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ANATOCISMO: DI COSA SI TRATTA?

L’art. 1283 del codice civile definisce anatocismo la determinazione di interessi su interessi già scaduti con la precisazione che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

Sappiamo bene tutti come  l’obbligazione nel pagare una determinata somma comporti, ai sensi dell’art 1282, anche l’obbligazione al pagamento di determinati interessi. Quest’ultimi possono essere corrisposti tenendo conto di un tasso legale o di una convenzione tra le parti mediante atto scritto.

È molto importante prestare attenzione al fatto che questa tipologia di interessi siano diversi da quelli moratori che invece vengono applicati quando il creditore decreta lo stato di messa in mora del debitore.

L’anatocismo ha maggior rilevanza all’interno del sistema bancario dove, gli istituti di credito solitamente addebitano al correntista gli interessi che maturano sul loro conto corrente.

L’art 1283 del c.c. è molto chiaro nel definire come gli interessi debbano essere dovuti da almeno sei mesi e come gli interessi scaduti possano produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione successiva alla loro scadenza.

La norma in questione diventa applicabile  ai soli debiti di valuta e non a quelli di valore. Inoltre, l’art. 1283 c.c. non viene applicato in materia tributaria, dal momento che esistono disposizioni speciali che regolano gli effetti della mora sui debiti.

L’anatocismo è invece applicato in ambito penale.

La Corte di Cassazione, relativamente all’anatocismo, ha stabilito che la prescrizione del diritto di ottenere la restituzione delle somme decorre dalla chiusura del rapporto con l’istituto bancario e non dalla data di ogni annotazione a debito degli interessi all’interno del conto corrente del contribuente.

Tuttavia il decreto Milleproroghe aveva stabilito che, relativamente alla prescrizione,  i dieci anni decorrevano non dalla chiusura del conto corrente, ma dalla singola operazione bancaria. In questo modo si cercava di andare incontro al correntista che vedeva accorciati i tempi di presentazione del ricorso.

La Corte Costituzionale con la sentenza del 2 aprile 2012, n. 78 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, co. 61 della L. n. 10/2011, Decreto Milleproroghe, per violazione dell’art. 3 Cost. La suddetta disposizione non rispetta il canone generale di eguaglianza e ragionevolezza tipico delle disposizioni legislative.

Il 2016 è stato un anno importante per la lotta all’anatocismo soprattutto nel settore bancario.

Con d.m. n. 343/2016, emanato dal Ministro dell’economia è stato definito che gli interessi debitori maturati nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito non possono produrre interessi, ad eccezione di quelli di mora. Inoltre, dal 2016 gli interessi debitori devono avere periodicità annuale come quelli creditori. Questi due tipi di interessi vanno calcolati entro il 31 di dicembre di ogni anno.

Secondo lo stesso decreto, qualora sussistono nuove aperture di linee di credito, gli interessi debitori devono essere contabilizzati separatamente dal capitale e che quelli relativi alle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento diverranno esigibili a dal 1° marzo relativo all’anno successivo a quello in cui essi maturano.

Ad oggi l’istituto bancario e il cliente possono decidere di pattuire il pagamento degli interessi con addebito in conto a valere sul fido per le aperture di credito regolate in conto corrente.

Una distinzione importante da fare è quella tra anatocismo e usura. È fondamentale cercare di non confondere i due termini. Infatti, mentre l’anatocismo costituisce un illecito civile, l’usura costituisce invece un illecito penale, sanzionato pesantemente dal nostro ordinamento giuridico.

Relativamente al calcolo dell’anatocismo questo deve essere eseguito rielaborando contabilmente le operazioni pecuniarie compiute e valutando se l’ammontare degli interessi è stato inficiato dal computo di elementi che non avrebbero dovuto essere inseriti nella relativa base di calcolo.

Dal momento che parliamo di un calcolo un po’ complesso, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad un esperto.

