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IL LICENZIAMENTO

Il datore di lavoro non può licenziare i dipendenti a propria discrezione. Il licenziamento è ammesso per motivi disciplinari, legati quindi al comportamento del lavoratore, economici e organizzativi. Secondo le leggi in vigore, è vietato licenziare la dipendente donna nel periodo che intercorre tra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione del suddetto. Questo divieto è volto a limitare la discriminazione ed è rivolto proprio alle dipendenti femminili. Rimane legittimo, invece, il licenziamento per giusta causa, per cessazione dell’attività aziendale o termine delle mansioni della lavoratrice o per scadenza contrattuale. È vietato licenziare una lavoratrice incinta, divieto che permane fino al 1 anno di età del figlio. È vietato licenziare il padre che si astiene dal lavoro per i primi tre mesi del figlio in mancanza della madre nelle ipotesi di grave infermità, morte, abbandono o affidamento esclusivo del padre. Rimane, tuttavia, legittimo il licenziamento nei casi espressamente previsti dalla legge, giusta causa e scadenza contrattuale compresi. È vietato licenziare il dipendente durante la malattia a meno che non superi il periodo di comporto previsto dal contratto collettivo nazionale. Il licenziamento per malattia è legittimo anche in caso di giusta causa legata alla malattia stessa, come: falso certificato medico, assenze alle visite fiscali, doppio lavoro. Non si può licenziare il dipendente assente per malattia a causa di un infortunio sul lavoro: egli ha diritto a rientrare a lavoro soltanto a guarigione ultimata. Il licenziamento di un dipendente per il venir meno della mansione a cui è adibito diventa illegittimo quando, a distanza di poco tempo, il datore di lavoro assume un altro lavoratore per le medesime occupazioni. Il licenziamento per motivi economici o giusta causa è illegittimo quando il datore di lavoro adduce motivi inesistenti o che non riesce a dare prova di contestazione da parte del dipendente. Non si può licenziare il dipendente assente per malattia a causa di infortunio sul lavoro che ha diritto a rientrare a lavoro soltanto a guarigione ultimata. Non è possibile licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo quando costui può essere adibito ad altre mansioni di cui l’azienda necessita. È vietato, inoltre, licenziare il lavoratore per esercitare ritorsioni, ad esempio, se il dipendente ha fatto causa al datore di lavoro o una vertenza. In queste ipotesi rimane fermo il diritto del datore di lavoro per licenziare il dipendente quando sussistono le condizioni previste dalla legge. È necessario che siano provabili in modo incontrovertibile perché il minimo dubbio a riguardo comporta l’illegittimità del licenziamento in quanto discriminatorio e quindi l’obbligo di reintegra del lavoratore.

DIMISSIONI PER TRASFERIMENTO

La Corte di Torino ha emesso una sentenza importantissima in ambito di dimissioni per trasferimento.
Questa sentenza contraddice il messaggio Inps 369/2018.
Per ottenere l’assegno di disoccupazione (NASPI) è necessario essere licenziati dal datore di lavoro.
Può trattarsi di licenziamento disciplinare (per giusta causa) o di licenziamento economico, legato a ragioni organizzative o produttive, come il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Si può trattare anche di licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione presso l’ispettorato del lavoro. Chi si dimette volontariamente non ha diritto alla NASPI, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa come, ad esempio, di una grave violazione del datore di lavoro.
Per aver diritto all’assegno è necessario aver versato contributi per almeno 13 settimane nei quattro anni precedenti l’inizio della disoccupazione.
Secondo il messaggio Inps n.369/2018, il dipendente che rifiuta il trasferimento ha diritto all’assegno di disoccupazione se:
-c’è risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, solo se il trasferimento avviene in una sede distante più di 50 km dalla propria residenza o raggiungibile coi mezzi pubblici in più di 80 minuti;
– in caso di dimissioni solo se il dipendente mostra che il trasferimento non è sorretto da ragioni tecniche, organizzative e produttive, indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.
Il tribunale di Torino, con la sentenza n. 429 del 27 Aprile 2023, ha ritenuto illegittimo l’onere della prova posto dall’Inps a carico del lavoratore. In particolare, ha stabilito che i dipendenti che vengono trasferiti in una sede distante non sono tenuti a dimostrare che il trasferimento era privo di valide ragioni al fine di avere diritto alla disoccupazione. Il tribunale di Torino, ha quindi annullato la prassi dell’Inps basata sul messaggio 369/2018. Secondi l’art 3 del Dlgs 22/2015, oltre al requisito contributivo di 13 settimane, il lavoratore che richiede la disoccupazione deve essere in stato di disoccupazione involontaria a seguito della perdita del proprio impiego. Dopo la sentenza del Tribunale di Torino, i dipendenti che si dimettono per trasferimento possono richiedere la disoccupazione e ne hanno diritto in via automatica senza dover dimostrare che il trasferimento era senza ragioni giustificate.

