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NOVITA’ NEL MONDO DEL CODICE DELLA STRADA

Il nuovo codice della strada dovrebbe entrare in vigore già dal prossimo autunno e, in particolare, l’art 8 del decreto legislativo n.285 è dedicato alla regolamentazione della circolazione dei velocipedi.
Le strade urbane ciclabili sono strade a un’unica carreggiata in cui hanno la priorità biciclette e velocipedi, sono determinate da una apposita segnaletica verticale e il limite consentito è di 30 km/h. Le corsie ciclabili, invece, coincidono con quelle corsie situate sul lato destro della carreggiata e i veicoli a motore sono tenuti a dar loro precedenza. Si prevede l’introduzione del doppio senso di marcia per quanto riguarda la corsia ciclabile, consentendo alle biciclette di viaggiare in entrambi i sensi anche sule strade a senso unico. Anche in questo caso il limite di velocità non potrà essere superiore a 30 km/h.
Le zone ciclabili sono aree urbane dove è garantita la priorità ai velocipedi ma la limitazione e/o esclusione di circolazione è rimessa al Comune competente. Anche nelle zone ciclabili, le biciclette possono mantenere qualsiasi posizione all’interno della carreggiata e i veicoli a motore devono rispettare le regole generali sulla precedenza. Le zone di assestamento ciclabile, ovvero le zone segnalate da un’area rossa, sono riservate ai velocipedi per consentire loro di effettuare le manovre e riprendere la marcia al segnale del semaforo. L’obbiettivo è quello di introdurre le zone di assestamento ciclabile in diverse intersezioni semaforiche in strade a senso unico di marcia e con una velocità non superiore ai 50 km/h dove i velocipedi potranno compiere in tutta sicurezza le manovre necessarie durante il rosso del semaforo. L’apposizione di queste zone dovrà rispettare i requisiti di sicurezza e sarà prevista soltanto nei luoghi con particolare flusso ciclabile.

QUAL E’ LA FUNZIONE DELLA PIAZZOLA DI SOSTA IN AUTOSTRADA?

Secondo il codice della strada la piazzola di sosta è quella parte della strada, di lunghezza limitata, adiacente esternamente alla banchina, destinata alla sosta dei veicoli.

Essa costituisce un ampliamento laterale della sede stradale, delimitato da linee di colore bianco che si trova lungo il tratto di un’autostrada.

La piazzola di sosta è solitamente segnalata da un cartello con fondo blu con un’area a forma di trapezio tratteggiata. A volte, al centro del segnale vi è la scritta “SOS” se nell’area di sosta è presente anche una colonnina per richiedere un intervento di soccorso stradale.

La piazzola viene spesso utilizzata per la sosta dei veicoli. Secondo la giurisprudenza quest’area non deve obbligatoriamente essere utilizzata solo per le emergenze. Essa può infatti essere impiegata anche per bisogni meno impellenti, come ad esempio per riposare qualche minuto qualora il conducente del veicolo trova difficoltà a proseguire la corsa.

Dunque non è necessaria un’emergenza per utilizzare la piazzola di sosta, diversamente della corsia d’emergenza, definita dal codice della strada come una corsia, adiacente alla carreggiata, destinata alle soste di emergenza e al transito dei veicoli di soccorso.

Dunque mentre la corsia d’emergenza viene utilizzata solo per situazioni di grave bisogno dovute a malessere degli occupanti del veicolo o a situazioni di guasto del veicolo stesso, la piazzola di sosta può essere impiegata anche in assenza di un’urgenza vera e propria.

La corsia d’emergenza può però essere utilizzata, secondo il codice della strada, per raggiungere una piazzola di sosta. Infatti, in situazioni d’urgenza, il veicolo deve essere portato nel più breve tempo possibile sulla corsia per la sosta di emergenza, o in assenza di questa, sulla prima piazzola disponibile nel senso di marcia, evitando comunque qualsiasi ingombro delle corsie di scorrimento.

È fondamentale sapere che il codice della strada disciplina che di notte o in condizioni di scarsa visibilità, il conducente è obbligato ad indossare il giubbotto catarifrangente per scendere dal veicolo sulle corsie di emergenza o sulle piazzole di sosta.

Se si infrange questa regola c’è il rischio di essere sanzionati con una multa che va da 42 a 173 euro.

PISTE CICLABILI: LE REGOLE CHE I PEDONI SONO TENUTI AD OSSERVARE

Con l’aumento della mobilità sostenibile sono aumentate le piste ciclabili all’interno del nostro Paese, ma qual è il comportamento corretto da tenere nei confronti dei ciclisti che le impiegano?

