Archivio per Categoria TUTELA DEL CONSUMATORE

ADDEBITO SPESE POSTALI

L’addebito delle spese postali sulla bolletta è un argomento che interessa molti utenti. Spesso gli operatori delle compagnie riversano tali oneri a carico dell’utente e anche se l’importo può risultare irrisorio, moltiplicato per 12 mensilità può diventare oneroso. La Corte di Cassazione, con ordinanza n.34800 del 13 dicembre 2023, ha stabilito che Telecom Italia S.p.A. non può addebitare ai clienti le spese postali per la spedizione della fattura telefonica a meno che non venga offerta un’alternativa per la consegna della bolletta, tramite email per esempio. La suddetta decisione ha respinto il ricordo di Tim contro una precedente sentenza del Tribunale di Trani. In primo grado, il giudice di pace di Barletta aveva già riconosciuto le ragioni del cliente, decisione confermata in appello poi anche dal Tribunale di Trani. Secondo l’art 53 della convenzione per la concessione dei servizi di telecomunicazione, è prevista la possibilità per gli abbonati di ritirare le bollette senza costi aggiuntivi presso gli uffici della società. Nel caso specifico trattato dalla Cassazione, non era stata fornita da Telecom questa possibilità rendendo la clausola di addebito delle spese postali vessatoria. La sentenza della Cassazione ha importanti ripercussioni sia per gli utenti che per la compagnia telefonica. Gli utenti, quindi, hanno il diritto di non pagare le spese postali per la ricezione della bolletta telefonica se nel contratto non era prevista alcuna possibilità di scelta sul ritiro della bolletta con modalità alternative e gratuite. E’ sempre consigliabile verificare i termini e le condizioni del proprio contratto e, in caso di addebito di spese postali, chiedere alla propria compagnia telefonica se esiste una modalità alternativa di ritiro gratuito delle bollette. In caso di mancata conformità alle normative, gli utenti hanno il diritto di contestare tali addebiti e, eventualmente, ricorrere all’assistenza legale per la tutela dei propri diritti.

LA PENSIONE DI REVERSIBILITA’

La pensione di reversibilità è una forma di sostegno pensionistico rivolto ai familiari di superstiti di un pensionato o di un lavoratore deceduto. Anche nel 2024 vale la regola per cui c’è un limite alla cumulabilità tra i redditi del coniuge superstite e la pensione di reversibilità a lui riconosciuta. La normativa riconosce al coniuge superstite il diritto al 60% della quota di pensione maturata o percepita dal dante causa, quota che sale all’80% in presenza di un figlio e del 100% in presenza di due figli. Quando ci soni figli non ci sono limiti alla cumulabilità con gli altri redditi percepiti diversamente quando del caso singolo coniuge. La normativa, infatti, stabilisce che quando i redditi percepiti sono superiori a 3 volte il valore del trattamento minimo scatta una decurtazione della pensione di reversibilità tanto maggiore quanto più è elevato il reddito. I tagli alla pensione di reversibilità sono applicati nel seguente modo: tra le 3 e le 4 volte il trattamento minimo (soglia 23345,73 – 31127,64 euro) scatta una decurtazione del 25%; tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo (soglia 31127,64 e 38909,55 euro) la decurtazione è del 40% mentre sopra le 5 volte (soglia di 31127,64 euro) il taglio è del 50%. Ai fini della cumulabilità della pensione di reversibilità con altri redditi si considerano tutti quelli assoggettabili a Irpef al netto dei contributi previdenziali e assistenziali, con esclusione dei trattamenti di fine rapporto e anticipazioni. Con la sentenza 162 del 30 giugno 2022 la Corte Costituzionale ha posto un limite ai tagli della pensione di reversibilità stabilendo che l’importo non può essere decurtato di una somma che super l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi: in presenza di altri redditi, quindi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.