VIOLAZIONI RIPETUTE SUL POSTO DI LAVORO

Ripetute violazioni sul posto di lavoro possono portare al licenziamento?
Il contratto collettivo nazionale (il CCNL) individua, per ciascuna condotta illecita, la relativa sanzione.
Quando ciò non succede, il datore di lavoro applica, secondo un criterio di proporzionalità, la punizione adeguata al caso concreto. La valutazione può essere sindacata dal giudice in caso di contestazione da parte del lavoratore. Le sanzioni possono essere determinate dal regolamento aziendale, definito dallo stesso datore di lavoro.
Per essere valide, queste devono essere conosciute dai dipendenti.
Prima di applicare la sanzione, il datore di lavoro deve inviare una contestazione scritta al dipendente dandogli cinque giorni di tempo per difendersi e solo all’esito di tale termine può comunicargli la relativa sanzione.
Il dipendente, nello scrivere le proprie difese, può anche chiedere di essere sentito personalmente alla presenza di un sindacalista (non è ammesso l’avvocato).
La sanzione irrogata prima del decorso dei cinque giorni è illegittima.
Le sanzioni possono consistere nell’ammonizione scritta, in una multa (la trattenuta in busta paga per un massimo di 4 ore di retribuzione base), nella sospensione dal soldo e dal servizio (interruzione della erogazione retributiva per un massimo di 10 giorni), nel trasferimento e infine nel licenziamento.
Potrebbe anche succedere che il lavoratore compià più volte lo stesso illecito.
In caso di violazioni ripetute sul lavoro, il contratto collettivo può prevedere sanzioni più gravi, come la recidiva. Essa scatta quando il dipendente reitera, nell’arco di due anni, il comportamento che ha dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare.
Per poter applicare la disciplina della recidiva, il precedente comportamento deve essere stato già formalmente contestato al lavoratore, diversamente la sanzione più grave è nulla (sent.n.18294/2002). Se non si può più applicare la recidiva, perché già decorsi due anni dall’ultimo illecito, secondo la Corte, le precedenti violazioni possono venir prese in considerazione come circostanze confermative degli addebiti contestati, ai fini della valutazione della complessiva gravità proprio perché la ripetizione di condotte scorrette nel tempo rende la violazione degli obblighi del lavoratore ancora più grave a prescindere dall’applicazione della disciplina sulla recidiva. Ciò può portare a sanzioni più severe o addirittura al licenziamento.
Per la valutazione del licenziamento per violazioni ripetute, i giudici considerano la negligenza e l’improduttività nella prestazione lavorativa, gli sforzi dell’azienda per fornire formazione e assistenza adeguata e infine la persistenza delle condotte nonostante le precedenti sanzioni.

