RASSEGNA STAMPA

LA DIFFERENZA TRA DIRITTO DI ABITAZIONE, USO E USUFRUTTO

È sempre bene conoscere le differenze che ci sono tra il diritto di abitazione, il diritto d’uso e l’usufrutto.

Quando si parla di diritto di abitazione si prende in considerazione quel diritto personale di godimento su una cosa altrui, grazie al quale il titolare dello stesso può abitare una casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

La legge italiana ha esteso questo diritto anche ad accessori e pertinenze della casa, come ad esempio box, verande, balconi, giardini, cantine, che sono parte della casa stessa.

È importante sapere che il diritto di abitazione deve essere stabilito dalle parti, le quali non possono però definirlo a tempo indeterminato, estinguendosi comunque alla morte del beneficiario e ritornando al proprietario la piena ed esclusiva proprietà.

Il titolare del diritto di abitazione può usare il bene solo per esigenze abitative, rispettandone la destinazione economica e restituendo l’immobile nel medesimo stato nel quale si trovava quando l’ha ricevuto.

Il titolare del diritto si deve fare carico della manutenzione ordinaria e del pagamento dell’IMU, anche sulle pertinenze.

La differenza legale tra diritto di abitazione e uso, entrambi diritti privati che non è possibile cedere e dare in locazione ad altri, si basa sull’utilizzo del bene.

Nel primo il titolare non può usare la casa per scopi diversi da quello abitativo e non gode di nessun diritto sui frutti dell’immobile, non potendo darlo in locazione ad altri oppure utilizzarlo come ufficio.

Ma qual è la differenza con l’usufrutto?

Si parte dal fatto che il diritto di abitazione non può essere pignorato, ceduto o dato in locazione.

Al contrario l’usufrutto può essere concesso a persone fisiche e giuridiche, mentre il diritto di abitazione solo alle persone fisiche.

Il diritto di abitazione si può concedere solamente su immobili ad uso abitativo mentre l’usufrutto su qualsiasi tipo di immobile. Inoltre il titolare dell’usufrutto può destinare il bene a scopi diversi, ad esempio locandolo e ottenendone un guadagno.

Il diritto di abitazione è differente anche dalla locazione, dato che, essendo un diritto su cosa altrui, viene trascritto nei registri immobiliari, mentre la locazione è un contratto stipulato tra il proprietario e chi riceve la casa in godimento (locatore e locatario). Infine la locazione, a differenza del diritto di abitazione, può essere ceduta a terzi, quindi un locatario può subaffittare la casa.

ISA 2024: COSA CAMBIERÀ

Tra le novità del Decreto Legislativo semplificazioni adempimenti tributari, si prevedono semplificazioni per gli ISA. Gli indici sintetici di affidabilità sono dei questionari che hanno sostituito gli “studi di settore” e si applicano agli esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo che svolgono, come attività prevalente, una di quelle per le quali risulta approvato un relativo modello ISA.

Le modifiche introdotte con gli articoli da 5 a 7 del Dlgs in oggetto, riguardano l’articolo 9 bis del DL n 50/2017. Si prevede che, l’attività di revisione degli indici sintetici di affidabilità fiscale tenga conto di analisi finalizzate alla riorganizzazione e razionalizzazione degli stessi indici per rappresentare adeguatamente la realtà dei comparti economici cui si riferiscono e cogliere le evoluzioni della classificazione delle attività economiche ATECO.

Nell’ottica di semplificare l’adempimento, l’Agenzia delle entrate rende disponibili agli intermediari, gli elementi e le informazioni in suo possesso riferibili allo stesso contribuente, acquisiti direttamente o pervenuti da terzi, per l’acquisizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli indici.

Con provvedimento del direttore dell’Agenzia sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono individuati gli elementi e le informazioni da fornire al contribuente, le fonti informative e le modalità con cui tali dati sono messi a disposizione dello stesso contribuente. Con i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate di approvazione dei modelli degli indici sintetici di affidabilità fiscale, sentito il Garante, sono definiti i dati su cui si fonda l’analisi funzionali alla revisione degli indici sintetici di affidabilità fiscale, ed inoltre alla eliminazione delle informazioni non indispensabili ai fini del calcolo, dell’elaborazione o dell’aggiornamento e sarà implementato l’invio di dati precompilati da parte dell’Agenzia stessa.