TARI 2023

La Tari è una tassa a carattere regionale: le sue regole e istituzioni sono dettate dai Comuni. Per avere un calendario preciso delle scadenze è quindi necessario fare riferimento alle istituzioni del comune di appartenenza. Tuttavia, ci sono delle linee guida a livello nazionale che ogni Comune deve rispettare ovvero la possibilità di predisporre un pagamento rateale e che l’ultima rata sia versata dopo il 30 novembre. La scadenza della Tari varia in base alle disposizioni dei diversi Comuni e generalmente è suddivisa in due o massimo quattro rate: il primo acconto a fine aprile, un secondo acconto entro fine luglio e il saldo finale entro il 31 dicembre. Nel tempo la tassa si è evoluta sostituendo le precedenti tasse comunali previste per l’erogazione di servizi di raccolta e smaltimento rifiuti e nel gennaio 2021 è stata soppressa la categoria dei rifiuti speciali. Nonostante le differenze previste su base locale, non cambiano le regole generali per individuare chi paga la Tari 2023 e chi ne è esente. La Tari è calcolata secondo una quota fissa ed una quota variabile. L’importo dovuto è determinato sia in relazione alle caratteristiche dell’immobile che a quelle del nucleo familiare. Abbiamo già detto che le rate possono variare dalle due alle quattro e che la normativa nazionale prevede che le scadenze debbano essere determinate stabilendo almeno due rate a scadenza semestrale di cui una dopo il 30 novembre. Le scadenze per il versamento devono essere almeno due: acconto e saldo. Solitamente l’acconto o gli acconti si pagano nel periodo compreso tra aprile e settembre mentre il saldo viene fissato tra novembre e fine anno. A decorrere dal 2022, i regolamenti relativi alla Tari devono essere approvati entro il 30 aprile di ogni anno. Il presupposto del pagamento della tassa rifiuti è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte operative, suscettibili di proporre rifiuti. E’ tenuto al pagamento della Tari chiunque possieda o detenga l’immobile o l’area. A differenza dell’IMU, la tassa sui rifiuti è dovuta da chi utilizza l’immobile e non dal proprietario stesso. Soltanto in caso di affitto breve di durata non superiore ai 6 mesi, l’importo dovuto resta in capo al possessore dell’immobile e non all’utilizzatore. In caso di più possessori o detentori, il pagamento dovrà essere effettuato in solido. La Tari 2023 si paga anche sulle pertinenze, la cui superficie è sommata a quella dell’abitazione al fine del corretto calcolo della quota fissa della tassa rifiuti. Si paga la Tari anche sulla casa disabitata. La Corte di Cassazione ha evidenziato che il mancato utilizzo dell’immobile non esonera dal versamento della Tari. Per evitare l’esborso, il contribuente deve dimostrare che il locale non è idoneo a produrre rifiuti dimostrando la mancanza di arredi e la mancanza di utenze attive. La sola presenza alternativa di arredi o di una sola utenza è sufficiente a far sorgere l’obbligo di pagamento della Tari basato sulla presunzione che l’immobile venga utilizzato e che produca rifiuti. Ci sono, tuttavia, casi di esonero della Tari. Rientrano nella fattispecie aree condominiali comuni e non utilizzate in via esclusiva e aree in cui non si producono rifiuti in modo autonomo (cantine, terrazze, balconi). In questi casi è possibile richiedere al proprio Comune l’esenzione dal pagamento della Tari. Non è dovuto il pagamento della tassa sui rifiuti nel caso di immobile disabitato, nel rispetto dei requisiti sopra citati. Alle esenzioni, si affiancano anche le riduzioni. Le riduzioni possono essere obbligatorie o facoltative. Le riduzioni obbligatorie previste dalla Tari 2023 sono: riduzioni della quota variabile proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati agli urbani che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, riduzione per mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti e effettuazione del servizio in grave violazione della disciplina di riferimento: in questo caso la Tari è dovuta nella misura massima del 20%, riduzioni per le zone dove non è effettuata la raccolta: la Tari è dovuta nella misura massima del 40%. Le riduzioni possono anche essere facoltative e sono disposte dal Comune. Sono esenzioni e riduzioni in favore delle specifiche fattispecie individuate dalla legge. Rientrano tra queste: abitazioni con un unico occupante, abitazioni e locali per uso stagionale, abitazioni occupate da soggetti che risiedono a abitano la dimora per più di 6 mesi all’anno all’estero, fabbricati rurali ad uso abitativo, attività di prevenzione nella produzione di rifiuti. Alcuni contribuenti possono ottenere uno sconto automatico sulla Tari. Essi sono beneficiari del bonus sociale introdotto dal decreto Fiscale 2020 dedicato a luce, gas e acqua dedicato ai nuclei familiari in condizioni di disagio economico e quindi con ISEE basso. I requisiti per accedere al bonus sono quindi un ISEE non superiore ai 9530€, famiglie numerose con almeno quattro figli a carico con ISEE fino a 20.000€ e percettori del reddito o della pensione di cittadinanza. Le modalità di calcolo della Tari 2023 vengono stabilite in base al tariffario previsto dal proprio Comune considerando la quota fissa, determinata in base ai metri quadrati dell’immobile e della relative pertinenze moltiplicati per il numero degli occupanti, e la quota variabile, ovvero la quantità di rifiuto residuo conferito e quantitativo minimo obbligatorio stabiliti da ciascun comune sulla base della delibera TARI comunale. Le regole di calcolo sono differenti per le utenze non domestiche. in tal caso, la quota variabile deve essere moltiplicata per la superficie assoggettabile al versamento della Tari. L’ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ha approvato una delibera che fissa i nuovi criteri che i Comuni devono rispettare per emanare i regolamenti in tema rifiuti per il periodo 2022- 2025. Questo documento è entrato in vigore dal 1 gennaio 2023 e obbliga i comuni a rateizzare le quote della Tari di importo minimo di 100 euro per soggetti beneficiari del bonus sociale per disagio economico per luce, gas e acqua e per soggetti in condizioni economiche disagiate secondo i parametri definiti dall’ente territoriale competente e se l’importo addebitato supera del 30% il valore medio delle fatture emesse negli ultimi due anni. I Comuni suddividono il pagamento della Tari in tre rate: il primo acconto da versare entro aprile, il secondo acconto da versare entro la fine di luglio, il saldo da versare entro fine 2024. Le prime rate di Tari sono calcolate sulla base della tassa dovuta l’anno precedente mentre il saldo di dicembre, invece, è determinato sulla base delle tariffe stabilite per il 2024 a patto che la delibera del comune sia pubblicata entro il 28 ottobre 2024. Anche per il 2024 rimangono invariate le modalità di pagamento della Tari che può essere versata con modello F24, bollettino postale o pagamento MAV.