LA LETTERA DI IMPEGNO ALL’ASSUNZIONE

Talvolta, prima della firma del contratto di lavoro, tra il futuro lavoratore e il futuro datore, viene sottoscritta una c.d. lettera di impegno all’assunzione, consegnata al lavoratore in vista del suo ingresso ufficiale in azienda. Questa lettera è utile per tutti quei lavoratori che hanno già un lavoro ma stanno cercando una nuova posizione: con questa, infatti, possono dimettersi rispettando il preavviso di cui al Ccnl applicato e salvaguardarsi da eventuali ripensamenti da parte del datore di lavoro. La lettera di impegno all’assunzione è una scrittura privata che, se firmata da entrambe le parti, ha natura giuridica e vincolante. Con la presente, l’azienda si obbliga ad assumere il lavoratore ad una determinata data e il futuro lavoratore accetta l’obbligo di firmare il contratto di assunzione alla data indicata nella lettera. Ci sono due diverse tipologie di lettera. Questa può vincolare: – ambo le parti dove futuro datore e futuro lavoratore si obbligano a rispettare quanto pattuito; – solo il datore di lavoro ove la lettera è sottoscritta meramente dal datore di lavoro con il lavoratore che rimane libero di scegliere se accettare o meno la proposta. La lettera d’impegno non implica obblighi amministrativi: essendo una scrittura privata non assume rilevanza esterna ma soltanto tra le parti. È, piuttosto, un accordo preliminare che certifica la volontà di ambo le parti e le impegna per il futuro. Una lettera d’impegno all’assunzione redatta correttamente deve includere gli identici elementi che formeranno l’oggetto del contratto definitivo, ovvero: -identità delle parti, – l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, – la data di inizio del rapporto di lavoro, – la durata del periodo di prova,- il luogo di lavoro,- la retribuzione, – la sede o il domicilio del lavoratore, – la durata del rapporto di lavoro, indicando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, – durata, modalità di individuazione e fruizione delle ferie retribuite, – il diritto di precedenza in caso di future assunzioni in ipotesi di contratto a tempo determinato, – i termini del preavviso in ipotesi di recesso. Altri elementi dovranno ritenersi facoltativi: starà alla discrezionalità delle parti inserirli o meno nella lettera di impegno all’assunzione. Chi sottoscrive la lettera di impegno all’assunzione può proteggersi con alcune clausole anti-ripensamento quali: – la clausola risolutiva espressa, grazie alla quale l’azienda non è più vincolata all’assunzione se il lavoratore non si presenta sul luogo di lavoro alla data fissata; – la clausola penale, con la quale le parti indicano quale danno dovrà essere risarcito in ipotesi di ripensamento. Qualora l’azienda, nonostante la lettera di impegno, decida di non procedere con l’assunzione il lavoratore sarà tutelato a livello contrattuale grazie alla presenza della citata clausola penale che farà scattare un obbligo di risarcimento danni sull’azienda. Inoltre, il lavoratore potrà rivolgersi al giudice del lavoro e chiedergli che sia data effettiva esecuzione da parte dell’azienda alla lettera di impegno all’assunzione e chiedere il risarcimento del danno subito a causa della mancata esecuzione del contratto di lavoro. Nel caso in cui sia il lavoratore a non rispettare i termini della lettera di impegno all’assunzione sarà costui a non dover risarcire i danni patiti dal datore di lavoro.

BUONI PASTO 2023

L’azienda che non mette a disposizione una mensa al proprio dipendente è obbligato a erogare i buoni pasto?

I buoni pasto in formato cartaceo o elettronico possono essere erogati dal datore di lavoro ai propri dipendenti, sia quelli assunti a tempo pieno che con contratto part-time.

Quello che in molti si chiedono è se i buoni pasti siano obbligatori o meno: chiariamo sin da subito che l’azienda non è obbligata all’erogazione, salvo diversa indicazione contenuta nel CCNL di categoria.

Al contrario, i buoni pasto vengono spesso utilizzati come forma di premialità riconosciuta dal datore di lavoro ai propri dipendenti.

Con la Legge di Bilancio 2020 sono apportate importanti modifiche alle esenzioni fiscali dei buoni pasto in favore dei dipendenti.

Per i buoni pasto cartacei i limite di esenzione fiscale passa da 5,29 euro a 4 euro, mentre per quelli elettronici sale da 7 a 8 euro. Il tutto, ovviamente, per favorire l’utilizzo dei buoni pasto elettronici, tracciabili, che rendono più difficile l’evasione fiscale.

 vantaggi fiscali previsti per i buoni pasto elettronici non consistono soltanto nell’esenzione dalla tassazione fino al valore di 8 euro di ciascun buono pasto elettronico (mentre abbiamo visto che per i cartacei l’esenzione passa a 4 euro).