COSA SONO I BONIFICI ISTANTANEI E PERCHE’ NON SI POSSONO ANNULLARE?

Che cosa sono i bonifici istantanei? Si tratta della nuova frontiera dei trasferimenti di denaro immediati. La comodità del correntista è nel fatto che bastano 10 secondi affinché il denaro venga  facilmente trasferito da un conto corrente all’altro. Ma non è tutto: il bonifico istantaneo infatti può essere disposto in ogni momento, 24 ore su 24, 365 giorni su 365.

Si tratta di una bella comodità per chi deve effettuare un pagamento urgente o in scadenza.

Ma c’è anche un aspetto negativo: i bonifici istantanei, a differenza degli altri bonifici, non si possono annullare. Il motivo ha a che fare con i tempi dell’operazione.

Il vantaggio inestimabile dell’istantaneità del trasferimento di denaro non permette di annullare l’operazione. Chi quindi decide di effettuare un bonifico istantaneo deve prestare la massima attenzione in fase di compilazione dei dati necessari a disporre il bonifico.

La differenza col bonifico ordinario sta nel fatto che, per quest’ultimo,  se ci si accorge che si è commesso un errore nella compilazione dei dati necessari alla sua disposizione, è possibile procedere al suo annullamento, solo se non è ancora stato eseguito “contabilmente” e risulta quindi ancora nello stato “prenotato”. Ciò non è possibile per il bonifico istantaneo che viene effettuato in soli 10 secondi.

CONTO CORRENTE COINTESTATO COL DECEDUTO: COSA SUCCEDE?

Possiamo dire che un conto è cointestato quando due o più persone sono contitolari di una somma di denaro per una quota uguale o diversa.

Il conto cointestato può essere a firma congiunta (se per disporre delle somme depositate è necessario ottenere la firma e il consenso di tutti gli altri intestatari) o a firma disgiunta (ciascun contitolare può effettuare qualsiasi operazione autonomamente).

Questo tipo di conto può anche avere anche natura ibrida, nel senso che i contitolari possono stabilire che alcune operazioni vengano effettuate congiuntamente ed altre disgiuntamente.

Ma che succede in caso di morte del contitolare?

Se ci troviamo di fronte alla situazione di un conto a firma disgiunta, il contitolare superstite potrà disporre della sua quota mentre l’altra metà sarà congelata dalla banca in attesa che si concluda la pratica di successione.

Qualora, invece, il conto è a firma congiunta, questo sarà bloccato fino alla conclusione del procedimento di successione.

Si potrà provvedere alla liquidazione dei soldi giacenti in banca al momento del decesso solo dopo aver accertato chi sono gli eredi del contitolare ormai defunto. Se la banca non riceve la copia della dichiarazione di successione non potrà sbloccare il conto per distribuire le rispettive quote.

In presenza di un conto corrente bancario intestato a due persone, in particolare a due coniugi, si presume che entrambe siano titolari del rapporto. Tuttavia, bisogna fare delle precisazioni.

In caso di decesso di uno dei coniugi, se il conto è a firma disgiunta la banca non può impedire al singolo cointestatario di poter disporre delle somme depositate.

In altre parole, in presenza di un conto cointestato con facoltà degli intestatari di compiere operazioni sia attive che passive anche in maniera disgiunta, la banca non può impedire al contitolare superstite di disporre dell’intera somma presente sul conto, ossia anche di quella destinata alla successione.

Questo vuol dire che eventuali eredi del defunto, al fine di tutelare i propri diritti successori, devono agire unicamente nei confronti del cointestatario.

Può capitare il caso in cui il conto sia stato alimentato solamente dallo stipendio del correntista deceduto. In tal caso, si parla di contitolarità simulata. In questa ipotesi, le somme presenti sul conto cointestato passeranno in successione e il superstite non potrà vantare alcuna titolarità su tali importi. Gli eredi saranno però tenuti a dimostrare che le somme depositate siano il frutto dei redditi di un solo coniuge.

