comporto si interrompe e il dipendente può evitare il licenziamento sfruttando i giorni delle ferie per l’ulteriore convalescenza.

Attenzione però: il licenziamento per superamento comporto non può mai essere inflitto quando la malattia del dipendente dipende dalla mancata adozione delle misure di sicurezza sul lavoro da parte del datore. Il dipendente che si infortuna per causa dell’azienda ha diritto alla conservazione del posto di lavoro anche oltre il periodo di comporto, potendo pertanto stare a casa fino a guarigione completamente avvenuta.

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QUANDO L’ACCUNT DI FACEBOOK CI VIENE CANCELLATO E COME REAGIRE

Tutti i social network hanno regole precise di accesso e di conservazione dell’account. Sappiamo molto bene infatti che anche on-line esistono delle regole di condotta che non si dovrebbero mai violare. Facebook è molto attento a questo aspetto, tanto che in certi casi, se si esagera, provvede in autonomia a disabilitare l’account.

Alcuni esempi di quelle che possono essere le cause che portano alla disabilitazione non richiesta dell’account Facebook sono:

  • pubblicazione di contenuti che contrastano con le condizioni dell’accordo di Facebook;
  • utilizzo di un nome falso;
  • furto dell’identità altrui ;
  • azioni ripetute non ammesse su Facebook perché contrarie agli Standard della comunità;
  • contatti finalizzati a molestare, a farsi pubblicità o a promuoversi con altre persone;
  • altre condotte non consentite.

Il primo passo da fare è quello di seguire la procedura consigliata dal social nella pagina dedicata del Centro di Assistenza, inviando il modulo reperibile alla seguente pagina, se si ritiene che il proprio account sia stato disabilitato per un errore e prima della disabilitazione Facebook non ha fornito le informazioni necessarie a comprendere ragioni della disabilitazione.

In genere il centro assistenza non fa attendere molto per una risposta, nel giro di 24-48 ore si è in grado infatti di conoscere i motivi della decisione.

Dall’ordinanza del 10 marzo del 2021 del Tribunale di Bologna si apprende inoltre che è possibile chiedere il risarcimento del danno in caso di disabilitazione dell’account Facebook, per le ragioni illustrate nella motivazione del provvedimento:

  • tra le parti si instaura un rapporto negoziale oneroso “posto che il contratto è fondato su un evidente sinallagma, per cui alla prestazione del servizio da parte del gestore corrisponde il suo interesse ad utilizzare i contenuti, le reti di relazioni e i dati personali dell’utente, a fini di raccolta pubblicitaria”;
  • “la rimozione di contenuti e la sospensione o cancellazione di account è prevista soltanto per le giuste cause indicate nel regolamento contrattuale, con obbligazione per il gestore di informare l’utente delle ragioni della rimozione”. Ne consegue che la rimozione di un profilo personale o di una pagina a esso collegata in carenza di qualsiasi violazione delle regole contrattuali da parte dell’utente, e in carenza di qualsiasi informazione all’utente delle ragioni della rimozione, configura un inadempimento del gestore, inquadrabile ai sensi dell’art. 1218 c.c.”;
  • Facebook nel caso di specie è risultata inadempiente e quindi responsabile contrattualmente nei confronti dell’utente perché non ha mai motivato le ragioni del suo recesso. Lo stesso ricorrente ha infatti “manifestato il dubbio che la rimozione fosse da ascrivere ad una valutazione di natura politica o etica rispetto al contenuto di suoi messaggi o post (trattandosi di persona politicamente attiva e evidentemente interessato alla vita militare), ma la resistente non ha dedotto alcuna violazione degli standard contrattuali, non ha allegato affatto la pubblicazione di post offensivi, discriminatori o razzisti, o di notizie false, i quali avrebbero ben potuto motivare, e giustificare senz’altro, la reazione del gestore per violazione degli standard contrattuali, anche con la rimozione dell’account”;
  • “L’esclusione dal social network, con la distruzione della rete di relazioni frutto di un lavoro di costruzione durato, in questo caso, dieci anni è suscettibile dunque di cagionare un danno grave, anche irreparabile, alla vita di relazione, alla possibilità di continuare a manifestare il proprio pensiero utilizzando la rete di contatti sociali costruita sulla piattaforma e, in ultima analisi, persino alla stessa identità personale dell’utente, la quale come noto viene oggi costruita e rinforzata anche sulle reti sociali. Tal danno non è facilmente emendabile creando un nuovo profilo personale e nuove pagine, atteso che resta la perdita della rete di relazioni, la quale viene costruita dagli utenti del social network con una attività di lungo periodo e non semplice”;
  • “appare equo stimare il danno di natura non patrimoniale in concreto patito dal ricorrente in € 10.000,00 per il profilo personale, che involge più direttamente tratti direttamente connessi con diritti personali, ed € 2.000,00 per ognuna delle due pagine che, pur essendo anch’esse espressione della sua vita di relazione, appaiono connesse a interessi di natura più squisitamente hobbistica del resistente”.