I DISPOSITIVI MEDICI DETRAIBILI

Il dispositivo medico è detraibile nella dichiarazione dei redditi nel modello 730 nella misura del 19%. I dispositivi medici sono tutti i prodotti e strumenti utilizzati dal personale sanitario per finalità diagnostiche e terapeutiche. La normativa CE, nello specifico, considera dispositivo tecnico qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche: diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione  di malattie, studio, sostituzione o modifica dell’anatomia oppure lo studio di un processo o stato fisiologico o patologico. La legislazione italiana qualifica i dispositivi medici con definizione analoghe alle direttive europee. L’agenzia delle Entrate non ritiene validi i documenti fiscali (fatture, ricevute e scontrini) che riportano la dicitura generica “dispositivo medico”: serve una descrizione specifica del prodotto che il venditore dovrà inserire nel documento fiscale dell’acquirente. Sono dispositivi medici detraibili le protesi, gli occhiali da vista, il materasso ortopedico o antidecubito, protesi dentaria, protesi fonetica, arti artificiali e apparecchi di ortopedia, apparecchi per fratture, siringhe, termometri, ausili per disabili, contenitori di campioni, test di gravidanza, etc. La detrazione delle spese sostenute per l’acquisto dei dispositivi medici è pari al 19% dell’imposta lorda a debito con una franchigia massima di 129,11 euro. Tutte le spese sostenute devono essere documentate tramite scontrino fiscale o fattura e l’indicazione del soggetto che ha sostenuto la spesa, altrimenti la detrazione fiscale non sarà riconosciuta. Se il documento di spesa riporta il codice AD o PI si fini della detrazione non è necessario che sia riportata anche la marcatura CE o la conformità del prodotto alle direttive europee.

