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ASSEGNO DI MANTENIMENTO, QUANDO LO SI PERDE

In caso di separazione il coniuge economicamente più forte deve corrispondere a quello più debole un assegno di mantenimento.

Tuttavia, l’assegno di mantenimento non è un diritto eterno, e lo si può perdere per una serie di eventi e comportamenti, ovvero:

  • nel caso di inizio di una nuova relazione, a patto che si riceva comunque il sostentamento di cui si ha bisogno, come vedremo in seguito;
  • nel caso si inizi a lavorare, diventando economicamente indipendente. Se lo stipendio non è comunque sufficiente al mantenimento, l’assegno può venire ridiscusso;
  • il cambiamento della situazione patrimoniale di uno o entrambi i coniugi può portare alla revoca;
  • nel caso si riceva un’eredità cospicua, in grado di modificare in modo evidente la propria situazione patrimoniale, il coniuge può perdere il mantenimento;
  • nel caso il coniuge che riceve il mantenimento svolga un’attività lavorativa in nero, e questo venga provato;
  • il coniuge può anche scegliere di rinunciare all’assegno di mantenimento.

Non viene perso il mantenimento quando si ricevono aiuti economici da altri parenti, perché non si possono considerare durevoli nel tempo, a patto che provengano dalla famiglia d’origine.

La convivenza può far perdere il mantenimento, in questo caso le regole da seguire sono le seguenti:

  • il coniuge che inizia una nuova convivenza deve trarne beneficio economico. Non basta che vada a vivere con qualcuno, o che qualcuno che vada a vivere con il coniuge, per far perdere il mantenimento;
  • non è necessario che la convivenza venga comunicata in alcun luogo (come in Comune), perché questa sia tale. Basta che sia una convivenza di fatto, perché l’assegno venga perso.

In caso di decesso del coniuge che corrisponde il mantenimento, non si può andare a richiederlo a terzi. Questo significa che non si avranno diritti nei confronti dei genitori del coniuge defunto, o altri parenti.

NASPI 2023

Anche nel 2023 chi perde il lavoro può richiedere l’indennità di disoccupazione conosciuta come Naspi.

Nel 2023 è stata accertata una rivalutazione pari al 7,3%, nel 2022, la Naspi è stata pari al 75% dell’importo dello stipendio medio, qualora pari o inferiore a 1.250,87€. 

L’importo della Naspi è destinato ad aumentare, per sapere di quanto, bisognerà però attendere la relativa circolare con cui l’Inps ne svelerà le cifre.

Per disoccupati si intende quei soggetti privi d’impiego che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

Con “involontariamente” si comprendono anche coloro che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa, come pure i lavoratori licenziati per motivi disciplinari, rientrano nei casi in cui si parla di perdita involontaria del lavoro anche:

  • dimissioni intervenute durante il periodo tutelato di maternità,
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro,
  • risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile con i mezzi pubblici in 80 minuti o più;
  • licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione.

Altro requisito è quello per cui sono necessarie almeno 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, non vengono più richiesti, invece, i 30 giorni di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi: questo requisito è stato definitivamente abolito dalla legge di Bilancio 2022.

Detto ciò ricordiamo che l’indennità di disoccupazione spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, nei suddetti lavoratori sono compresi anche:

  • apprendisti;
  • soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative;
  • personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
  • dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Continuano a non poter accedere alla prestazione, invece, i:

  • dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni;
  • lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per i quali resta confermata la specifica normativa;
  • lavoratori che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • lavoratori titolari di assegno ordinario di invalidità, qualora non optino per la Naspi.

La durata dell’indennità di disoccupazione è calcolata in base alla storia contributiva del beneficiario, ma sulla base di quanto previsto dalla normativa di riferimento e da ultimo con il decreto 150/2015 ha una durata massima di 24 mesi.

La domanda di Naspi va effettuata entro 68 giorni, pena decadenza, dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Per il licenziamento per giusta causa il suddetto termine decorre dal 38° giorno la data di cessazione.

CARTA ACQUISTI PER SPESE ALIMENTARI, SANITARIE E BOLLETTE

Dal primo gennaio sono disponibili sul sito del Mef i moduli per richiedere la Carta Acquisti che consente ai cittadini di età pari o superiore ai 65 anni e ai genitori di bambini di età inferiore ai tre anni, di ottenere un contributo di 80 euro ogni due mesi per le spese alimentari, sanitarie e per il pagamento delle bollette di luce e gas.

I destinatari del contributo possono effettuare acquisti attraverso una carta elettronica di pagamento presso negozi alimentari, supermercati, farmacie, parafarmacie, nonché pagare le bollette di luce e gas negli uffici postali e usufruire della tariffa elettrica agevolata. 

La domanda può essere presentata negli Uffici postali compilando il modulo sulla base dei requisiti richiesti.

MULTE STRADALI, BLOCCATI GLI AUMENTI PER IL 2023

A partire dal prossimo 1° gennaio 2023, gli importi delle multe stradali sarebbero dovuti aumentare, e non di poco: era stato previsto un incremento del 15,6%.

