Archivio per Categoria CONSULENZA PENALE E AMMINISTRATIVA

LA PRECEDENZA IN ROTATORIA: QUANDO SI RISCHIA IL RITIRO DELLA PATENTE?

Le normative europee spingono forte sulle rotatorie. Queste, infatti, diminuiscono enormemente gli incidenti gravi.
Con le rotatorie si possono verificare anche tamponamenti, ma sono sicuramente di minore entità, come impossibili sono gli scontri frontali, proprio per la natura della rotatoria stessa.
Le regole da rispettare in caso di rotatorie sono leggermente diverse per Italia e Comunità Europea.
All’interno della rotatoria italiana la precedenza ce l’ha chi proviene da destra, quindi le auto all’interno della rotonda devono darla a coloro che entrano. Il segnale stradale corrispondente è quello classico della rotatoria.
In particolare, è necessario moderare la velocità e adeguarsi al comportamento degli altri veicoli, dando la precedenza se necessario. Se la rotatoria presenta una sola corsia e strada d’accesso ad una sola corsia per senso di marcia, allora bisogna immettersi nella rotatoria rimanendo in prossimità del margine destro.
All’interno invece, della rotatoria a due corsie in assenza di segnaletica ci sono comunque delle regole universali che valgono universalmente:
• precedenza di diritto: ha diritto a transitare con precedenza chi proviene da destra
• precedenza di fatto: chi viene da sinistra, e sta già attraversando l’incrocio, ha diritto a passare per primo.
E se si volesse svoltare a sinistra? In questo caso bisogna cominciare a rallentare e portarsi al centro della carreggiata. Se la strada è a senso unico, dovremo spostarci nella carreggiata di sinistra. Obbligatorio è dare la precedenza alle auto che si trovano davanti, a quelle che sopraggiungono nella corsia di sorpasso in autostrada, o eventualmente ai pedoni nelle strade urbane.
Mai svoltare a sinistra se c’è una linea bianca continua. Se la linea è tratteggiata è possibile svoltare a sinistra ed eseguire cambio di carreggiata o corsia, e persino compiere un’inversione a U dove consentito. Se si viene sorpresi a infrangere le regole delle rotatorie, le conseguenze sono pesanti.
Per quanto concerne le sanzioni, si ricorda che in caso di immissione irregolare all’interno delle rotatorie, si rischia una sanzione che va da 167 euro a 666 euro.
Prevista anche la sanzione accessoria della decurtazione di 5 punti dalla patente di guida, ma è a opzionale a totale arbitrio dell’agente che redige il verbale. I recidivi incorrono in sanzioni più dure che possono arrivare alla sospensione della patente da 30 giorni fino a 90.

MUSICA IN AUTO: SI PUO’ ESSERE MULTATI?

Viaggiare con la musica troppo alta in auto può essere pericoloso, perchè non permette di sentire ciò che accade attorno al proprio veicolo. Le multe sono dietro l’angolo e occorre quindi ricordare alcune regole del Codice della Strada. Ecco quali sono.

La distrazione è una delle principali cause di incidenti in auto o in moto. Concentrazione alla guida e rispetto delle norme di sicurezza sono temi imprescindibili per chi si mette al volante e per chi deve fare rispettare la legge.

Secondo il “Tavolo sulla Sicurezza Stradale” 2017, addirittura 3 su 4 sinistri in Italia sono provocati dalla deconcentrazione al volante. Il Codice della Strada punisce anche i rumori prodotti dall’auto, compresi quelli generati dalla radio e dallo stereo, se non sono ritenuti a norma.

In particolare, per legge, secondo l’articolo 155 del Codice della Starda, è vietato produrre “rumori molesti causati dal modo di guidare i veicoli, specialmente se a motore, sia dal modo in cui è sistemato il carico e sia da altri atti connessi con la circolazione stessa. Il dispositivo silenziatore, se prescritto, deve essere tenuto in buone condizioni di efficienza e non deve essere alterato. Nell’usare apparecchi radiofonici o di riproduzione sonora a bordo dei veicoli, non si devono superare i limiti sonori massimi di accettabilità fissati dal regolamento”.