LA VOLTURA

La voltura, o il cambio intestatario delle bollette, è un’operazione necessaria da fare in caso di trasloco in una casa nuova, per decesso del precedente intestatario o dopo una separazione. La voltura consente di passare la responsabilità del contratto di fornitura di energia elettrica o gas da una persona all’altra. La voltura è diversa dal subentro: la voltura serve per cambiare l’intestatario di un contratto attivo, il subentro serve ad attivarne uno nuovo. La differenza risiede, quindi, nel contatore: in caso di voltura esso è attivo, in caso di subentro esso è stato disattivato in passato. Secondo l’AEEG (autorità per l’energia elettrica e il gas) la voltura è il passaggio del contratto di fornitura da un cliente ad un altro senza effettuare l’interruzione dell’erogazione di energia elettrica e gas. La voltura si verifica quando un cittadino chiede di cambiare l’intestazione delle utenze per sostituirsi al precedente intestatario senza che il contratto venga chiuso e il contatore disattivato. La voltura è, quindi, l’operazione attraverso la quale si trasferisce la responsabilità del contratto di fornitura di energia elettrica o gas da una persona all’altra. La voluta permette di entrare nell’abitazione con un contratto di fornitura attivo ma al tempo stesso si eredita il contratto e le condizioni stabilite dal precedente intestatario senza avere la possibilità di scegliere le tariffe più convenienti. Esistono due tipi di voltura: – la voltura con accollo che si applica quando si cambia l’intestatario delle bollette ma si mantengono le stesse condizioni contrattuali. È una procedura consigliata nei casi di decesso del precedente intestatario o in situazioni di separazione o divorzio – la voltura senza accollo prevede il cambio dell’intestazione della bolletta senza ereditare alcun debito o morosità del precedente intestatario. La voltura di luce e gas serve quando: si vuole cambiare l’intestatario delle utenze che precedentemente erano a nome del vecchio inquilino, – l’intestatario delle bollette muore e succedono gli eredi nel contratto di luce e gas, – dopo la separazione o il divorzio dei coniugi. Per richiederla è necessario seguire una procedura prestabilita e preparare i documenti richiesti. I documenti necessari sono, ovviamente, i dati anagrafici del nuovo intestatario, i dati anagrafici del vecchio intestatario, il codice POD per l’utenza della luce, il codice PDR per l’utenza del gas, la dichiarazione di possesso o detenzione dell’immobile da parte dell’intestatario, l’ultima autolettura del contatore se disponibile, la potenza massima da contratto per la bolletta della luce e una copia del documento d’identità in corso di validità. In caso di voltura per decesso del precedente intestatario è richiesto il certificato di morte dell’ex intestatario. Nel mercato libero, i costi della voltura possono variare a seconda del fornitore scelto. Oltre al contributo fisso per gli oneri amministrativi, potrebbero essere richiesti: – 28.55euro + iva (contributo amministrativo per il distributore), – importo + iva per il servizio ricevuto, – imposta di bollo da 16 euro se richiesta dal fornitore. Nel servizio di maggior tutela, i costi sono fissati dall’ARERA (autorità di regolazione per energia reti e ambienti) e includono il contributo fisso per gli oneri amministrativi (25.88 euro + iva), l’imposta di bollo da 16 euro, un deposito cauzionale e 23 euro + iva di oneri amministrativi del venditore. Dopo la voltura, il nuovo intestatario non deve pagare eventuali bollette non saldate dai precedenti inquilini. Il pagamento delle utenze del precedente intestatario è dovuto solo in caso di: – voltura richiesta da erede dopo il decesso del precedente intestatario; – voltura richiesta per separazione o divorzio; – voltura richiesta dopo la trasformazione, fusione o incorporazione di società. Per ottenere la voltura occorrono 2 giorni per la presa in carico della richiesta e 5 giorni lavorativi per la soluzione tecnica dell’intestatario delle bollette.  

LA CONCLUSIONE DI UN CONTRATTO DI LOCAZIONE

Non sempre tra proprietario e inquilino scorre buon sangue e spesso queste incomprensioni si protraggono per tutta la durata del contratto. Ci sono, infatti, contratti di locazione segnati dagli abusi del proprietario che, ad esempio, proibisce di ricevere ospiti o che vuol mantenere il controllo dell’immobile nonostante esso sia dato in locazione. Alla riconsegna delle chiavi, il proprietario è chiamato a visionare l’immobile per vedere se ci sono danni e in mancanza dei quali, deve provvedere alla restituzione del deposito cauzionale versato dall’inquilino in sede di sottoscrizione del contratto. Verrà, quindi, stilato un verbale in cui si indicano i mazzi di chiavi riconsegnati dal conduttore e il deposito cauzionale restituito dal proprietario. Può capitare che il proprietario dell’immobile abbia un contrattempo e non possa presentarsi all’appuntamento per la riconsegna delle chiavi. In questo caso subentra un delegato che, munito di una delega legalmente valida, riconsegna all’inquilino il deposito cauzionale. Se il delegato è privo di deposito cauzionale, l’inquilino può rifiutarsi di riconsegnare le chiavi senza incorrere nella possibilità che il proprietario chieda ulteriori mensilità d’affitto proprio perché costui non si è presentato alla riconsegna delle chiavi. Il contratto di locazione riguarda due parti: il proprietario e l’inquilino e a concluderlo con la consegna delle chiavi e la firma del verbale devono essere, per l’appunto, queste due parti. L’inquilino non può, in nessun caso, consegnare le chiavi dell’immobile ad una persona che non conosce e che non è munita di nessuna delega legale: in questo caso c’è il rischio di non rivedere più la caparra e di ricevere una denuncia dal proprietario per aver consegnato le chiavi dell’immobile a una persona non autorizzata. Se si dovesse presentare una situazione simile, è consigliabile rivolgersi direttamente ad un legale per l’invio di una missiva al proprietario per specificare che la riconsegna non è avvenuta per un suo difetto e che non ci saranno ulteriori mensilità dovute a eventuali ritardi. Se, invece, si presenta una persona munita di regolare delega accompagnata da documenti di riconoscimento in corso di validità suoi e del proprietario dell’immobile, egli sarà tenuto a ricevere le chiavi e a restituire all’inquilino il deposito cauzionale spettante. In questa ipotesi, il contratto si conclude senza inconvenienti.