Il Codice della Strada, infatti, prevede che ogni due anni il valore delle sanzioni pecuniarie sia aggiornato in base all’inflazione registrata.

In particolare, il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili si è mosso per bloccare gli importi delle multe stradali, attraverso una norma dedicata, introdotta nella legge di Bilancio 2023 oggi approvata definitivamente al Senato.

Sospeso dunque per i prossimi 2023 e 2024, il prescritto aggiornamento delle sanzioni pecuniarie per le violazioni al codice della strada.

Ma non finisce qui: la legge Bilancio mette mano anche alle cartelle esattoriali sotto i mille euro e stabilisce che a decidere sulle sanzioni del passato, o meglio, sulle cartelle emesse in seguito al mancato pagamento delle contravvenzioni, saranno i singoli Comuni.

Per capire meglio quale sarebbe stata l’entità dell’aumento delle multe stradali per il prossimo anno, qualora non fosse intervenuto il governo e il Mims, basta fare qualche esempio. Un aumento del 15,6% avrebbe determinato, a titolo esemplificativo un incremento:

  • da 42 a 49 euro per il classico divieto di sosta in area vietata;
  • da 83 a 96 euro per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza;
  • da 165 a 191 euro per la guida con telefono e per la sosta in stalli per invalidi;
  • da 167 a 193 euro per il passaggio del semaforo con luce rossa;
  • da 173 a 200 euro per la circolazione senza la revisione;
  • da 543 a 628 euro per la guida in stato di ebbrezza alcolica con tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g/l,
  • da 845 a 977 euro per l’eccesso di velocità di oltre 60 km/k rispetto al limite massimo consentito;
  • da 866 a 1.001 per la mancanza di copertura assicurativa;
  • da 5.100 a 5.896 euro per la guida senza patente o con patente di categoria.

La legge di Bilancio 2023 ha scongiurato l’aumento delle contravvenzioni ma c’è un’altra novità e riguarda le multe pregresse. O meglio, le cartelle esattoriali emesse in seguito al mancato o insufficiente pagamento delle sanzioni.

La cosiddetta rottamazione delle cartelle riguarda solo i debiti affidati agli agenti della riscossione tra l’1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2015, la somma in sospeso, non deve superare i mille euro complessivi.

la novità più rilevante, è che gli enti locali avranno la possibilità di non applicare la norma, se lo vorranno, entro il 31 gennaio 2023 dovranno stabilirlo con uno specifico provvedimento. In ogni caso, dall’1 gennaio al 31 marzo 2023 è sospesa la riscossione dell’intero ammontare dei debiti.

LO STRALCIO DELLE MINI CARTELLE

Si è voluto incentivare l’acquisto di una casa con uno sconto sull’Iva pari al 50%, purché questa rispetti i più avanzati parametri di efficienza energetica ed ecosostenibilità.

La legge di bilancio dispone l’annullamento automatico dei debiti tributari fino a mille euro (comprensivo di capitale, interessi e sanzioni) risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, la data rilevante per l’annullamento automatico è fissata al 31 marzo 2023.

Viene però stabilito un regime differenziato per i carichi affidati agli agenti della riscossione da enti diversi dalle amministrazioni statali, per tali carichi l’annullamento automatico opera limitatamente alle somme dovute a titolo di interessi per ritardata iscrizione a ruolo, di sanzioni e di interessi di mora, ma non opera per quanto dovuto a titolo di capitale e al quantum maturato a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento. 

Restano inoltre dovute le somme relative a rimborsi di notifica e procedure esecutive.

Il comma 229, inoltre, dà facoltà agli enti locali di disporre la non applicazione delle disposizioni in esame sui carichi iscritti a ruolo di propria competenza, attraverso l’adozione di un provvedimento entro il 31 gennaio 2023.

La norma prevede che tale provvedimento sia approvato “nelle forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti”, aprendo quindi la questione se la competenza appartenga, per gli enti locali, alla giunta o al consiglio.

In base al comma 252, l’eventuale maggior disavanzo determinato per gli enti locali a seguito dell’applicazione delle norme in esame è ripianabile in un massimo di 5 annualità secondo le modalità di cui al decreto ministeriale Mef 14 luglio 2021 (G.U. n. 183 del 2 agosto 2021).

Ovviamente, anche l’aspetto finanziario avrà il suo peso nella decisione se aderire o meno alla sanatoria, guardano però non solo al disavanzo ma anche al rapporto costi/benefici derivante dal proseguimento delle procedure di recupero.

RESTITUZIONE ANTICIPATA FINANZIAMENTO  

È quanto si legge nella sentenza n. 263 depositata, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 11-octies, comma 2, del decreto-legge n. 73 del 2021, nella parte in cui limitava ad alcune tipologie di costi il diritto alla riduzione spettante al consumatore.  

In tale limitazione la Corte costituzionale ha ravvisato una violazione dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e, in particolare, dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE, come interpretato dalla Corte di giustizia con la sentenza dell’11 settembre 2019, C-383/18, caso Lexitor.