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COSA CAMBIA PER I LAVORATORI ITALIANI IN SEGUITO AL SALARIO MINIMO APPROVATO DALL’EUROPA

Il salario minimo europeo è stato approvato in via definitiva dal Parlamento con 505 voti favorevoli, 92 contrari e 44 astensioni. Il Consiglio dovrebbe approvare formalmente l’accordo a settembre, e poi il testo diventerà legge. I Paesi Ue avranno due anni di tempo dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale europea per adeguarsi alla direttiva.

L’obiettivo è quello di garantire un tenore di vita dignitoso, tenendo conto del costo della vita e dei più ampi livelli di retribuzione. Le norme Ue rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari. Inoltre, sarà rafforzata la contrattazione collettiva nei paesi in cui è coinvolto meno dell’80% dei lavoratori.

Ma cosa cambia per lo stipendio degli italiani?

In realtà ancora non è chiaro cosa succederà in Italia. Le elezioni politiche del 25 settembre faranno da ago della bilancia. Di base, il Pd propone il salario minimo a 9 euro l’ora, la stessa cifra proposta anche dal Movimento 5 Stelle. Sinistra Italiana e Verdi propongono il salario minimo a 10 euro l’ora (corrispondenti a 1.200 euro al mese), mentre gli altri partiti rimangono su formule più vaghe, proponendo «salari adeguati ed equi».

La direttiva dispone che non è necessario fissare per legge un minimo se la copertura dei contratti collettivi raggiunge l’80% dei lavoratori, e in Italia il tetto è già raggiunto. Per questo motivo, continua la direttiva, si potrebbe optare per il rafforzamento e l’estensione a tutti i lavoratori dei minimi già stabiliti per settore.

Il ministro del Lavoro Orlando aveva già provato a farlo, anche con incontri con le parti sociali, ma l’accordo non è andato in porto con la caduta del governo.

Viene introdotto l’obbligo per i Paesi UE di istituire un sistema di monitoraggio affidabile, controlli e ispezioni sul campo, per garantire conformità e contrastare i subappalti abusivi, il lavoro autonomo fittizio, gli straordinari non registrati o la maggiore intensità di lavoro.

Attualmente in Europa, su 27 Paesi ce ne sono 21 in cui sono previste retribuzioni minime nazionali, naturalmente di importo diverso. Gli altri sei (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) determinano i livelli salariali sulla base della contrattazione collettiva delle retribuzioni.

Secondo i dati Eurostat, il più basso è il salario minimo della Bulgaria (332 euro), quello più alto è in Lussemburgo (2.257 euro). In generale, i salari minimi più alti sono accordati in Lussemburgo, Irlanda e Germania; quelli più bassi in Bulgaria, Lettonia ed Estonia.

Il salario minimo rimane sotto i 1.000 euro in (Est, Baltici, Grecia, Portogallo), si alza leggermente rimanendo tra i 1.000 e i 1.500 euro in Slovenia e in Spagna.

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COSA SUCCEDE SE RIFIUTO LA NOTIFICA DI UNA CARTELLA ESATTORIALE?

Se ci rifiutiamo di ricevere un atto da parte dell’ufficiale giudiziario o una cartella esattoriale perché così facendo, pensiamo che la cartella non risulterà mai notificata, bene sappiate che questa è una pessima scelta.