Infine per l’anno 2024 i programmi informatici di ausilio alla compilazione e alla trasmissione dei dati sono resi disponibili entro il mese di aprile del periodo d’imposta successivo a quello al quale gli stessi sono riferibili.

LIMITE UTILIZZO CONTANTE A 5.000 EURO PER IL 2024

La Legge di Bilancio 2024 non ha previsto novità per la soglia di utilizzo della moneta contante. Resta, pertanto, in vigore l’ultima modifica normativa che innalzava tale limite a 5000 a partire dal 1 gennaio 2023.

La soglia di pagamento in contante trova applicazione per tutte le operazioni effettuate tra persone fisiche o tra persone giuridiche. Pertanto il suddetto limite trova applicazione anche per gli enti collettivi e le società. Questo significa che privati, professionisti ed imprese potranno acquistare beni e/o servizi in contente per un valore non superiore a 5.000 euro. Ogni transazione superiore a tale soglia, richiederà un pagamento tracciabile. Tuttavia, resta comunque sempre possibile effettuare il pagamento in parte in contanti in parte con altri strumenti tracciabili, come il bonifico oppure l’assegno. La soglia di utilizzo di denaro contante riguarderà sia per i pagamenti in unica soluzione che rateali.

Le sanzioni previste per la violazione di denaro contante sono quelle previste dal D.Lgs. n. 90/17. Si prevede una sanzione di importo pari all’importo fissato come limite di utilizzo del contante. Inoltre, in caso di superamento della soglia, sono previste sanzioni sia a carico di chi effettua il pagamento irregolare che per chi lo riceve, ma anche per chi omette di segnalare le irregolarità alle direzioni territoriali. In questo caso, trova applicazione la sanzione che va da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 15.000 euro. Infine, in caso di prelievi di denaro contante superiori alla soglia, l’istituto può chiedere all’utente di giustificare l’operazione. In base alla risposta dell’utente, la banca deciderà se segnalare o meno l’operazione all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) di Banca d’Italia ai fini antiriciclaggio.

ASSEGNO UNICO UNIVERSALE 2024

Con il messaggio n. 258 del 19 gennaio 2024, l’Inps si rivolge agli ex percettori di Reddito di Cittadinanza (RdC), ai quali l’Assegno unico e universale per i figli a carico (AUU) è stato erogato come quota integrativa dello stesso RdC. Da marzo 2024, tutte le famiglie che hanno ottenuto l’accredito dell’Assegno unico sulla carta di pagamento elettronica del Reddito di Cittadinanza (carta RdC) dovranno presentare una nuova domanda per accedere alla prestazione, compresi i nuclei ai quali nel 2023 è stato sospeso il Reddito di Cittadinanza.

Si ricorda che la domanda di AUU e l’ISEE aggiornato possono essere presentati entro il termine del 30 giugno 2024, senza perdita degli arretrati, che saranno corrisposti con successivo conguaglio. In assenza dell’ISEE in corso di validità, l’importo dell’AUU sarà calcolato a partire dal mese di marzo 2024 con riferimento agli importi minimi previsti dalla normativa.

Per poter garantire una puntuale erogazione degli importi, è necessario controllare l’esattezza del codice IBAN del conto corrente o della carta prepagata, che dovrà essere intestato o cointestato a chi richiede la prestazione.

BONUS MAMME LAVORATRICI 2024

Con la Legge di Bilancio 2024, è stato emanato un esonero totale del versamento dei contributi sociali a carico delle lavoratrici, chiamato bonus mamme lavoratrici. Nel triennio tra il 2024 e il 2026 le destinatarie saranno le mamme con tre o più figli di cui almeno uno minorenne, mentre per il solo 2024 anche le madri con due o più figli, in questo caso con almeno uno di età inferiore a 10 anni.