POSTEPAY: PUO’ ESSERE PIGNORATA?

Molti credevano di essere al sicuro conservando i propri risparmi e i propri guadagni all’interno di una postepay, ma in realtà non è assolutamente così..

Milioni di clienti di Poste Italiane spesso scelgono si aprire un vero e proprio conto corrente nella filiale di zona associando una PostePay card.

Molti però non sanno che, pur essendo una prepagata, la PostePay è pignorabile.

È però anche importante sapere che non accade se non si presentano determinate condizioni.

Infatti, il pignoramento della carta prepagata avviene solo in caso di presenza di debiti contratti e non saldati.

Quali sono i requisiti affinché la PostePay sia soggetta a pignoramento?

Prima di tutto è giusto chiarire che in caso di debiti finanziari si rischia il pignoramento. Quando l’Agenzia delle Entrate chiama è necessario saldare il debito entro il termine descritto se non si vuole rischiare il pignoramento dei beni immobili e mobili.

Ovviamente è necessario sapere anche che non è sufficiente un ritardo nel pagamento di poche rate per attivare un pignoramento da parte del creditore sul conto corrente del debitore.

Infatti, prima di arrivare a tale situazione drastica, devono essere emessi diversi solleciti di pagamento, in seguito poi si procede con il pignoramento. Questo non esclude nessun bene da tale azione, quindi nemmeno la carta prepagata delle Poste Italiane è fuori pericolo come lo stipendio e la pensione.

Tutte le carte prepagate nominative di ogni genere, sono pignorabili compresa la PostePay in ogni sua versione: Junior, Evolution, Standard. Non serve che ci sia il nome stampato, basta che sia intestata a una persona specifica ovvero colui che per ottenerla ha dovuto presentare documento e codice fiscale. Perciò conto corrente, libretti di risparmio e PostePay subiranno il pignoramento come altro bene intestato al debitore.

IN CHE MODO DIFENDERSI DALLE TRUFFE ALL’HOME BANKING

Difendersi dai rischi informatici è molto importante al mondo d’oggi dove tutto avviene telematicamente. Anche all’interno del mondo bancario sono sempre più diffuse le iniziative di formazione del personale e campagne di sensibilizzazione della clientela.

Del resto la clonazione di una carta di credito rappresenta un costo per le banche che sono chiamate a rimborsare il correntista.

Ma quali sono le principali regole da seguire per operare online in modo comodo e sicuro?

Innanzitutto bisogna diffidare di qualunque richiesta di dati relativi a carte di pagamento, chiavi di accesso all’home banking o altre informazioni personali ricevute su qualsiasi canale digitale. Gli istituti bancari non chiederanno mai queste informazioni, anche in ragione di presunti motivi tecnici o di sicurezza.

Per connettersi all’home banking è consigliato scrivere direttamente l’indirizzo nella barra di navigazione. Non bisogna cliccare su link presenti su e-mail e sms, che potrebbero invece condurre il correntista su siti non corretti ma simili all’originale.

Un’attenzione particolare deve essere posta all’autenticità della connessione con la banca, controllando il nome del sito nella barra di navigazione.   

Si consiglia, inoltre, di controlla regolarmente le movimentazioni del conto corrente affinchè le transazioni riportate siano quelle realmente effettuate.

Bisogna diffidare di qualsiasi messaggio, anche se apparentemente autentico, ricevuto tramite e-mail, sms, social network, etc. che invita a scaricare documenti o programmi in allegato. Potrebbero contenere dei malware che si installano sul  pc.

È consigliato, inoltre, mantenere aggiornati software di protezione ed effettuare delle scansioni periodiche del pc.

Se il computer rallenta o si verifica l’apertura di finestre non richieste, potrebbero essersi verificate delle infezioni sospette .

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DOPO QUANTO TEMPO UN DEBITORE SEGNALATO AL CRIF PUO’ CHIEDERE UN FINANZIAMENTO?