Il legislatore, infatti, dopo aver superato determinate formalità, considera la notifica come correttamente avvenuta. La conseguenza è che il destinatario non ne potrà mai conoscere il contenuto.

È necessario distinguere a seconda che la notifica venga effettuata da parte di un ufficiale giudiziario (notifica a mani) o dal postino (notifica a mezzo posta).

Se la notifica è effettuata da un ufficiale giudiziario, quando quest’ultimo non è stato in grado di eseguire la consegna della cartella o dell’atto per irreperibilità del destinatario, l’ufficiale giudiziario compie tra atti fondamentali:

  • deposita la copia nel Comune dove la notifica deve eseguirsi;
  • affigge avviso del deposito alla porta dell’abitazione del destinatario;
  • informa il destinatario dell’affissione tramite l’invio di una successiva raccomandata con avviso di ricevimento.

Trascorse queste tre fasi, la notifica dell’atto si considera avvenuta nel giorno del deposito, ed è irrilevante la data in cui il destinatario ritiri materialmente la cartella al Comune.

Quando, invece, la notifica avviene a mezzo posta, l’omessa consegna dell’atto per assenza del destinatario comporta una procedura diversa dalla precedente.

Il postino, in questi casi, deposita la busta mai pervenuta nello stesso giorno presso l’ufficio postale preposto alla consegna.

Successivamente, informa il destinatario mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

L’avviso deve contenere l’espresso invito al destinatario a provvedere al ritiro della lettera che il postino non è riuscito a consegnate, e avverte che la notifica si considera comunque avvenuta trascorsi dieci giorni dalla data del deposito da parte dell’impiegato postale.

Possiamo dunque concludere che: anche quando il destinatario dell’atto non sia presente, sia incapace o si rifiuti di ritirare l’atto, la notifica si considera comunque eseguita.

Per cui il rifiuto è totalmente inutile: meglio ritirare l’atto. In questo modo il contribuente ha l’opportunità non solo di conoscerne i contenuti ma anche di non far scadere i termini per un eventuale ricorso.

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MANCATO PAGAMENTO DEL BOLLO AUTO: QUANDO ASPETTARSI LA CARTELLA ESATTORIALE?

Il bollo auto è una tassa che tutti gli automobilisti sanno di dover pagare ogni anno.

Si tratta di un’imposta regionale il cui importo varia in base a determinati fattori quali la regione di residenza, la cilindrata dell’auto, l’impatto ambientale del veicolo.

Ogni vettura di proprietà, a prescindere dalla circolazione dell’auto, è soggetta al pagamento del bollo.

Il mese di riferimento per il pagamento è quello che corrisponde all’immatricolazione del veicolo. Se la data annuale per il pagamento del bollo auto scade, il proprietario dovrà pagare l’imposta comprensiva di more ed interessi.

Capita spesso che l’automobilista dimentichi di pagare il bollo auto. In questo caso potrebbe arrivare la cartella esattoriale comprensiva di more ed interessi.

Chi non ha pagato il bollo auto ha un anno di tempo per mettersi in regola con i pagamenti, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, pagando in questo modo le sanzioni e gli interessi in modalità ridotta.

Una volta passato questo lasso di tempo, l’Agenzia delle Entrate provvede all’invio della cartella esattoriale a cui il proprietario dovrà rispondere sistemando la propria posizione con il fisco. Se questo non verrà fatto entro 60 giorni dalla ricezione della cartella esattoriale, le conseguenze possono essere gravi.

In questi casi, infatti, è previsto il fermo amministrativo dell’auto.

È importante ricordare che non tutte le automobili sono soggette al pagamento di questa tassa. Sono esenti dal pagamento del bollo i beneficiari della Legge 104, vale a dire le persone affette da handicap accertato e le auto storiche.

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REGOLE DA SEGUIRE PER EFFETTUARE LA DISDETTA DI UN CONTRATTO DI LOCAZIONE COMMERCIALE

La disdetta del contratto di locazione commerciale segue delle regole precise e di recente la Corte di Cassazione è intervenuta per stabilire quando è lecito recedere dal contratto prima della scadenza e come inviare la lettera di risoluzione anticipata.