Il bonus mamme lavoratrici 2024 si traduce in uno sgravio contributivo che varia a seconda della condizione della lavoratrice dipendente, specialmente in riferimento alla durata del beneficio che, nel dettaglio, dura dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 per lavoratrici madri con tre o più figli. In questi casi è previsto un esonero del 100% della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo. Questo, nel limite massimo annuo di 3mila euro riparametrato su base mensile. La soglia anagrafica del figlio indicata riguarda le mamme con 3 o più figli.

Invece per le lavoratrici con 2 o più figli la decontribuzione del 100% viene applicata fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo e solo per tutto il 2024.

L’esonero si applica dunque ai contributi IVS per chi lavora nel settore privato e ai contributi FAP per chi ha un’occupazione nel pubblico impiego. L’agevolazione però è rivolta solo a mamme che sono dipendenti pubbliche o private con un contratto a tempo indeterminato in essere. Non è necessario fare alcuna richiesta per ottenere il bonus, questo sarà riconosciuto e attivato automaticamente dal datore di lavoro.

ADDIO 730 PRECOMPILATO 2024

La novità del Decreto n.1 dell’8 gennaio 2024 “Razionalizzazione e semplificazione delle norme in materia di adempimenti tributari“, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore lo scorso 13 gennaio, attesta che il modello 730 precompilato verrà sostituito dal modello 730 semplificato. Verrà chiesto a pensionati e lavoratori dipendenti di confermare soltanto i dati presenti nel database dell’Agenzia delle Entrate, anziché compilare le voci in forma precompilata.

In sostanza il nuovo modello dichiarativo è basato su sezioni già compilate del modello dichiarativo, sulla base delle informazioni in possesso dell’Agenzia delle entrate. Queste informazioni saranno appunto inserite nella nuova Dichiarazione dei redditi semplificata dal 2024, e verrà chiesto al contribuente di confermare o meno dati e numeri. Qualora siano errati o non conformi si avrà la possibilità di modificarli seguendo un iter guidato.

A decorrere dal 2024 tali informazioni sono accessibili direttamente dai contribuenti titolari dei redditi di lavoro dipendente e assimilati di cui al comma 1 del decreto legislativo n. 175 del 2014, in un’apposita area riservata del sito internet della predetta Agenzia, mediante un percorso semplificato e guidato. I dati confermati o modificati vengono riportati in via automatica nella dichiarazione dei redditi, che il contribuente può presentare direttamente in via telematica.

Secondo la norma, la modifica prevede che in via sperimentale l’Agenzia delle entrate renda disponibili al contribuente, in modo analitico, le informazioni in proprio possesso, che possono essere confermate o modificate.

ISCRIZIONI SCUOLA 2024/2025

Le iscrizioni a scuola, per l’anno scolastico 2024/2025 andranno fatte online mediante la Piattaforma Unica, una novità introdotta dal ministero dell’Istruzione e del merito. I genitori degli studenti che, a partire da gennaio, dovranno procedere all’iscrizione dei propri figli al prossimo anno scolastico dovranno essere in possesso delle credenziali per accedere alla suddetta piattaforma. Le iscrizioni online riguardano tutte le classi prime delle scuole statali primarie e secondarie di primi e secondo grado, i percorsi di istruzione e formazione professionale erogati dagli istituti professionali e dai centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni. Per la scuola dell’infanzia, la domanda resta cartacea. Per accedere alla Piattaforma Unica, i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale dovranno collegarsi mediante le proprie credenziali Spid, Cie, Cns o eIDAS e procedere all’iscrizione. Essi potranno, nella stessa piattaforma, consultare il servizio “scuola in chiaro” per individuare la scuola di interesse e visionare i documenti importanti dell’istituzione scolastica come il Ptof. I genitori possono procedere con la domanda di iscrizione online a partire dalle ore 8:00 del 18 gennaio 2024 e la stessa va compilata entro le ore 20:00 del 10 febbraio 2024. Nella domanda di iscrizione, i genitori devono fornire le indicazioni relative allo studente per il quale è richiesta l’iscrizione tra cui codice fiscale, nome e cognome, data di nascita e residenza e esprimere le loro preferenze in merito all’offerta formativa proposta dalla scuola o dal centro di formazione professionale scelto. Dopo la conferma dell’accettazione della stessa, i genitori dovranno inoltrare la documentazione richiesta dalla scuola mediante l’apposita sezione sempre sulla Piattaforma Unica. Tra il 31 maggio e il 1 luglio 2024, coloro che hanno iscritto i propri figli a scuola avvalendosi dell’insegnamento della religione cattolica dovranno esprimere le preferenze per le altre tipologie di attività da svolgere.