Non è così facile poter dimostrare come la musica ad alto volume dell’autoradio possa impedire al conducente di guidare in sicurezza. In strada, infatti, mancano strumenti di rilevazione adeguati e utili a quantificare la soglia del rumore. Molto dipende anche dalla situazione ambientale: nelle ore diurne, in una via trafficata, è difficile riuscire a dimostrare questo reato. Più semplice se commesso di notte, nel silenzio, in pieno centro.

Chi viola questa disposizione rischia una multa che può andare da un minimo di 41 euro a un massimo di 168. Gli agenti dovranno constatare e verificare che sia possibile o meno sentire rumori esterni alla vettura . Secondo una sentenza della Cassazione, la musica a tutto volume può costituire anche un reato e non solo perchè è impossibile per il conducente avvertire rumori esterni. Secondo il Codice Penale “chiunque mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punibile con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”.

I GENITORI RISPONDONO PER I REATI COMMESSI DAI FIGLI MINORENNI?

L’articolo 2048 del Codice civile stabilisce che i genitori sono responsabili per gli illeciti commessi dai figli minorenni, sia che si tratti di illeciti civili che di illeciti penali. Si tratta però di una responsabilità civile. Il che significa che il padre e la madre del colpevole dovranno risarcire i danni patiti dalla vittima dell’illecito.

Questa responsabilità persiste finché l’azione illecita viene commessa dal figlio minorenne. Quando questi raggiunge i 18 anni, benché ancora convivente con i genitori e non ancora autonomo economicamente, il risarcimento conseguente alle sue condotte illecite grava unicamente su di lui.

Se un figlio commette un illecito quando è minorenne e, dopo poco tempo, diventa maggiorenne, i genitori mantengono ugualmente la responsabilità personale.

I genitori possono difendersi ed evitare di dover corrispondere il risarcimento solo se «non hanno potuto impedire il fatto». Il che non significa non essere stati presenti al momento dell’illecito e non aver potuto controllare o sgridare il figlio. Ciò che richiede la legge è invece una prova molto difficile: padre e madre devono dimostrare al giudice di aver impartito al giovane una corretta educazione. Il più delle volte, però, la commissione di un illecito da parte di un minorenne deriva proprio da una mancanza di disciplina in casa, il che rende automaticamente responsabili il padre e la madre.

Al contrario di quanto comunemente si pensa, seppure è vero che i genitori sono responsabili per gli illeciti commessi dai figli, a meno che non dimostrino di aver fatto di tutto per impedirli, questa responsabilità non è di tipo penale. Come anticipato sopra, si tratta solo di una responsabilità civile, ossia risarcitoria.

Ma allora chi risponde del reato del figlio minorenne? Lui stesso, se ha compiuto almeno 14 anni. La nostra legge infatti prevede che proprio a partire da questo momento scatti la cosiddetta imputabilità penale. Dunque, non è vero, come spesso si crede, che un minore non è responsabile dei reati commessi. Lo è solo se ha meno di 14 anni. Da 14 anni in poi egli è responsabile dei crimini commessi, da quelli più gravi a quelli minori. Pertanto è tenuto a sopportare il processo penale e le relative pene che ne derivano. Sarà comunque giudicato dal tribunale dei minorenni.

Se il minore ha meno di 14 anni, il reato resta impunito sotto un aspetto penale. Di esso infatti non risponde né il suo autore, né i genitori. Resta la possibilità di chiedere a questi ultimi solo il risarcimento del danno.