Diventa impossibile, per chi ha ricevuto una segnalazione al Crif, ottenere un finanziamento.

Ma che cosa è il Crif?

Si tratta di una banca dati che raccoglie tutte le informazioni sulla situazione finanziaria di ogni soggetto richiedente un prestito.

Qualsiasi istituto finanziario utilizza la banca dati Crif per conoscere lo status del cliente che va in banca per chiedere un prestito. Essere segnalato al Crif come cattivo pagatore vuol dire vedersi negata qualsiasi possibilità di ottenere credito.

La segnalazione al Crif avviene se si ritarda o si manca il pagamento di due rate consecutive di un finanziamento. La banca che ha corrisposto il prestito invia al cliente, 15 giorni prima di segnalarlo al Crif, una comunicazione di avviso sull’avvenuto ritardo. Il cliente ha 15 giorni di tempo in cui è ancora possibile evitare di essere segnalati saldando l’importo dovuto.

In caso di ulteriori ritardi, l’istituto di credito che eroga la liquidità segnalerà al Crif il nominativo del cattivo pagatore.

Ma quanto dura la segnalazione al Crif?

Dipende dalla gravità dell’insolvenza.

Se il cliente ha avuto ritardo di 2 rate che sono state successivamente sanate la  segnalazione al Crif  dura un anno di tempo dalla regolarizzazione, a condizione che nei 12 mesi i pagamenti siano sempre puntuali.

Se invece, parliamo di un ritardo di più di 2 rate  ma poi sanate, la segnalazione dura due anni dalla regolarizzazione, a condizione che nei 24 mesi sucvcessivi i pagamenti siano sempre puntuali.

Infine, per il ritardo di due o più rate non sanate la segnalazione avviene per la durata di tre anni dalla scadenza del contratto di finanziamento o dalla data in cui l’istituto di credito ha fornito l’ultimo aggiornamento.

La cancellazione al Crif avviene automaticamente allo scadere dei tempi stabiliti: solo allora sarà possibile richiedere un nuovo finanziamento.

Tutte le banche si affidano infatti al Crif per valutare l’affidabilità di un richiedente.

Nel caso in cui il debitore volesse  richiedere la cancellazione il Crif deve rivolgersi direttamente al proprio istituto di credito. È possibile, allo stesso modo, anche richiedere la modifica dei propri dati, se si ritiene siano sbagliati. 

Se si vuole prendere visione delle proprie informazioni presenti nella banca dati, è possibile farlo attraverso il modulo richiesta Crif.

Qual è quindi la soluzione se si ha bisogno di un prestito ma si è stati segnalati al Crif?

Una risposta potrebbe essere quella della cessione del quinto.

In questo modo viene stipulato un contratto di prestito attraverso il prelievo diretto di un quinto dello stipendio o della pensione. La garanzia viene data dal fatto che è lo stesso datore di lavoro, o l’ente previdenziale, a detrarre la rata mensile e versarla all’istituto di credito.

La cessione del quinto può essere richiesta sia dai pensionati che dai dipendenti privati o statali.

In questo caso non è necessaria alcuna garanzia, è invece obbligatoria per tutti la stipula di una polizza rischio vita.

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QUANDO LA BANCA E’ RESPONSABILE DEL FURTO DAL CONTO CON UTILIZZO DEL BANCOMAT?

Sappiamo tutti che, quando ci viene rilasciata una carta bancomat, la banca ci fornisce anche un codice pin grazie al quale possiamo comodamente effettuare operazioni dallo sportello. La custodia del predetto codice, ovviamente, spetta al titolare del conto corrente.

Cosa succede nel caso in cui qualcuno carpisce il nostro codice pin ed effettua prelievi da nostro conto corrente?

Che si tratti di istituto bancario oppure postale, il ragionamento non cambia. Entrambi sono tenuti a garantire la massima sicurezza nei confronti del cliente titolare di un conto corrente presso la loro sede.