Nella citata pronuncia, la Corte di giustizia ha chiarito che il diritto alla riduzione deve riferirsi a tutti i costi sostenuti dal consumatore, e che la riduzione deve operare in proporzione alla minore durata del contratto, conseguente alla restituzione anticipata.

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale, spetterà, dunque, ai consumatori il diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito, anche qualora abbiano concluso i loro contratti prima dell’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021.

FLAT TAX, QUANTO RISPARMIANO LE PARTITE IVA SULLE TASSE?

Nei casi più vantaggiosi, il nuovo sistema di tassazione dei lavoratori autonomi porterà a risparmiare fino a un terzo delle imposte dovute.

Ma ci sono delle condizioni in cui il risparmio sulle tasse da pagare è particolarmente vantaggioso: chi fa grandi salti di reddito rispetto a quanto fatturato negli ultimi tre anni. La flat tax incrementale funziona così: si può applicare l’aliquota del 15% (con una franchigia del 5%) sull’incremento massimo di 40mila euro.

Facciamo un esempio pratico, prendendo due lavoratori con redditi diversi negli ultimi tre anni. Il primo lavoratore tra il 2000 e il 2002 ha avuto un reddito di 70mila euro. Se nel 2023 fatturerà per 100mila euro, sui 30mila euro in più rispetto al triennio precedente pagherà 3.795 euro di imposta sostitutiva, invece dei 11.933 euro di Irpef e addizionali comunale e regionale, con un risparmio del 66,7%.

Il secondo lavoratore invece ha avuto un reddito di 18mila euro negli ultimi tre anni, e nel 2023 fatturerà 28mila euro. Su quei 10mila euro in più dovrà pagare 1.365 euro invece di 2.460, che corrispondono a un risparmio del 44,5%, il nuovo sistema è particolarmente conveniente per chi parte da una base e fa grandi salti di reddito nel corso del 2023.

La nuova imposta sostitutiva è prevista solo per il 2023 e solo per le persone fisiche, quindi lavoratori autonomi, che non applicano il regime forfettario, visto che con le novità in procinto di applicazione il regime forfettario verrà esteso alle partite Iva con ricavi e compensi fino a 85mila euro (invece della soglia attuale a 65mila euro), potranno applicare la flat tax incrementale i soggetti fuori da questa soglia.

Ci sono anche partite Iva al di sotto di questo limite che scelgono di non applicare il forfettario per altri motivi (per esempio, i costi di deduzione) o perché non ne hanno i requisiti (per esempio superano il limite dei 20mila euro di redditi da lavoro dipendente).

ASSEGNO UNICO 2023

Nel 2023 l’importo dell’assegno unico universale godrà di un duplice aumento, da una parte l’incremento dovuto alla rivalutazione degli importi e delle fasce Isee, e dall’altra la maggiorazione riconosciuta dalla legge di Bilancio 2023 ai figli con età inferiore a 3 anni (non compiuti) per i quali viene riconosciuta una maggiorazione del 50%.

Tuttavia la maggiorazione spetta fino al compimento dei 3 anni solamente nel caso si tratti di un figlio successivo al secondo. 

Anche l’assegno unico per figli a carico, infatti, godrà dell’indicizzazione del 7,3%, chi oggi percepisce l’importo massimo, 175 euro per figlio, potrebbe godere di un incremento mensile di 12,77 euro circa, arrivando così a poco più di 187 euro, verrebbe anche rivista la soglia entro cui godere dell’importo massimo: non più 15.000 euro di Isee come oggi, bensì 16.095 euro.

Ma il tutto dovrà essere ufficializzato dall’Inps con apposita circolare.

IL DATORE DI LAVORO PUO’ LICENZIARE UN DIPENDENTE?

La legge prevede alcuni casi in cui è vietato licenziare un dipendente, sia questi a tempo determinato o indeterminato, ovvero è vietato licenziare le lavoratrici per causa di matrimonio, ossia nel periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione delle nozze (salvo si tratti di un licenziamento per giusta causa, per cessazione dell’attività dell’azienda, per ultimazione delle prestazioni cui era adibita la lavoratrice, per esito negativo del periodo di prova). A seguire c’è il divieto di licenziamento durante il periodo di gravidanza.

Tale periodo decorre:

•dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino (l’inizio della gestazione si presume avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza)

•dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione stessa.

Ma chi ha un contratto a tempo determinato può essere licenziato? Nei confronti del dipendente con contratto a tempo determinato non è possibile il licenziamento, il datore di lavoro deve infatti attendere lo scadere del termine del contratto stesso, a meno che non sia dovuto per motivi disciplinari o economici, entrambe condizioni importanti che determinano un possibile licenziamento anche per chi ha un contratto a tempo indeterminato. I motivi disciplinari sono quelli derivanti da una grave violazione del contratto di lavoro o della legge da parte del dipendente, per motivi economici invece si intendono tutte le esigenze produttive e di organizzazione aziendale, chiamato anche “licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

Non bisogna dimenticare comunque che il licenziamento orale è sempre nullo, il che significa che il dipendente ha diritto alla reintegra sul posto.