Ciclisti e pedoni possono convivere tranquillamente, a patto che entrambi rispettino le regole imposte dal codice della strada.

Innanzitutto è bene sapere che, quando si cammina a piedi su una pista ciclabile destinata ad esclusivo delle biciclette, in realtà ci troviamo nel luogo sbagliato.

Queste strade sono, infatti, riservate alle due ruote che sono addirittura obbligate a usarle, se presenti. Un pedone su una pista ciclabile ad uso esclusivo delle biciclette è dunque un intruso, a meno che non sussistano motivi di sicurezza.

Se manca il marciapiede o la banchina, oppure se il marciapiede è ostruito da un ostacolo, è permesso percorrere a piedi la corsia dei ciclisti, in assenza di percorsi alternativi per i pedoni.

Il consiglio, in questi casi, è di camminare in senso contrario a quello di marcia, in modo tale da guardare i ciclisti in faccia così da poter spostarti al loro passaggio senza il rischio di essere travolti alle spalle.

Se  invece sei un ciclista che si trova davanti un pedone che ha invaso la tua pista ciclabile per cause di forza maggiore, il consiglio è quello di farsi sentire utilizzando il campanello e non aspettare di essere troppo a ridosso. In questo modo si evitano movimenti bruschi da parte del pedone che potrebbero farti cadere.

È opportuno inoltre, sia se si è a piedi che in bici, prestare attenzione agli attraversamenti pedonali segnalati con le strisce. È bene guardare da ambedue le direzioni prima di attraversare e andare dall’altra parte. Gli attraversamenti selvaggi vanno evitati soprattutto in punti dove non è consentito e dove un ciclista non si aspetterebbe di vederti spuntare.

Di regola le piste ciclabili dovrebbero comprendere un percorso riservato per i pedoni, di solito accanto a quello delle biciclette. Capita però spesso che percorsi realizzati in passato non abbiano questo importante requisito di sicurezza.

Queste piste vengono contrassegnate da un cartello tondo a sfondo blu sul quale sono raffigurate una bici e un omino separati da una linea bianca. Se sia i pedoni che i ciclisti rispettano le regole, non dovrebbero esserci inconvenienti.

Infine è bene sapere che esistono piste ciclabili dove la precedenza e il transito non è a uso esclusivo delle biciclette: si tratta di percorsi promiscui ovvero piste ciclabili sulle quali puoi andare sia in bici che a piedi, senza delimitazioni o separazioni effettive tra i due tratti.

CHI E’ TENUTO A RISARCIRE  I DANNI IN CASO SI UN ALBERO CHE CADE SU UN VEICOLO?

Secondo l’art. 2051 del Codice civile per i danni arrecati alle cose che ciascuno ha in custodia bisogna considerare il principio della responsabilità.

Dunque, nel momento in cui la caduta di un albero provochi dei danni ad un’automobile, bisogna considerare che anche un albero è una «cosa», proprio come il manto stradale, i muri ed i cornicioni, e in quanto tale deve essere custodito dal suo proprietario. Quest’ultimo deve conservarlo costantemente in buono stato vegetativo, di manutenzione, di consolidamento del terreno in cui si trova e di potatura regolare di rami e foglie.

Dunque qualora si verifichi un danno ad un veicolo e questo sia causato dalla caduta di un albero , se quest’ultimo è situato su una pubblica via, risponde dei danni arrecati a persone e cose l’Ente proprietario o gestore del tratto stradale interessato. Ma potrà anche trattarsi di un condominio, se l’albero si trova in una parte comune dell’edificio, come il viale di accesso, il parcheggio auto o il cortile interno.

Qualora ci troviamo di fronte a casi di albero di proprietà privata che si affaccia su strada pubblica e cadendo colpisce un’auto in sosta o in movimento, la giurisprudenza parla di concorso di responsabilità solidale tra il proprietario del suolo in cui è piantato l’albero e l’Ente pubblico competente sul tratto di strada interessato, perché non ha adeguatamente vigilato sulle condizioni di sicurezza delle piante prospicenti.

Tuttavia la responsabilità del proprietario dell’albero  non è dovuta se si dimostra la sussistenza di un evento imprevedibile ed eccezionale che ha provocato autonomamente la caduta dell’albero su persone o cose. Pensiamo ad una tromba d’aria o ad un temporale.

Ma attenzione: al proprietario non basterà far riferimento alle condizioni metereologiche per cavarsela, ma dovrà addurre qualcosa di più specifico per spiegare come mai quel fenomeno meteorologico fosse imprevedibile, ed anche documentare che l’albero prima di cadere si trovava in buone condizioni di manutenzione.