CONDOMINIO MOROSO

Ogni condominio, prima o poi, si trova ad al suo interno un condomino moroso. Se un condomino non paga le quote a lui addebitate dal piano di riparto, l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di agire contro di lui entro e non oltre 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio il cui debito si riferisce. Tale obbligo non è adempiuto dal semplice invio di un sollecito: l’amministratore deve incaricare un avvocato di propria fiducia affinché avvii la procedura esecutiva. L’avvocato si rivolge al giudice ottenendo da questi una condanna dal moroso al pagamento immediato di una somma: si tratta di una ingiunzione di pagamento, conosciuta come decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In assenza di pagamento o di opposizione al decreto ingiuntivo, il condominio può procedere al pignoramento dei beni del debitore. Se la morosità persiste da oltre 6 mesi, l’amministratore può staccare l’acqua o il gas al moroso o impedirgli di usufruire di tutti quei servizi condominiali che possono essere goduti in modo separato. Se il condominio ha un debito e non può pagare un fornitore, questo può attivare la stessa procedura del condominio moroso: si chiede al giudice un decreto un decreto ingiuntivo e dopo 40 giorni si procede al pignoramento dei beni. I beni del condominio pignorabili sono ad esempio, il conto corrente che potrebbe, tuttavia, non contenere le somme necessarie a soddisfare le ragioni del creditore. In questo caso, il creditore può agire contro i singoli condomini pignorando i beni di questi ultimi. La legge impone al creditore di agire prima contro i condomini morosi e poi contro tutti gli altri, anche quelli virtuosi che hanno saldato il loro debito. Il capo condominio è tenuto, a richiesta del creditore, a consegnare l’elenco dei morosi, ovvero di tutti coloro che non hanno pagato le quote con cui il condominio avrebbe dovuto saldare la fattura in contestazione. Dopo aver esercitato infruttuosamente le azioni esecutive contro i morosi e aver verificato che contro questi non vi è possibile di agire, il creditore può avviare il pignoramento nei confronti degli altri condomini. Il pignoramento deve avvenire nei limiti della quota di ciascun condominio. Se nel conto del condominio ne i beni personali dei morosi possono soddisfare i creditori, questi agiscono contro i condomini in regola con le quote. Il debito dei morosi si riversa, quindi, nei confronti degli altri condomini. La forma di tutela più adeguata per il condominio, oltre all’avvio del pignoramento dei beni dei morosi, è il distacco dai servizi comuni suscettibili di godimento separato. Si potrebbe istituire un fondo morosi da cui attingere quando vi sono necessità derivanti da buchi di bilancio. Tuttavia, l’istituzione di un fondo morosi, secondo la giurisprudenza, richiede l’unanimità in quanto il condomino virtuoso andrebbe a pagare due volte a discapito del condomino moroso venendo meno alla regola della partecipazione millesimale alle spese di condominio. Secondo la Costituzione, invece, quando vi è un grave pericolo per il condominio, per la costituzione del fondo morosi è sufficiente la maggioranza.