Sia il proprietario (chiamato anche locatore) che l’inquilino (definito conduttore) possono effettuare la disdetta del contratto di locazione, relativo a un immobile per uso privato o commerciale, presentando all’Agenzia delle Entrate il modello RLI 2022.

Nel contratto di affitto è sempre indicata una data di scadenza ma la legge ammette il recesso anticipato da parte del locatore o del conduttore. Secondo la Corte di Cassazione questa possibilità è prevista solo in caso di particolari esigenze.

Vediamo di seguito quando è ammessa la disdetta del contratto di locazione commerciale e come fare la risoluzione anticipata.

La legge che disciplina il contratto di locazione commerciale è la n.392/1978 e si riferisce a immobili locati per l’esercizio di attività industriali, commerciali, artigianali e professionali. La durata minima di tali contratti, fissata dall’art. 27, è di 6 anni, quella massima di 30 anni. Fanno eccezione gli immobili locati a scopo ricettivo (alberghi, residence, bed&breakfast…), per i quali la scadenza minima è fissata a 9 anni. In generale, i contratti di locazione commerciale si rinnovano automaticamente alla loro scadenza per un ulteriore periodo di durata pari al primo, salvo accordi diversi tra le parti.

Il locatore può infatti disdire il contratto se ha necessità di rientrare in possesso dell’immobile locato per uso personale o di un familiare o per avviare una propria attività, come specificato dall’articolo 29 della legge n.392/1978.

Il conduttore può rifiutare il rinnovo tacito del contratto inviando la disdetta al locatore con un preavviso di almeno 12 mesi dalla data di scadenza del contratto stesso (o di 18 mesi se si tratta di attività ricettiva).

La disdetta del contratto di locazione commerciale può tuttavia avvenire anche prima della scadenza, con un preavviso di almeno 6 mesi rispetto al giorno in cui il conduttore intende lasciare l’immobile.

 In questo caso, però, deve ricorrere il «grave motivo» previsto dall’articolo 27, ultimo comma, della legge 392/78, cioè un evento sopravvenuto alla costituzione del rapporto, estraneo alla volontà del conduttore e tale da rendere la prosecuzione troppo gravosa per quest’ultimo.

L’ordinanza n. 26618/22 della Cassazione ha infatti confermato che spetta al conduttore provare che la prosecuzione del rapporto sia troppo gravosa e che sia sopravvenuto uno squilibrio rispetto alla situazione originaria che incide sull’andamento globale dell’azienda.

Per la risoluzione anticipata del contratto di locazione commerciale è necessario, ai fini fiscali, utilizzare il modello RLI dell’Agenzia delle Entrate e versare l’imposta di registro fissa di 67 euro entro 30 giorni dall’evento.

L’importo dovrà essere pagato entro 30 giorni dall’evento in una delle seguenti modalità:

  • tramite i servizi telematici dell’Agenzia (software RLI o RLI-web) tramite richiesta di addebito su conto corrente
  • con il modello F24 Elementi identificativi (ELIDE), utilizzando il codice tributo 1503. In tal caso occorre comunicare la risoluzione all’ufficio dove è stato registrato il contratto presentando, nello stesso termine di 30 giorni, il modello RLI debitamente compilato.

La disdetta (o atto di recesso) dal contratto di locazione commerciale deve contenere:

  • il nome e le generalità del recedente
  • gli estremi identificativi dell’immobile locato
  • la data di stipula del contratto
  • la data di rilascio dell’immobile
  • in caso di recesso anticipato del locatario, i gravi motivi per cui si chiede di essere liberati dal vincolo contrattuale
  • in caso di diniego di rinnovo da parte del locatore, una delle ragioni di cui all’art. 29 l. 392/1978

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COSA SUCCEDE SE NON SI PAGA IL MANTENIMENTO AL PROPRIO CONIUGE?

Il sequestro conservativo sui beni del coniuge obbligato a corrispondere all’altro coniuge l’assegno di mantenimento, è disciplinato dall’articolo 156 sesto comma del codice civile.