L’ASSICURAZIONE COPRE I DANNI SE L’AUTO E’ FERMA?

La giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui l’assicurazione copre anche quando l’auto è ferma. Ragion per cui, dall’altro lato, essa deve essere assicurata benché non utilizzata e lasciata in un’area di sosta, sia essa pubblica o privata. Il proprietario del veicolo non coperto da RCA risponde pertanto delle relative sanzioni anche in assenza di circolazione. Dovrebbe, per evitare la multa, lasciare il mezzo chiuso in un garage privato, in modo che questo non venga in contatto con altre auto.

La Cassazione ha anche detto che l’assicurazione copre anche quando l’incidente avviene in un’area privata come appunto una strada di campagna o la corte del condominio. Ciò che conta, infatti, non è tanto la natura della strada ma l’uso fatto dal veicolo.

Anche se nel lessico comune le parole «sosta» e «fermata» vengono usate per esprimere lo stesso concetto, c’è una notevole differenza tra i due, almeno ai sensi del Codice della strada.

La fermata è la sospensione della marcia per un breve periodo: si pensi alla fermata dinanzi al semaforo, in coda nel traffico, al casello, a motore acceso in seconda fila. La sosta invece si protrae nel tempo: è in sosta, ad esempio, l’auto parcheggiata a bordo strada durante la notte.

Ai fini assicurativi, però, non vi è alcuna differenza: tanto l’auto in sosta quanto quella ferma sono coperte da assicurazione. Questo significa che se il veicolo subisce un incidente causato da un’altra vettura, l’assicurazione dovrà coprire tutti i danni, sia quelli al mezzo che ad eventuali passeggeri.

Secondo la giurisprudenza, nel concetto di «circolazione» bisogna considerare anche la sosta e la fermata. E ciò anche se nessuno degli occupanti il veicolo sia alla guida.

Il concetto di circolazione stradale, indicato all’articolo 2054 cod. civ., infatti include anche la posizione di arresto del veicolo. Ne consegue che per l’operatività della garanzia per Rca è necessario che il veicolo, si trovi su una strada di uso pubblico o su un’area ad essa parificata.

È facile capire che, se il proprietario del veicolo lascia l’auto in divieto di sosta, in modo che non sia facilmente visibile agli altri veicoli, non potrà poi chiedere l’integrale risarcimento all’assicurazione nel caso in cui venga tamponato: il suo comportamento, se fosse stato prudente e ossequioso delle regole del codice della strada, avrebbe evitato o quantomeno ridotto l’entità del risarcimento.

IL RISARCIEMENTO AL PASSEGGERO IN CASO DI INCIDENTE

L’articolo 141 del Codice delle assicurazioni sancisce che, in caso di incidente, la lesione deve essere risarcita dalla compagnia del mezzo su cui si trovava il danneggiato al momento del sinistro entro il massimale.
Se il danno supera questo importo, spetterà all’assicurato coprire la parte in eccesso.
Il terzo trasportato, dunque, ha diritto ad ottenere il risarcimento del maggior danno eventuale dalla compagnia di assicurazione nel caso in cui il veicolo che ha causato il sinistro sia coperto per un massimale più elevato di quello minimo.
L’azione diretta per il risarcimento deve essere avanzata all’impresa assicurativa dell’auto su cui viaggiava al momento dell’incidente. La compagnia che paga il risarcimento potrà rivalersi su quella di chi ha avuto la responsabilità accertata dell’incidente.
Nel caso in cui venga accertato un concorso di colpa tra il conducente dell’auto sulla quale si trovava il passeggero e l’altro automobilista, secondo la Cassazione il terzo trasportato ha diritto all’integrale risarcimento e può chiederlo a sua scelta ad una o all’altra compagnia .
Il passeggero non sarà tenuto a dimostrare quale dei due conducenti aveva ragione ma, ai fini di ottenere il risarcimento, dovrà provare che il danno subito è stato provocato dal sinistro.
L’azione diretta per ottenere il risarcimento non può essere avviata di fronte ad un incidente causato da caso fortuito. Come tale, la giurisprudenza ha sempre inteso quell’evento naturale, imprevedibile ed inevitabile non provocato da una condotta umana.
Tuttavia, recentemente la Cassazione ha allargato questo concetto ritenendo caso fortuito alcuni fattori attribuibili a uno dei conducenti, come ad esempio il malore improvviso di uno degli automobilisti coinvolti nell’incidente, purché il soggetto non abbia avuto in passato delle avvisaglie che facessero presumere di potersi sentire male alla guida.
La Suprema Corte ricorda che, se nel sinistro sono coinvolte diverse auto, il passeggero può chiedere il risarcimento del maggior danno alla compagnia di assicurazione del veicolo sul quale si trovava. Il che vuol dire che se un trasportato riporta un danno superiore al massimale minimo, può fare richiesta all’assicurazione per ottenere l’importo massimo.