BONUS VISTA

Il bonus vista è stato inserito nella legge bilancio 2021 e nella legge 178 del 2020. Esso prevede, per i nuclei familiari con un ISEE inferiore ai 10.000 euro, la possibilità di avere un bonus di 50 euro a seguito dell’acquisto di occhiali da vista. Il bonus vista può essere richiesto attraverso il sito www.bonusvista.it. Per gli acquisti effettuati prima dell’attivazione della piattaforma, ovvero il 5 maggio 2023, si può chiedere il rimborso mentre per gli acquisti futuri si può chiedere il voucher per effettuare acquisti presso i centri convenzionati. E’ stato chiarito che è possibile richiedere il bonus anche per l’acquisto di occhiali da sole, lenti a contatto e per gli acquisti online. L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che il bonus vista è un voucher di 50 euro una tantum riconosciuto alle famiglie con un ISEE basso e che, per le spese sostenute nel 2022 per l’acquisto di occhiali da vista o per lenti a contatto correttive, è possibile ottenere la detrazione fiscale Irpef. Quindi è possibile ottenere la detrazione Irpef del 19% su quanto speso per l’acquisto di occhiali da vista o lenti graduate. Ricordiamo che le spese sanitarie hanno una franchigia di 129.11 euro e la stessa si applica sul totale delle spese sanitarie. Chi ha acquistato gli occhiali nel 2022, non ha ricevuto il voucher ma bensì un rimborso: è, quindi, in possesso di una fattura in cui viene indicato l’ammontare totale della spesa sostenuta. E’ quindi consigliabile allegare in fase di dichiarazione dei redditi anche il voucher ricevuto. In caso di mancato scomputo del rimborso ottenuto, in sede di controllo delle dichiarazioni, emergerà l’anomalia.

IL PROPRIETARIO PUO’ USARE LE PERTINENZE DI UNA CASA IN AFFITTO?

Prendendo un immobile in affitto, spesso capita che il proprietario del suddetto occupi cantine o garage di pertinenza dell’immobile con oggetti personali. In questo caso, è necessario accertarsi che il contratto di affitto comprenda anche le pertinenze in questione. Se, nel contratto, è chiaramente specificato che, oltre all’immobile ad uso abitativo, si concede in affitto all’inquilino anche garage e/o cantina, all’inquilino deve essere dato modo di utilizzare in toto il bene che ha affittato. Il proprietario, quindi, è tenuto a liberare da questi locali i suoi oggetti personali: non può tenere occupata neanche una parte delle pertinenze dell’appartamento poiché l’inquilino che preso in affitto oltre alla casa anche la cantina e il garage, ha il diritto di disporre totalmente dei beni affittati. Qualora il proprietario si rifiuti di liberare le pertinenze, l’inquilino può ricorrere a vie legali. Ovviamente la prima mossa deve essere sempre in via bonaria e quindi chiedere al proprietario di lasciare liberi gli spazi che attualmente occupa con le proprie cose. Se il proprietario, seppur sollecitato, non provvede a liberare i locali in oggetto, allora si dovrà ricorrere alle vie legali. In questo caso al proprietario non solo verrà chiesto di sgomberare i locali adibiti a cantina e/o garage ma verrà anche chiesta una rimodulazione del canone di locazione per le mensilità nelle quali l’inquilino non ha potuto godere del diritto di possesso totale sui locali in questione. Anche le spese legali ricadranno sul proprietario poiché in difetto nei confronti dell’inquilino. Se il contratto di locazione prevede più beni, la consegna degli stessi deve essere indivisibile e il godimento dei beni deve essere considerato nel suo complesso. Se il proprietario occupa una delle pertinenze comprese nel contratto, egli viene meno a ciò che è stabilito nel contratto e il conduttore, in base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 21/10/ 1983 n. 6193, può agire al fine di ottenere la consegna dei beni mancanti per godere in toto dei beni che ha locato nel periodo prestabilito dal contratto.