QUANDO E’ POSSIBILE E QUALI SONO LE SANZIONI PER INVERSIONE DI MARCIA

Di motivi per trovarsi nella situazione di dover fare un’inversione di marcia ce ne sono diversi. Il punto è: dov’è consentita la manovra, per evitare di prendersi una multa?
Il Codice della strada stabilisce delle regole per poter fare quello che la normativa chiama un «cambio di direzione». In linea di massima, l’automobilista deve obbligatoriamente:
• verificare di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri conducenti, tenendo conto della loro posizione, della distanza e della loro direzione;
• segnalare con sufficiente anticipo l’intenzione di compiere la manovra, con gli appositi indicatori luminosi di direzione;
• evitare di rallentare o di fermarsi bruscamente, per evitare eventuali tamponamenti.
L’inversione di marcia è consentita sulle strade a doppio senso di marcia a patto che sull’asfalto non ci sia la striscia continua lungo la mezzeria. Se la striscia è discontinua o proprio non è stata disegnata, è possibile fare l’inversione a U.
Dove non è possibile effettuare l’inversione di marcia?
Al di fuori della strada a doppio senso di marcia con linea di mezzeria discontinua o assente, l’inversione di marcia è vietata ovunque.
Secondo il codice della strada, il cambio di direzione non è consentito:
• in autostrada;
• nella strada a doppio senso di marcia che ha la linea di mezzeria continua;
• nei casi (anche nelle strade a doppio senso di marcia) in cui c’è scarsa visibilità, ad esempio perché c’è nebbia fitta o perché l’illuminazione pubblica è assente;
• nelle vicinanze o in corrispondenza di una curva;
• nelle vicinanze o in corrispondenza di un dosso;
• nelle vicinanze o in corrispondenza di un incrocio;
• nelle strade a senso unico di marcia.
Spesso succede che, quando c’è bisogno di fare una manovra «al volo» come un’inversione di marcia, perché si ha fretta o perché tornare indietro rispettando le regole vorrebbe dire percorrere centinaia di metri fino alla prima rotonda, l’automobilista guardi a destra, guardi a sinistra, guardi lo specchietto e, visto che non c’è nessuno, tanto meno la Polizia locale, giri l’auto nel luogo in cui non deve.
Il conducente deve assicurarsi bene che nessuno l’abbia notato perché, nel caso in cui non avesse notato nelle vicinanze un agente o una pattuglia, corre il rischio di pagare una sanzione che va da qualche decina a qualche migliaio di euro.
Nel dettaglio:
• chi fa l’inversione in prossimità o in corrispondenza di incroci, di curve o di dossi rischia una sanzione da 84 a 335 euro;
• chi compie la manovra in condizioni di scarsa visibilità o in prossimità di un raccordo stradale rischia la sanzione da 318 a 1.272 euro, oltre alla sospensione della patente da due a sei mesi;
• chi inverte il senso di marcia in autostrada, nelle rampe o negli svincoli delle strade extraurbane rischia una sanzione da 1.988 a 7.953 euro, oltre alla revoca della patente e al fermo amministrativo dell’auto.

DANNO DI LITE TEMERARIA: DI COSA SI TRATTA?

La lite temeraria è una fattispecie introdotta dalla giurisprudenza e che ha come obiettivo quello di ridurre il carico del contenzioso giudiziario. Attraverso questo strumento, si intende evitare tutti quei procedimenti infondati, che non condurranno ad un esito favorevole per il contribuente, ma che rischiano di ingolfare il sistema giudiziario italiano.

Il danno di lite temeraria viene disciplinata dall’art. 96 c.p.c., che disciplina:

“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza”.

Quindi, la disposizione in questione ha come obiettivo quello di evitare tutte quelle situazioni in cui il processo viene volontariamente strumentalizzato al fine di allungare i tempi della giustizia. In tal modo, si preclude il soddisfacimento del diritto altrui, che può esser causa di un danno.

Alle volte la lite temeraria può esser considerata un tipo di abuso del diritto. Tale figura ricorre ogniqualvolta un soggetto esercita il diritto travalicando i limiti della buona fede. La clausola, che è applicazione del principio costituzionale di solidarietà di cui all’art. 2 cost., funge da limite all’esercizio del diritto, il quale non deve essere mai scorretto. Con ciò si intende che tale diritto deve essere esercitato in modo tale da non arrecare un pregiudizio alla controparte.

La norma, infatti, prevede una forma di responsabilità della parte che abusa del diritto, circoscritta ai danni provocati dall’abuso dell’agire o resistere in giudizio.

In caso di lite temeraria, come abbiamo evidenziato, il legislatore ha previsto il risarcimento del danno arrecato. In tal caso, infatti, il giudice provvede a condannare al pagamento di una somma, quindi è una forma di risarcimento per equivalente. Diverse sono le ipotesi di lite temeraria.

Tra queste forma rientrano: mediazioni obbligatorie disertate, proposte conciliative o inviti alla negoziazione assistita.

Affinché sia possibile ottenere il risarcimento del danno per lite temeraria, è necessario che siano integrati alcuni requisiti. In particolare, serve la  malafede o la colpa grave dell’avversario.