TESTIMONIANZA IN CASO DI INCIDENTE: CHI PUO’ FARLO?

Non tutti possono essere chiamati a deporre come testimoni in una causa civile. Ci sono dei casi in cui la legge nega questa capacità di testimoniare. Si tratta di chi potrebbe essere parte in causa o parte interessata nella vicenda.

Chi può, quindi, essere chiamato a testimoniare?

In passato, la legge era piuttosto severa a proposito della capacità dei parenti di testimoniare. Non consentiva, infatti, di farlo al coniuge, ai parenti in linea retta (nonni, genitori, figli, nipoti) e agli affini in linea retta (genero e nuora, ad esempio) .

La Corte costituzionale, però, ha abrogato la citata norma del Codice di procedura civile. Significa che oggi è possibile testimoniare a favore di un parente anche stretto senza che la deposizione possa essere respinta da un tribunale.

Conta, dice la giurisprudenza, il fatto di stabilire se il sinistro sia stato provocato da un veicolo rimasto ignoto, non la premura avuta dalla vittima nel tentare di individuare il responsabile. Cosa, peraltro, abbastanza difficile per un pedone che viene sbattuto a terra e che, nello stordimento generale e per l‘effetto dei traumi subiti, l’ultima cosa a cui pensa è a prendere il numero di targa dell’auto che sta fuggendo.

Un caso, dunque, in cui è ammissibile la testimonianza dei congiunti che, comunque, deve essere confrontata con i referti dei soccorritori e con il verbale della Polizia in cui si raccoglie la dinamica del sinistro.

Attenzione, però: il fatto che venga accettata la testimonianza dei parenti non significa che questa venga ritenuta attendibile: il giudice, dopo aver esaminato tutti gli altri documenti, può ritenere che il racconto «penda» talmente tanto dalla parte della vittima da risultare poco credibile.

QUANDO IL RINNOVO DELLA PATENTE NON E’ CONSENTITO?

Rinnovare la patente è fondamentale per proseguire la guida su strada. Se, purtroppo, si è interessati da un determinato provvedimento, il rinnovo non sarà più attuabile, e si dovrà, di conseguenza, trovare un’altra soluzione.

Tra i casi più comuni di mancato rinnovo della patente c’è il non superamento di uno dei test ai fini del rinnovo medesimo, presso la scuola guida. Vi sono poi altri casi, nei quali il rinnovo risulta di dubbia possibilità, laddove la stessa viene rimandata all’attestazione medica in relazione ad una condizione di chi richiede il rinnovo.

Ancora, vi sono casi in cui, per una cattiva condotta, o ancora per determinate patologie, non si possa avere accesso al rinnovo considerato.

Il principio è quello di vietare la guida a chi non mostra idoneità per la stessa, con condizioni che gli impediscano una guida stabile, con grave pericolo per tutti. Se si soffre di patologie tali da compromettere l’attenzione alla guida, oppure l’attenzione medesima sia compromessa da cattive condotte, come quella di abusare di sostanze quali alcol e droghe, il rinnovo sarà negato.

Tra le patologie che vietano il rinnovo della patente troviamo disturbi neurologici o cardiaci. Tuttavia anche il mancato superamento della visita oculistica in sede di rinnovo, o una menomazione fisica o psichica  scaturiscono il mancato rinnovo della patente. Vi sono poi casi in cui spetta al medico in sede di rinnovo, o ad una commissione medica, la decisione se la patologia in oggetto detiene tale gravità da non consentire una guida stabile al soggetto.

Pensiamo al diabete mellito. Esso espone ad un calo glicemico improvviso, con altrettanto improvvisa perdita di forze, e ciò potrebbe accadere durante la guida. E’ il Ministero dei Trasporti a decidere sul rinnovo, tramite decretazione. Si dovrà poi sottostare ad un controllo specialistico in una struttura pubblica, e un altro controllo da parte di uno specialista in sede di rinnovo. Dovranno essere trascorsi almeno tre mesi dall’ultimo calo glicemico per richiedere il rinnovo.

Per le malattie cardiovascolari come aritmia, angina, sincope, il caso compete alla valutazione del medico, in sede di rinnovo.