Secondo la Corte di cassazione,  anche se il correntista è tenuto a conservare il pin, la banca non può sollevare eccezioni infondate di omessa custodia del pin secondo un proprio regolamento interno mai sottoscritto nelle forme previste dalla legge dai correntisti.

L’istituto bancario, quindi, ha l’onere di provare concretamente tale negligenza da parte del correntista.

Si, può, al contrario, affermare che sia del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, e dunque gli intermediari finanziari, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare del conto o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.

Pertanto l’istituto bancario, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, deve rispondere per il “furto” a danno del correntista.

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PUO’ LA BANCA RIFIUTARE LA SURROGA DI UN MUTUO?

la legge Bersani specifica come la banca che eroga il mutuo non può impedire al proprio cliente di portarsi il suo debito altrove. Nessuna legge però indica che l’altra banca, cioè quella in cui si sono trovate delle condizioni più convenienti, sia obbligata ad acconsentire al passaggio.

La giurisprudenza ha previsto che possa esserci il passaggio di un mutuo in corso da una banca ad un’altra. Devono essere, però, rispettate delle condizioni per poter fare la surroga del finanziamento.

Innanzitutto  il nuovo mutuo deve avere un importo pari o inferiore al debito residuo nel momento in cui viene effettuato il passaggio. Le spese relative al trasferimento, inoltre, sono da imputare alla nuova banca.

La durata del piano di ammortamento ed il tipo di tasso possono essere modificati.

Inoltre deve essere cancellata la vecchia ipoteca sull’immobile ed è necessario iscriverne una nuova a favore della banca presso la quale avviene il passaggio.

Infine, è bene sapere che non è possibile cambiare gli intestatari e i garanti del mutuo originale, a meno che la banca lo proponga per l’importo residuo o per altre circostanze favorevoli.

La banca che ha erogato il finanziamento non può mai rifiutare il passaggio del mutuo in corso verso un altro istituto di credito. Il nulla osta, dunque, deve essere rilasciato, sempre che venga rispettata la procedura relativa alla surroga del mutuo.

A rifiutarsi può essere il nuovo istituto di credito per diversi motivi:

  • l’importo del finanziamento ancora da restituire è inferiore a 50mila euro: una somma bassa comporta interessi bassi, cioè un guadagno poco interessante per la banca;
  • il reddito del mutuatario è cambiato rispetto a quando gli era stato concesso il finanziamento dalla vecchia banca;
  • ci sono stati dei problemi in precedenza con il pagamento di alcune rate del mutuo;
  • il valore dell’immobile si è ridotto in maniera consistente e non rappresenta più una garanzia valida;
  • la fine del piano di ammortamento è vicina e la nuova banca si rende conto che la differenza tra le spese per accendere un nuovo mutuo e il guadagno che questo procura non rappresenta per la banca un guadagno significativo.

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QUANDO CONVIENE L’ESTINZIONE ANTICIPATA DI UN PRESTITO

Quando decidiamo di richiedere un prestito, a volte ci capita che, nel corso del tempo di avere la possibilità di restituire l’importo dovuto all’istituto di credito prima della scadenza naturale del contratto. In questo caso ci troviamo ad affrontare l’estinzione anticipata del nostro prestito.

Si tratta di un’operazione attraverso la quale il debitore deve restituire all’istituto creditizio il capitale residuo e gli interessi maturati fino a quel momento.

Ma attenzione: è sempre bene valutare la convenienza nell’affrontare un’estinzione anticipata di un debito verso la banca. Infatti, prima di decidere di optare per questa soluzione, è sempre consigliabile calcolare la quota che si dovrà restituire.

Per farlo è necessario verificare nel contratto il prospetto della situazione del finanziamento. Grazie a questo documento, che dovrebbe essere aggiornato allo scadere di ogni rata, è infatti possibile capire a quanto ammontano le quote di capitale residuo e di interessi che si devono ancora corrispondere in banca.

Estinguere anticipatamente un prestito può essere vista come una soluzione conveniente se ti trovi all’inizio del finanziamento e hai ancora molti interessi dovuti.