Questi due elementi si manifestano quando il soggetto intende agire o resistere in giudizio avendo consapevolezza dell’infondatezza della propria pretesa vantata. In tal modo, il soggetto in agente abusa del proprio diritto d’azione.

Tale condotta può essere animata o da un interesse ad allungare i tempi del procedimento, o meramente per arrecare un pregiudizio alla controparte. Mentre, si ha colpa grave ove lo stesso abbia agito non rispettando i livelli minimi di diligenza e prudenza. Dunque, lo stesso non ha fatto ciò che era necessario per rendersi conto dell’infondatezza della propria pretesa e per valutare le conseguenze dei propri atti.

Il legislatore deve sempre accertare che vi sia stata un’effettiva perdita patrimoniale conseguente alla lite temeraria, secondo il principio dell’onere della prova.

Infine, è altresì richiesta una terza condizione, ossia deve esser fatta la richiesta al giudice. Il giudice non può, quindi, provvedere d’ufficio alla liquidazione.

Egli dovrà procedere alla quantificazione del danno da lite temeraria in base alla prova offerta dalla parte offesa.

Al fine di procedere al calcolo, si terrà conto di una serie di elementi quali: la gravita dell’abuso, l’incidenza che questo ha avuto sulla durata del processo, l’intensità dell’elemento soggettivo.

L’azione di risarcimento del danno presuppone che siano accertati i requisiti e i presupposti in sede di giudizio di merito. Il giudice dovrà compiere una liquidazione del danno, dunque non è ammissibile la mera condanna generica al risarcimento.

La domanda di risarcimento, inoltre, è proposta nello stesso giudizio in cui si è verificato il danno. Quindi, la cognizione sulla condotta e sul risarcimento è devoluta al giudice che era stato originariamente adito nel merito.

Laddove sia adeguatamente motivata, la decisione sulla lite temeraria non può essere oggetto di impugnazione in sede di legittimità.

RISARCIMENTO RIDOTTO PER INCIDENTE CON VITTIMA SENZA CITURA DI SICUREZZA

Gli incidenti stradali, sappiamo bene, causano spesso delle vittime. A volte sono queste ultime a non rispettare il normale codice della strada o addirittura le normali regole per viaggiare in sicurezza.

Cosa succede alla vittima che, al momento del sinistro stradale, non indossava la cintura di sicurezza?

In questi casi la compagnia di assicurazione può ridurre il rimborso dovuto. È stata questa la puntualizzazione della Corte di Cassazione  che ha rigettato il ricorso di una donna incidentata che pretendeva l’indennizzo completo da parte della compagnia assicurativa, negatole per l’assenza di cintura.

I giudici, infatti,  hanno ritenuto che il mancato o scorretto utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del passeggero costituisce, indipendentemente dalla dinamica dell’incidente, “un’ipotesi di concorso causale nel fatto colposo che, cooperando alla produzione del danno, determina una riduzione del risarcimento dello stesso”.

In sostanza per la giurisprudenza il passeggero è colpevole di non aver utilizzato quel sistema di sicurezza che gli avrebbe consentito di evitare o ridurre i danni in caso di incidente stradale. A fronte di tale negligenza, che deve essere sufficientemente provata, la compagnia di assicurazione non è obbligata al rimborso per intero delle lesioni.

Si consiglia dunque a tutti gli automobilisti di rispettare l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza per prevenire conseguenze dannose che rischierebbero di non essere riparabili neppure economicamente.

E’ POSSIBILE MULTARE UNA PERSONA DISABILE IN ZONA ZTL?

La Corte di Cassazione afferma che non si può multare una persona disabile che transita su una corsia preferenziale, o in una zona a traffico limitato, senza aver comunicato preventivamente al Comune la targa del veicolo utilizzato per il suo trasporto.

Qualsiasi Comune non può limitare il diritto di libera circolazione del disabile sull’intero territorio nazionale. È però fondamentale che il veicolo sia in possesso del contrassegno invalidi, che può essere utilizzato dovunque, su tutte le strade italiane.

Il diritto del disabile a entrare con il veicolo nelle zone a traffico limitato (le famose Ztl) o ad utilizzare le corsie preferenziali non può essere limitato per esigenze di controllo automatizzato degli accessi da parte degli Enti locali  e delle loro Polizie municipali.