Per altri tipi più gravi di malattie invece, il rinnovo viene negato dalla legge, e dunque non si appresta a nessuna valutazione ulteriore.

QUANDO IL COMUNE RISARCISCE IL PEDONE PER ESSERE FINITO IN UNA BUCA DEL MARCIAPIEDE?

Molti pensano che quando la buca è di grosse dimensioni il Comune, in quanto proprietario della strada, sia esente da ogni dovere risarcitorio in quanto, in questo caso, la causa è data dalla disattenzione dei pedoni, a maggior ragione se si tratta di una persona che passa spesso su quel tratto di marciapiede.

Il Tribunale di Pisa ha sancito tuttavia che: se anche la buca che ha causato la caduta è piuttosto larga ed è nascosta dal fogliame o si trova in una via non illuminata, il Comune deve pagare il risarcimento dei danni riportati.

In questo caso infatti, la buca non è facilmente individuabile. Stesso si può dire di chi cammina su un marciapiede buio o, comunque, non sufficientemente illuminato e non si accorge che c’è una buca.

Per il Tribunale di Pisa, una qualsiasi sconnessione del manto stradale, grande o piccola che sia, crea un’oggettiva situazione di pericolo se non è visibile né segnalata e si concretizza nella caduta. Il pedone che cammina sul marciapiede con buche sta compiendo un atto di per sé non rischioso. Se poi la mancanza di manutenzione e di pulizia dell’asfalto creano un pericolo che non doveva esistere, non è colpa del pedone ma di chi ha in custodia il bene. E in questo caso si tratta del Comune.

Non si può, infatti, chiedere a un pedone di camminare sulla carreggiata dove passano le macchine solo perché la strada, a differenza del marciapiede, non è coperta di foglie oppure è meglio illuminata e, quindi, se c’è una buca sarà ben visibile: rischia che, per non cadere a causa dell’asfalto disconnesso, finisca a terra per un motivo ben più grave, cioè perché investito da un’auto.

Si conclude, quindi, che il pedone finito a terra, dunque, ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale e al rimborso delle spese mediche e legali.

COSA SI RISCHIA SE SI INVESTE UN CICLISTA?

Il reato di fuga, nel caso di incidente stradale, vale anche se si investe un ciclista.

Se poi le ferite procurate al ciclista dovessero essere giudicate gravi, è obbligo dell’automobilista chiamare al più presto i soccorsi affinché prestino le cure alla vittima. La violazione di tale dovere integra il reato di omissione di soccorso, punito con la reclusione da uno a tre anni.

Anche se l’automobilista tiene un comportamento diligente e presta soccorso in caso di investimento di un ciclista, potrebbe comunque essere ritenuto responsabile penalmente per il reato di lesioni.

Ricordiamo che questo tipo di reato scatta solo in presenza di lesioni gravi in capo al ciclista oppure, chiaramente, in caso di omicidio stradale.

La pena è proporzionata al tipo di reato commesso. Per le lesioni gravi si rischia la reclusione da tre mesi a un anno, mentre per le lesioni gravissime scatta la reclusione da uno a tre anni.

Il reato di lesioni non considera i casi, ad esempio, di un investimento fatto per distrazione, e quindi senza malafede ma per semplice colpa.

Dunque la prima cosa da fare quando si investe un ciclista è fermarsi, chiamare la polizia e attendere l’arrivo delle autorità.

Se si è convinti di avere ragione, bisogna raccogliere tutte le prove del caso come, ad esempio, dichiarazioni testimoniali e fotografie da cui si possa ricostruire l’accaduto.

È necessario, in ogni caso, procedere con la denuncia di sinistro entro i successivi tre giorni alla propria compagnia di assicurazione al fine di avvisarla dell’evento.

Ricordiamo tuttavia che, anche il ciclista, come ogni utente della strada, deve rispettare il Codice della strada.

Ciò nonostante l’automobilista è garante della sicurezza degli utenti della strada, dovendo arrivare a prevedere e prevenire anche le altrui imprudenze.

Quindi  se il ciclista viola il Codice della strada, non per questo l’automobilista è esente da colpa se poteva evitare l’incidente.

Una recente sentenza della Cassazione ha escluso ogni responsabilità in capo a un automobilista per aver investito un ciclista. Nello specifico, entrambi i veicoli circolavano a una velocità moderata , ma il ciclista non si era fermato alla linea di stop e l’investimento era stato inevitabile in quanto la sua presenza era impossibile da avvistare con anticipo in modo da evitare lo scontro con l’auto.

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