Esso prescinde dal cosiddetto “periculum in mora” ed ha l’unica funzione di garantire l’adempimento delle obbligazioni patrimoniali sancite dal tribunale.

Tale sequestro non ha quindi natura cautelare presupponendo un credito già dichiarato ed esistente (anche in via provvisoria), e non necessita della gravità dell’inadempimento né del pericolo che nel tempo necessario per far valere il diritto questo possa essere pregiudicato da eventuali atti dispositivi del debitore.

A seguito della concessione del sequestro esso non si tramuta immediatamente in pignoramento.

Per la revoca del sequestro e’ necessario che vi sia il puntuale adempimento.

Ai fini della concessione del sequestro esistono due distinti campi di valutazione rimessi al giudice:

  • il primo, suscettibile di essere posto in discussione in caso di sopravvenienza di giustificati motivi è preordinato alla individuazione dell’entità della somministrazione di cui all’art. 156 comma 2 c.c., e richiede l’apprezzamento dei redditi delle parti e degli altri elementi di fatto di natura economica, o comunque valutabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti;
  • il secondo, ugualmente soggetto a revisione, trova fondamento nell’art. 156 comma 6 c.c., cui è estranea alcuna predeterminazione del limite entro cui va operata la distrazione, e che implica, in via esclusiva, un apprezzamento in ordine all’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi a mortificare le finalità tipiche dell’assegno di mantenimento che e’ stato disposto.

Il giudice può anche sensi dell’art. 156, comma 6, del Codice civile ordinare a terzi, obbligati nei confronti del coniuge debitore, di pagare direttamente al coniuge (avente diritto all’assegno) quanto a questi è dovuto. L’ordine al terzo può estendersi anche all’assegno in favore dei figli minori, in quanto l’assegno a favore del coniuge affidatario o collocatario è di regola comprensivo sia delle somme dovute a titolo di mantenimento del coniuge che non dispone di adeguati redditi propri, sia di quelle dovute a titolo di mantenimento dei figli e, quand’anche consista solo in quest’ultimo contributo, rappresenta pur sempre un credito dell’altro coniuge e la sua corresponsione da parte dell’obbligato si inserisce, necessariamente, nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, salva restando la destinazione dei relativi importi.

Il giudice ha facoltà di disporre l’ordine di pagamento dell’assegno di mantenimento o alimentare a terzi tenuti a versare anche periodicamente somme di danaro al coniuge obbligato alla corresponsione del medesimo assegno solamente se sia accertato l’inadempimento dell’obbligato perché, a differenza di quanto stabilito in tema di divorzio, al giudice non è consentito l’esercizio di detta facoltà in previsione del solo pericolo che il coniuge possa sottrarsi all’adempimento dei suoi obblighi. Il provvedimento può essere anche adottato con la sentenza di separazione purché siano rispettate le norme relative all’introduzione nel processo di domande nuove, quando siano emerse, nel corso del giudizio, le condizioni di inadempienza o di ingiustificato ritardo, cui esso è subordinato. La richiesta di emissione dell’ordine al terzo di versamento diretto a proprio favore di parte delle somme da esso dovute all’obbligato può essere proposta per la prima volta anche in appello, trovando nel caso applicazione il principio rebus sic stantibus, purché risulti sempre rispettato il principio del contraddittorio, a garanzia del diritto di difesa del coniuge obbligato in sede di accertamento della sua inadempienza.

Il provvedimento non ha natura cautelare e, pertanto, non è soggetto al reclamo al collegio. L’emissione dello stesso, essendo espressione di un potere discrezionale del giudice del merito, è insuscettibile di sindacato di legittimità ove la motivazione appaia di per sé immune da vizi logico-giuridici.

L’articolo 156 del codice civile sancisce che il coniuge presti idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi di mantenimento. Pericolo che può sussistere a fronte di comportamenti economici poco attenti o scellerati e ritardo nei pagamenti. Qualora il provvedimento non indichi il tipo di garanzia, la scelta è rimessa all’obbligato.

L’ipoteca può esser cancellata solo su disposizione del giudice ai sensi dell’articolo 2884 del codice civile ove non sussista più il pericolo di inadempimento.