Ecco tutti i vantaggi fiscali e le novità sulla tassazione dei buoni pasto elettronici:

  • Aziende: Iva al 4%. Con i buoni pasto elettronici l’azienda può detrarre integralmente l’Iva sui ticket. Indetraibile, invece, per i ticket restaurant cartacei.
  • Liberi professionisti: titolari d’azienda e soci, aziende individuali possono detrarre invece l’Iva al 10% e il 75% delle spese per un importo massimo pari al 2% del fatturato.

  • Persone giuridiche: Ires 100%. Possono detrarre al 100% l’importo dei buoni pasto sia elettronici che cartacei, secondo quanto previsto dalla Circolare Ministeriale n. 6/E del 3 marzo 2009.

Cosa fare se non è possibile utilizzare i buoni pasto?

’indennità sostitutiva di mensa: al lavoratore viene erogato in busta paga l’importo di denaro corrispondente al valore del buono pasto garantito dall’azienda.

Anche l’indennità sostitutiva di mensa è esente da tassazione, ma secondo le indicazioni dell’INPS solo ove ricorrano le seguenti condizioni:

  • un orario di lavoro che comporti la pausa per il vitto;
  • stabile assegnazione ad una unità produttiva;
  • unità produttiva situata in un luogo che non consente di recarsi, senza l’utilizzo di mezzi di

Come nel caso dei buoni pasto cartacei, l’indennità sostitutiva non è soggetta a tassazione fino ad un valore pari a 5,29 euro per i ticket restaurant cartacei e di 8 euro per i buoni pasto elettronici.

COSE’ IL BONUS BUSTA PAGA DI LUGLIO

I datori di lavoro dovranno applicare un nuovo bonus in busta paga: lo conferma l’Inps.

Ricordiamo, che i dipendenti interessati non devono fare nulla, in quanto appunto verrà accreditato in automatico dal datore di lavoro.

Nel dettaglio: il nuovo taglio del cuneo fiscale che – come da istruzioni Inps fornite con il messaggio n. 1923/2023 – si applicherà da luglio a dicembre 2023 e senza effetti per la tredicesima.

Quindi, a partire dalla busta paga di luglio verrà applicato un esonero contributivo:

  • nella misura del 6% a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro;
  • nella misura del 7% a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo di 1.923 euro;

Con l’aumento dello sgravio al 6% e 7% – a seconda dell’importo della busta paga – ne scatterà un risparmio ulteriore, pari al 4% della retribuzione percepita.

L’Inps ci ricorda che l’ulteriore 4% di esonero contributivo non si applica alla tredicesima mensilità. Per ogni singolo rateo di tredicesima, quindi, continua a essere applicato lo sgravio come finanziato dalla legge di Bilancio 2023.

Quindi, l’esonero sarà del:

  • 2% a condizione che la tredicesima non ecceda l’importo di 2.692 euro, oppure 224 euro nel caso in cui la tredicesima venga pagata mensilmente;
  • 3% se la tredicesima non eccede l’importo di 1.923 euro, 160 euro se pagata mensilmente.

Dal momento che lo sgravio è differente tra stipendio e tredicesima, la verifica del rispetto delle soglie retributive – sia per capire se il bonus spetta, sia per quantificarne la misura – va effettuata separatamente sulla retribuzione mensile e sui ratei di tredicesima.

FERIE NON GODUTE

Le ferie, sono disciplinate dalla legge, il diritto del lavoratore al godimento delle ferie è sancito infatti dall’art. 2109 del Codice Civile e regolato dal D.Lgs n.66/2003 e D. Lgs 213/2004.

Qui viene stabilito che ogni anno il lavoratore ha diritto a un minimo di 4 settimane di riposo; il numero di giorni di ferie che spettano al lavoratore può variare a seconda del Ccnl ma, in ogni caso, non può diminuire.

Di queste 4 settimane, almeno 2 devono essere godute entro l’anno di maturazione mentre le altre entro i 18 mesi successivi, salvo diverse disposizioni del Ccnl di riferimento.