ESENZIONE BOLLO AUTO

La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza che chiarisce la condizioni per il riconoscimento dell’esenzione dal pagamento del bollo auto per le persone con disabilità. L’esenzione spetta sia quando l’auto è intestata alla persona con disabilità sia quando l’intestatario è un familiare del disabile, a condizione che lui sia fiscalmente a carico del primo. Se il disabile è titolare di più veicoli, l’esenzione spetta solo ad uno di essi ed egli dovrà indicare la targa dell’auto prescelta. La richiesta di esenzione si deve presentare presso l’ufficio tributi della Regione una sola volta: l’istanza, infatti, non va rinnovata in quanto l’esenzione è valida anche per gli anni successivi. La cilindrata del veicolo oggetto di esenzione non deve essere superiore a: 2000cc se alimentato a benzina o ad alimentazione combinata e 2800cc se alimentato a gasolio. Possono ottenere l’esenzione dal pagamento del bollo auto i disabili a cui non sia stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento ma che sono comunque affetti da grave limitazione della capacità di deambulazione ai sensi dell’art 30 comma 7 della legge 388/2000, e coloro che sono affetti da handicap grave ai sensi del 3 comma dell’art 3 della legge 104 del 1992. L’handicap grave deve essere documentato mediante una certificazione di invalidità rilasciata da una commissione medica pubblica. Tale documento deve riportare, espressamente, la menomazione e deve attestare l’impossibilità a deambulare in modo autonomo o senza l’aiuto di un accompagnatore. Il verbale di invalidità deve fare esplicito riferimento anche alla gravità della patologia. Nel caso di disabilità motorie ridotte, l’esenzione bollo è concessa a condizione che il veicolo sia adatto alle esigenze specifiche della persona esplicitamente annotate sul certificato di invalidità. La legge 104, ovviamente mostra un elenco molto ampio di quella che può essere una disabilità ma ai fini dell’agevolazione in questione è fondamentale che essa sia di carattere motorio. La sentenza stabilisce che anche dopo la riforma introdotta dall’art 30 per i disabile con ridotte o impedite capacità motorie ma non affetti da grave limitazione della capacità di deambulazione, l’esenzione dal bollo auto rimane condizionata all’adattamento del veicolo alle proprie esigenze di mobilità.