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IL CONDOMINO CHE GETTA I RIFIUTI DAL BALCONE INCORRE IN SANZIONI PENALI

Gettare rifiuti o oggetti dal proprio balcone in quello del vicino o nel cortile condominiale è reato.

E’ integrata infatti la fattispecie di cui all’art. 674 del codice penale che punisce con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”.

A sanzionare le diverse condotte dei condomini “maleducati” e incivili ci ha pensato più volte la Cassazione, che di recente però ha avuto anche modo di chiarire nella sentenza n. 30900/2022 che: “L’art. 674 del codice penale punisce il getto o il versamento in luogo di pubblico transito, anche se di proprietà privata (…)” La collocazione di cocci di vetro in luogo di pubblico passaggio, non rilevando per nulla il fatto che esso non sia l’unico punto di accesso all’abitazione della persona offesa, integra il reato contestato. La fattispecie di cui all’art. 674 del codice penale, infatti, non richiede per la sua configurabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma intende tutelare, ricomprendendosi nella stessa anche la alterazione superficiale del bene, atteso che anche con ciò può determinarsi un rischio per la salubrità dell’ambiente e conseguentemente della salute umana. (Sez. 3, n. 46846 del 10/11/2005).

Ai fini della configurabilità del reato di getto pericoloso di cose non si richiede che la condotta di “molestia alle persone” abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente l’idoneità ad offendere, imbrattare o molestare le persone; né tale attitudine deve essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire quanto oggettivamente percepito.

SANZIONI AMMINISTRATIVE PER CHI LASCIA L’AUTO APERTA

Lasciare l’auto aperta è un comportamento non solo rischioso per la possibilità che qualcuno possa appropriarsene o rubare gli oggetti ivi contenuti, ma anche passabile di una sanzione.

Una conseguenza che è apparsa assurda a molti automobilisti che hanno trovato sul proprio parabrezza una multa per non aver chiuso a chiave le portiere della propria vettura.

La norma di riferimento che giustifica la sanzione è l’art. 158 del Codice della Strada, il quale precisa al comma 4 che “durante la sosta e la fermata il conducente deve adottare le opportune cautele atte a evitare incidenti ed impedire l’uso del veicolo senza il suo consenso”.

In sostanza, il conducente deve fare il possibile per dissuadere i malintenzionati, attraverso l’adozione di tutte quelle cautele necessarie a tutelare il proprio bene dall’intrusione altrui o da rischi correlati. Trattandosi di una norma aperta, che non esplicita i singoli comportamenti sanzionabili, la multa è stata comminata per fattispecie diverse.

In estate, ad esempio, complice la calura estiva che costringe a viaggiare con i finestrini abbassati, non è affatto difficile incorrere in una dimenticanza sanzionata dalla norma, magari anche in relazione ai sedili posteriori che non sono direttamente visibili dal guidatore.

Dunque anche lasciare il finestrino abbassato espone al rischio di una sanzione, così come lasciare le chiavi nell’auto, poichè si tratta di situazioni che pongono a rischio il proprio veicolo del quale potrebbe facilmente appropriarsene altro soggetto senza il consenso del proprietario.

Ed è proprio questo l’interesse che la norma intende tutelare, ovverosia che dei veicoli non ne venga fatto un uso contrario alla legge: simili comportamenti, infatti, parrebbero porre in essere una sorta di “induzione a commettere reato” e dunque è sul conducente che ricade l’onere di porre in essere tutte le accortezze necessarie ad impedirlo.

Ma non sono rari i casi in cui per dimenticanza si lascia l’auto aperta, dunque facilmente accessibile da chiunque. Anche in questo caso la multa è dietro l’angolo e nulla si può eccepire alla sanzione in quanto questa è legittimata direttamente dal codice della strada.

La violazione di questo sottinteso obbligo di custodia del proprio veicolo, dal quale potrebbe derivare un uso improprio del mezzo, espone al rischio del pagamento di una sanzione amministrativa da euro 25 a euro 100 per i ciclomotori e i motoveicoli a due ruote e da euro 42 a euro 173 per i restanti veicoli.

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