Ne risulta, dunque, che:

  • le ferie non godute maturate tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2021 devono essere fruite entro il 30 giugno 2023;
  • le ferie non godute maturate tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2022 devono essere fruite entro il 30 giugno 2024;
  • le ferie non godute maturate nell’anno corrente dovranno essere fruite entro il 30 giugno 2025.

Le ferie residue non si perdono, restano ancora a disposizione del dipendente, per l’Inps è come se queste fossero state utilizzate, quindi al datore di lavoro spetta l’obbligo di versare i contributi previsti.

Ferie non godute dopo 18 mesi: le conseguenze per il datore di lavoro: sanzioni amministrative, per un importo che varia a seconda del numero di dipendenti interessati:

  • da 120 a 720 euro quando le violazioni sono relative a un solo anno e che riguardano al massimo 5 lavoratori;
  • da 480 a 1.800 euro quando violazioni si sono verificate per almeno due anni e hanno coinvolto più di 5 lavoratori;
  • da 960 a 5.400 euro quando le violazioni si sono verificate per più di 4 anni oppure hanno coinvolto almeno 10 lavoratori.

Ricordiamo che per legge le ferie non possono essere pagate finché si sta continuando a lavorare con quell’azienda o datore di lavoro.

I decreti legislativi, stabiliscono l’espresso divieto di monetizzazione durante il rapporto di lavoro per difendere il diritto alla salute del lavoratore, il quale necessita di un periodo di distacco dal posto di lavoro per recuperare le energie psico-fisiche.

L’indennità sostitutiva per le ferie non godute al termine del rapporto di lavoro viene tassata in termini fiscali e contributivi.

Permessi non goduti, Il discorso è differente, infatti la normativa vigente prevede che i permessi maturati dal lavoratore che non siano stati goduti dallo stesso entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di maturazione, debbano essere pagati dal datore di lavoro.

BUSTA PAGA LUGLIO 2023

Luglio 2023, in arrivo un maxi stipendio, in alcuni casi persino il doppio – o il triplo.

 Le ragioni sono diverse e in parte sono le stesse dello scorso anno: l’arrivo della quattordicesima per i lavoratori interessati, nonché il rimborso Irpef per coloro che sono risultati a credito dalla dichiarazione dei redditi. 

Con un reddito di 10.000 euro, a luglio spetterà un incremento di 25,67 euro rispetto al mese precedente: nel caso di chi ha una retribuzione annua di 25 mila euro, invece, l’aumento sarà di 54,87 euro. Ancora meglio a chi ha uno stipendio annuo di 35 mila euro: per loro la busta paga si arricchirà – sempre da luglio e fino a dicembre – di circa 65 euro in più.

Per i lavoratori impiegati nei settori dove espressamente prevista dal contratto collettivo di riferimento, nella busta paga di luglio è atteso il pagamento della quattordicesima mensilità.

Già solo questa, dunque, raddoppia lo stipendio.

Per i lavoratori dipendenti che presentano la dichiarazione dei redditi con modello 730 è il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, a occuparsi delle operazioni di conguaglio.

 Pertanto, ricevono il cosiddetto bonus Irpef nella busta paga di luglio solamente coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi entro la scadenza del 31 maggio 2023. 

Ricordiamo che il rimborso Irpef in alcuni casi potrebbe essere molto ricco. Ad esempio per chi nell’anno scorso non ha beneficiato del trattamento integrativo di 100 euro pur avendone diritto, il quale potrà recuperarlo dalla dichiarazione dei redditi ricevendo così un rimborso di 1.200 euro.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, NUOVE ASSUNZIONI,170 MILA NEL 2023

E’ il Ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ad annunciarlo.

Nel lungo scambio, il ministro ha parlato di numero di personale necessario per una buona funzione della Pubblica amministrazione e del valore del merito da attribuire ai dipendenti.

Al problema della poca attrattiva per i giovani si aggiunge anche la necessità di aggiornare chi è già dentro al sistema della Pubblica amministrazione. Su questa bilancia Zangrillo deve riuscire a equilibrare nuove assunzioni, aggiornamenti e valorizzazione del merito.