NASPI E REDDITI DA LAVORO

La Naspi, l’indennità di disoccupazione, ha lo scopo di tutelare il lavoratore in caso di perdita del lavoro involontaria ma può essere corrisposta anche in caso di svolgimento di una nuova attività lavorativa. Il diritto alla Naspi sorge, quindi, in caso di perdita involontaria del rapporto di lavoro per i lavoratori che siano in possesso dei seguenti requisiti come stato di disoccupazione e contribuzione per almeno 13 settimane nei 4 anni precedenti. Viene considerata involontaria non solo la perdita del lavoro derivante da licenziamento ma anche quella derivante da scadenza del rapporto a termine, dimissioni per giusta causa, dimissioni durante il periodo tutelato di maternità e paternità e risoluzione consensuale intervenuta intervenuta in sede protetta o in ragione del rifiuto di trasferimento per eccessiva distanza. La durata dell’indennità è proporzionata alle settimane di contribuzione accreditate negli ultimi 4 anni. Essa viene erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione presenti nel quadriennio, fino ad un massimo di 24 mesi. L’importo viene calcolato sommando gli imponibili previdenziali degli ultimi 4 anni, comprensivi degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive. Il risultato viene diviso per le settimane di contribuzione e moltiplicando per 4,33. Se l’importo ottenuto è pari o inferiore a 1352,19€, l’indennità ammonta al 75% di questo importo, se è superiore si aggiunge anche il 25% della differenza tra il risultato ottenuto e il suddetto massimale. La Naspi non può mai superare l’importo massimo annualmente definito dall’INPS e pari, per il 2023, al 1470,99€. L’indennità diminuisce del 3% a decorrere dal 6°mese di fruizione. Per i soggetti over 55, la riduzione dell’indennità decorre a partire dall’8°mese di fruizione. Per avere diritto alla Naspi, la domanda deve essere presentata entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore che percepisce la Naspi può perdere diritto all’indennità che sta percependo qualora inizi un nuovo rapporto di lavoro subordinato. Gli effetti del nuovo rapporto di lavoro sulla Naspi differiscono in base alla misura del reddito da esso derivante, potendo comportare la perdita, la riduzione o la sospensione dell’indennità. In caso di reddito annuale superiore a 8174€ si ha la decadenza dalla Naspi se il rapporto di lavoro ha una durata superiore a 6 mesi o la sospensione per la durata del rapporto di lavoro se non superiore a 6 mesi. Se il reddito annuo non supera la no tax area, quindi 8174€, è esente da imposizione fiscale si ha il mantenimento dell’indennità in misura ridotta. L’indennità INPS viene ridotta di un importo pari all’80% del reddito presunto con ricalcolo della riduzione dovuta in sede di dichiarazione dei redditi. Il lavoratore, entro 30 giorni, dall’inizio dell’attività, deve comunicare all’INPS il reddito presunto onde evitare di perdere il diritto all’indennità. Al fine del mantenimento dell’indennità, il nuovo datore di lavoro dev’essere diverso da quello con cui è cessato il rapporto che ha determinato il diritto alla Naspi. In caso di avviamento di un’attività di lavoro autonoma, il lavoratore continua a percepire la Naspi in misura ridotta purché il reddito annuale derivante da tale attività non superi la soglia di esenzione da imposizione fiscale( 5500€) e comunichi all’INPS, entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto. La Naspi viene diminuita di un importo pari all’80% del reddito previsto. L’effettiva riduzione spettante verrà ricalcolata in sede di dichiarazione dei redditi. L’indennità di disoccupazione può essere compatibile anche con lo svolgimento di attività che non sono inquadrate nell’ambito del lavoro subordinato ma che danno luogo ad un compenso. E’ riconosciuta la piena compatibilità della Naspi con tirocini, borse di studio, assegni di ricerca, prestazioni di lavoro occasionali, servizio civile, attività sportiva dilettantistica, svolgimento delle funzioni di amministratore, consigliere e sindaco di società, soci di società di persone o capitali in presenza di soli redditi da capitale.

ADDEBITO SPESE POSTALI

L’addebito delle spese postali sulla bolletta è un argomento che interessa molti utenti. Spesso gli operatori delle compagnie riversano tali oneri a carico dell’utente e anche se l’importo può risultare irrisorio, moltiplicato per 12 mensilità può diventare oneroso. La Corte di Cassazione, con ordinanza n.34800 del 13 dicembre 2023, ha stabilito che Telecom Italia S.p.A. non può addebitare ai clienti le spese postali per la spedizione della fattura telefonica a meno che non venga offerta un’alternativa per la consegna della bolletta, tramite email per esempio. La suddetta decisione ha respinto il ricordo di Tim contro una precedente sentenza del Tribunale di Trani. In primo grado, il giudice di pace di Barletta aveva già riconosciuto le ragioni del cliente, decisione confermata in appello poi anche dal Tribunale di Trani. Secondo l’art 53 della convenzione per la concessione dei servizi di telecomunicazione, è prevista la possibilità per gli abbonati di ritirare le bollette senza costi aggiuntivi presso gli uffici della società. Nel caso specifico trattato dalla Cassazione, non era stata fornita da Telecom questa possibilità rendendo la clausola di addebito delle spese postali vessatoria. La sentenza della Cassazione ha importanti ripercussioni sia per gli utenti che per la compagnia telefonica. Gli utenti, quindi, hanno il diritto di non pagare le spese postali per la ricezione della bolletta telefonica se nel contratto non era prevista alcuna possibilità di scelta sul ritiro della bolletta con modalità alternative e gratuite. E’ sempre consigliabile verificare i termini e le condizioni del proprio contratto e, in caso di addebito di spese postali, chiedere alla propria compagnia telefonica se esiste una modalità alternativa di ritiro gratuito delle bollette. In caso di mancata conformità alle normative, gli utenti hanno il diritto di contestare tali addebiti e, eventualmente, ricorrere all’assistenza legale per la tutela dei propri diritti.