BUONI PASTO PER PARTITE IVA

Solitamente l’uso dei buoni pasto viene associato alle grandi aziende ma, in realtà, questi sono un ottimo investimento anche per le ditte individuali, le partite Iva e i lavoratori autonomi. Quest’ultimi, infatti, possono acquistare i buoni pasto per i collaboratori ma anche per sé stessi. Ovviamente restano escluse le partite Iva che hanno scelto un regime forfettario agevolato. La legge di Bilancio 2020 ha previsto dei nuovi limiti per i buoni pasto che sono esentasse: 4 euro giornalieri per quelli cartacei, 8 euro giornalieri per quelli elettronici. Oltre alla deducibilità del costo di acquisto, il valore del buono pasto non costituisce reddito imponibile fino a questi importi. Se il professionista o il lavoratore autonomo acquista i buoni pasto per erogarli ai propri dipendenti potrà dedurre integralmente il costo che sostiene per l’acquisto ma non può detrarre l’Iva agevolata al 4% addebitata dalla società che li emette. Se i buoni pasto sono acquistati per sé stessi perché non si hanno dipendenti, la deducibilità è inferiore. Il costo per l’acquisto dei buoni pasto è deducibile al 75% del prezzo d’acquisto ma solo nel limite del 2% del fatturato totale annuo cosi come previsto dall’art 54 comma 5 del TUIR. I vantaggi principali per un libero professionista o per chi ha una ditta individuale senza dipendenti non riguardano solo la deducibilità dei costi ma influiscono anche sulla gestione della contabilità poiché per la deduzione l’unica fattura necessaria è quella mensile di acquisto dei buoni pasto. I buoni pasto, inoltre, possono essere usati sia nei bar- ristoranti ma anche nei supermercati: questo permetterà di portare in deduzione anche la spesa alimentare.

BOLLETTE : QUALE TARIFFA SCEGLIERE

La liberalizzazione del mercato energetico ha dato la possibilità anche alle aziende private di poter proporre la loro offerta dando al cliente massima libertà di scelta.

Ritirando dal mercato le offerte fisse e avendo inserito le offerte indicizzate sono state le aziende stesse a creare confusione nel cliente che, adesso, sta ipotizzando un nuovo passaggio alla tariffa fissa.

Rispetto al 2022 i prezzi si sono stabilizzati tanto da poter pensare ad un nuovo passaggio alla tariffa fissa.

La differenza tra tariffa a prezzo fisso e tariffa a prezzo indicizzato sta nella componente variabile della bolletta. Nella tariffa a prezzo indicizzato il costo dell’energia varia mensilmente in base all’indice per l’energia elettrica (PUN) o del gas (PVS): per questo motivo le tariffe possono subire variazioni e sovrapprezzi. Le tariffe fisse non subiscono aumenti o diminuzioni per un periodo di tempo specifico che varia dai 12 ai 36 mesi. Sottoscrivere adesso una offerta a tariffa fissa bloccherebbe il costo della bolletta per almeno un anno ma precludersi anche eventuali diminuzioni su di essa mentre sottoscrivere una offerta a tariffa indicizzata significherebbe controllare costantemente il costo della componente della energia.

Al momento per la bolletta elettrica le offerte a prezzo fisso più convenienti del mercato sono in linea con quelle indicizzate (prezzo fisso 0.17€/kWh prezzo indicizzato 0.14€/kWh).

Per scegliere l’offerta conveniente sicuramente bisognerà tenere conto delle proprie esigenze.

La tariffa fissa sicuramente è più conveniente per chi è in difficoltà economiche soprattutto in prossimità dell’inverno e di conseguenza con il naturale aumento del gas. Inoltre la bolletta fissa consente di fare una stima delle spese annuali mentre la bolletta a tariffa indicizzata è sempre una incognita (anche se mediamente è sempre più bassa della bolletta a tariffa fissa).