Il contrassegno invalidi ovvero il documento che permette ai titolari di circolare e sostare all’interno delle zone a traffico limitato e delle aree pedonali urbane viene rilasciato alla persona disabile in quanto tale, in modo che questa se ne possa servire esponendolo sul veicolo adibito in quel momento al suo servizio e, perciò, la sua validità è estesa a tutto il territorio nazionale.

Dunque è compito del Comune rimediare alle proprie carenze e disfunzioni organizzative. Se questo non avviene, non può essere sempre colpa dei cittadini disabili, che hanno sempre diritto al transito nelle zone riservate.

Pertanto, chi è munito del contrassegno disabili può circolare in tutte le Ztl d’Italia: la sua validità è estesa al di fuori del Comune che ha rilasciato il tagliando. L’unica condizione richiesta è quella di esporre il pass sul cruscotto del veicolo utilizzato, o comunque nella parte anteriore dell’autovettura.

Tuttavia il nuovo contrassegno unico disabili europeo (Cude), introdotto nel 2021, prevede l’istituzione di una piattaforma unica nazionale informatizzata, destinata a contenere i dati dei soggetti autorizzati e dei veicoli utilizzati per i loro spostamenti. In questo modo i Comuni potranno consultarla prima di elevare i verbali di accertamento delle infrazioni per abusivo transito in Ztl o nelle corsie riservate, evitando multe illegittime, e i conseguenti disagi ai cittadini costretti a presentare ricorsi per farle annullare.

COSA ACCADE A CHI RIFIUTA DI FARE L’ALCOOL TEST?

Secondo la legge rifiutare di eseguire l’alcool test è reato.

Chi non vuole sottoporsi all’etilometro, oltre alla sanzione penale, va incontro alla sospensione della patente fino a 2 anni, alla confisca del veicolo e alla decurtazione di dieci punti dalla patente.

Ma chi rifiuta l’alcoltest può evitare la condanna?

La giurisprudenza  prevede due possibili soluzioni alternative alla condanna:

  • il lavoro di pubblica utilità;
  • l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Bisogna specificare che il lavoro di pubblica utilità, trattandosi di pena sostitutiva, presuppone la condanna: esso rappresenta una soluzione per estinguere il reato scontando la sanzione in diverso modo.

Esso  consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere all’interno e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze.

Nel momento in cui l’imputato sceglie i lavori di pubblica utilità al posto della normale pena, il giudice dovrà operare una trasformazione della pena, detentiva e pecuniaria.

Per il calcolo da fare ogni giorno di detenzione a cui sarebbe stato condannato l’imputato equivale ad un giorno di lavoro di pubblica; 250 euro di ammenda equivale, invece, ad un singolo giorno di lavori.

Ma attenzione: non si può chiedere di effettuare lavori di pubblica utilità se in passato se n’è già beneficiato e se l’imputato, mentre era ubriaco alla guida, ha causato un incidente.

È necessario sapere che è possibile evitare una condanna penale per rifiuto di sottoporsi all’alcoltest nel caso in cui il giudice decida di escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto.

La legge rinuncia a punire colui che, pur avendo commesso un reato, dall’esame dei fatti emerge chiaramente che trattasi di crimine di poco conto che non ha cagionato importanti danni ad altre persone e che risulta essere il frutto di una condotta meramente occasionale dell’autore.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il guidatore può essere prosciolto per particolare tenuità del fatto anche chi rifiuta di sottoporsi all’alcoltest.

In questo caso, insomma, il rifiuto dell’alcoltest non è condotta così grave da non poter l’esclusione della punibilità per particolare tenuità.

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INVESTIMENTO PEDONALE: CHI E’ RESPONSABILE?

L’art. 2054 del Codice civile sottolinea che “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone e cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

La regola del concorso di colpa paritario, dove la responsabilità del sinistro al 50% viene ripartita tra le parti, non è applicabile all’investimento di pedoni, perché riguarda esclusivamente i casi di incidente tra veicoli.

Dunque, fermo restando che anche il pedone quando si trova sulla strada ha degli obblighi di comportamento si tende ad attribuire la responsabilità del sinistro al conducente del veicolo investitore. ma ciò non avviene in automatico.