Se invece hai ormai rimborsato la quasi totalità del debito e degli interessi potrebbe non essere una soluzione così vantaggiosa.  Ci si potrebbe trovare nella situazione di dover pagare alla banca anche i mancati interessi sotto forma di penale.

In alcuni casi l’estinzione anticipata potrebbe prevedere il pagamento di una mora proprio in virtù del fatto che il finanziamento si conclude prima dei termini fissati nel contratto e concordati con la banca. A partire dal 1° giugno 2013 con la riforma del credito al consumo sono state introdotte nuove normative che hanno fissato nuove regole anche in materia di rimborso anticipato del prestito.

In particolare se la vita residua del contratto è superiore a un anno l’indennizzo previsto corrisponde all’1 % dell’importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno l’indennizzo corrisponde allo 0,5 % dell’importo rimborsato.

La maggiorazione sopra descritta non è dovuta se l’importo rimborsato anticipatamente corrisponde all’intero debito residuo o se l’importo rimborsato è pari o inferiore a 10.000 euro.

Altro motivo per cui non è necessario pagare l’indennizzo è quando il rimborso è stato effettuato in esecuzione di un contratto con un’assicurazione a garanzia del credito.

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RACCOMANDATA CONSEGNATA IN RITARDO: I RIMBORSI PREVISTI

Cosa succede se le Poste consegnano in ritardo una lettera raccomandata? è possibile ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza della loro lentezza. Lo stesso dicasi nel caso in cui la lettera arrivi a destinazione completamente rovinata o, ovviamente, nel caso in cui non arrivi mai al destinatario.

Del resto, alla base dell’affidamento di una lettera alle Poste vi è un vero e proprio negozio giuridico, riconducibile al contratto di spedizione, che viene stipulato nel momento in cui si paga il prezzo della raccomandata allo sportello, attestato dalla ricevuta di spedizione. È con queste operazioni, infatti, che si può dire che le volontà delle parti si incontrino.

Il contratto stipulato con l’invio della raccomandata, si trovano nella Carta dei servizi. Si tratta di un documento predisposto unilateralmente dalle Poste e disponibile sul sito web dell’azienda.

In caso di ritardo nella consegna o nelle altre ipotesi sopra viste è proprio a tale documento che occorrerà fare riferimento per capire come comportarsi. All’art 5 la Carta disciplina l’Assistenza, la procedura di Conciliazione e i reclami, all’art. 6 invece i rimborsi, gli indennizzi e i ristori.

Tra le ipotesi per le quali è possibile presentare reclamo rientrano sia il ritardo nel recapito, che il mancato recapito, che il danneggiamento o la manomissione totali o parziali del plico.

La presentazione del reclamo è diversa a seconda che il soggetto richiedente sia o meno contrattualizzato.

Ricordiamo inoltre che i rimborsi, gli indennizzi e i ristori spettano solo per i servizi per i quali è possibile determinare i dati relativi alla spedizione, alla destinazione e alla consegna in modo certo, in conformità sia alla legislazione nazionale vigente che alla Convenzione Postale Universale ratificata anche in Italia.

Al ristoro dei danni per il disservizio delle poste e previsti dalla carta dei Servizi si affiancano quelli che è possibile richiedere in sede giudiziaria. A questo proposito è interessante segnalare l’ordinanza della Cassazione n. 5231/2022, avente ad oggetto la domanda risarcitoria avanzata per chiedere i danni derivanti dalla tardiva consegna di una raccomandata inviata da un’ Università. Sui danni richiesti gli Ermellini, nel rigettare il ricorso hanno avuto modo di precisare che: “La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la perdita di chance costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale, ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza (sentenza 30 settembre 2016, n. 19604); ed ha anche affermato che tale perdita implica la sussistenza ex ante di concrete e non ipotetiche possibilità di conseguire vantaggi economici apprezzabili, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.

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