 In Italia i dipendenti pubblici sono 3,2 milioni ed è considerato un numero basso, è quindi in deficit di organico, soprattutto nelle amministrazioni più piccole. Il rapporto tra lavoratori pubblici e residenti in Italia si aggira intorno al 5,6%, mentre in Francia il rapporto è 8,4%, in Spagna 6,8% e in Inghilterra 7,8%. L’unico modo per colmare questa differenza è predisporre nuove assunzioni e il Consiglio dei ministri, con il decreto-legge 44, ha approvato il rafforzamento della capacità amministrativa centrale e territoriale. Con questo provvedimento si prevede l’assunzione di circa 3.000 persone per il comparto difesa e sicurezza, mentre 157.000 persone sono già state assunte nel 2022, al quale si devono aggiungere 170.000 nuove assunzioni nel 2023. In totale in due anni sono state assunte 320.000 persone nella Pa.

Obiettivo: investire nelle competenze, aumentando il tempo dedicato alla formazione dei dipendenti, per vantaggi professionali e nuovi percorsi di carriera. Solo così si potranno attirare giovani e le loro competenze e diminuire l’età media dei dipendenti pubblici, che oggi è di 50 anni.

NOVITA’ BUSTA PAGA

Le buste paga cambieranno, dal primo maggio, figurerà di fatti il nuovo sgravio contributivo che verrà introdotto dal Decreto lavoro di prossima emanazione.

legge di Bilancio 2023, con la quale è stato istituito uno sgravio contributivo per le buste paga d’importo inferiore a 2.692 euro, con l’obiettivo di tagliare la quota di contributi dovuta dal lavoratore e aumentare lo stipendio netto a parità di lordo

Cos’è lo sgravio contributivo in busta paga e dove è indicato

Nel dettaglio, dovete guardare nella parte finale della busta paga, lì dove sono indicate le voci che incidono sull’imponibile lordo e lo trasformano in netto: tra le trattenute Irpef – con le dovute detrazioni – e i dati previdenziali, dovrebbe figurare infatti uno sgravio contributivo che riduce la quota di contributi dovuta all’Inps.

Sull’imponibile è calcolata una quota di contributi utili ai fini della pensione. I contributi dovuti, infatti, sono così distribuiti:

  • nel pubblico impiego il 24,20% grava sull’amministrazione, l’8,80% sul dipendente;
  • nel settore privato, invece, il 23,81% grava sul datore di lavoro, mentre del restante 9,19% se ne fa carico il lavoratore.

Dal 1° gennaio 2023:

  • per le buste paga d’importo inferiore a 2.692 euro (reddito annuo di 35 mila euro) si applica uno sgravio del 2%, con l’aliquota contributiva che scende così al 6,80% per i lavoratori del pubblico impiego, 7,19% per quelli del settore privato;
  • laddove la busta paga risulti persino inferiore a 1.923 euro lo sgravio è del 3%, con l’aliquota contributiva che scende rispettivamente al 5,80% e al 6,19%.

Di fatto si tratta di un vantaggio compreso tra i 20 e i 25 euro netti in busta paga, il che dipende anche dalle detrazioni di cui può godere il lavoratore.

Ebbene, l’importo indicato nel cedolino nella parte riferita allo sgravio aumenterà a partire dalla busta paga di maggio.

Nel dettaglio, con il Decreto lavoro verranno utilizzati 3,4 miliardi di euro per aumentare presumibilmente dell’1% i suddetti sgravi, arrivando così alle seguenti aliquote:

  • 4% in meno per coloro che guadagnano meno di 1.923 euro al mese, con l’aliquota contributiva così che scenderà a 4,80% per i dipendenti pubblici, 5,19% nel settore privato;
  • 3% in meno per chi guadagna comunque meno di 2.692 euro al mese, con le nuove aliquote che saranno rispettivamente del 5,80% e del 6,19%.

Ne conseguirà, un risparmio di un ulteriore 1%: chi prende 1.000 euro di stipendio verserà 10 euro in meno di contributi, il che comporterà uno stipendio netto più alto di circa 7 o 8 euro. Chi ne prende 2.000 euro, invece, verserà 20 euro in meno di contributi, mentre chi ne prende 2.500 euro beneficerà di un risparmio di 25 euro.