Il conducente può tutelare i propri diritti solo se riesce a dimostrare che il pedone  ha posto in essere un comportamento incauto, imprevedibile ed azzardato, che rendeva praticamente impossibile impedire lo scontro tra la persona a piedi e l’autovettura.

È importante sapere che il Codice della strada, recentemente riformato, definisce il pedone come un utente vulnerabile, al pari delle persone con disabilità, dei ciclisti e in genere di “tutti coloro i quali meritino una tutela particolare dai pericoli derivanti dalle strade”.

Per questo motivo il pedone è tutelato in maniera più intensa dai pericoli derivanti dalla circolazione stradale.

Nonostante ciò, l’art. 190 del Codice della strada impone ai pedoni una serie di obblighi di comportamento da tenere come quello di circolare sui marciapiedi o di attraversare sulle apposite strisce pedonali.

Per quanto concerne i conducenti, invece, l’art. 141 del Codice della strada impone ad essi  l’obbligo di regolare la velocità del proprio veicolo in base alla tipologia del mezzo, alle caratteristiche della strada ed alle concrete condizioni di visibilità e di traffico, in modo da evitare “ogni pericolo per la sicurezza delle persone”.

L’art. 191 del Codice della strada, inoltre, dispone una serie di precauzioni a carico del conducente e in favore dei pedoni che attraversano la strada: in particolare, essi hanno la precedenza quando transitano sugli attraversamenti pedonali o anche quando “si trovano nelle loro immediate prossimità”.

Possiamo dunque affermare che il pedone non ha sempre ragione ma in pratica quasi sempre la ragione gli viene riconosciuta, specialmente dopo le ultime modifiche rafforzative del Codice della strada, che operano in suo favore.

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COSA SI RISCHIA SE SI INVESTE UN CICLISTA?

Il reato di fuga, nel caso di incidente stradale, vale anche se si investe un ciclista.

Se poi le ferite procurate al ciclista dovessero essere giudicate gravi, è obbligo dell’automobilista chiamare al più presto i soccorsi affinché prestino le cure alla vittima. La violazione di tale dovere integra il reato di omissione di soccorso, punito con la reclusione da uno a tre anni.

Anche se l’automobilista tiene un comportamento diligente e presta soccorso in caso di investimento di un ciclista, potrebbe comunque essere ritenuto responsabile penalmente per il reato di lesioni.

Ricordiamo che questo tipo di reato scatta solo in presenza di lesioni gravi in capo al ciclista oppure, chiaramente, in caso di omicidio stradale.

La pena è proporzionata al tipo di reato commesso. Per le lesioni gravi si rischia la reclusione da tre mesi a un anno, mentre per le lesioni gravissime scatta la reclusione da uno a tre anni.

Il reato di lesioni non considera i casi, ad esempio, di un investimento fatto per distrazione, e quindi senza malafede ma per semplice colpa.

Dunque la prima cosa da fare quando si investe un ciclista è fermarsi, chiamare la polizia e attendere l’arrivo delle autorità.

Se si è convinti di avere ragione, bisogna raccogliere tutte le prove del caso come, ad esempio, dichiarazioni testimoniali e fotografie da cui si possa ricostruire l’accaduto.

È necessario, in ogni caso, procedere con la denuncia di sinistro entro i successivi tre giorni alla propria compagnia di assicurazione al fine di avvisarla dell’evento.

Ricordiamo tuttavia che, anche il ciclista, come ogni utente della strada, deve rispettare il Codice della strada.

Ciò nonostante l’automobilista è garante della sicurezza degli utenti della strada, dovendo arrivare a prevedere e prevenire anche le altrui imprudenze.

Quindi  se il ciclista viola il Codice della strada, non per questo l’automobilista è esente da colpa se poteva evitare l’incidente.

Una recente sentenza della Cassazione ha escluso ogni responsabilità in capo a un automobilista per aver investito un ciclista. Nello specifico, entrambi i veicoli circolavano a una velocità moderata , ma il ciclista non si era fermato alla linea di stop e l’investimento era stato inevitabile in quanto la sua presenza era impossibile da avvistare con anticipo in modo da evitare lo scontro con l’auto.

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