Archivio per Categoria CONSULENZA PENALE E AMMINISTRATIVA

AUTOVELOX

L’incubo degli automobilisti, dispositivi posizionati lungo le strade per rilevare la velocità di una vettura e per verificarne che questa rispetti il limite.

Vediamo nel dettaglio le norme che devono rispettare, ovvero, secondo la legge possono essere piazzati solo lungo strade a scorrimento veloce che possiedono carreggiate indipendenti o separate dallo spartitraffico, ognuna delle quali con almeno due corsie di marcia.

In caso diverso le eventuali multe potrebbero essere annullate, questo è quanto ha deciso la Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 5078/2023.

Pertanto, un’automobilista sanzionato per aver oltrepassato il limite su una strada dove in realtà non poteva essere posizionato un autovelox, si è opposto successivamente al verbale ritenendo invalida la multa in quanto l’autovelox non poteva essere posizionato su quella strada.

Dopo che l’opposizione al verbale era stata rigettata in primo grado e confermata in appello, la sentenza è stata ribaltata completamente in Cassazione.

E se in primo grado e in appello l’opposizione era stata rigettata, la Cassazione ha invece accolto il ricorso dando ragione all’automobilista che si è visto così annullata la multa.

Perché come già ribadito, gli apparecchi devono essere posizionati solo su strade a scorrimento veloce che possiedono carreggiate indipendenti o separate dallo spartitraffico, ognuna delle quali con almeno due corsie di marcia e una corsia, solo eventuale, riservata ai mezzi pubblici.

I giudici hanno accolto la richiesta dell’automobilista, in quanto secondo loro il giudice ha errato a qualificare la doppia striscia continua perché questa non può mai separare due carreggiate.

Un precedente storico a cui potranno far riferimento tanti automobilisti sanzionati in casi analoghi, con autovelox posizionati lungo strade dove in realtà non potrebbero esserci, rischiano la dismissione.

SEPARAZIONE E DIVORZIO, NUOVE REGOLE

Dal 28 febbraio saranno operative le nuove regole per i processi di separazione e divorzio, tra le novità più importati, la possibilità di proporre con lo stesso atto davanti allo stesso giudice la domanda di separazione giudiziale ed il divorzio contenzioso.

Non ci sarà più la struttura bifasica del procedimento, prima davanti al Presidente e poi al Giudice istruttore.

La competenza per territorio sarà quella del Tribunale di residenza del minore, e in mancanza di figli minori, quella del convenuto.

L’udienza di comparizione dovrà essere fissata entro novanta giorni dal deposito del ricorso. In presenza di figli, che saranno sempre ascoltati, viene introdotto l’onere dei genitori di descrivere compiutamente le attività quotidiane che impegnano i minori, per consentire al giudice di decidere al meglio su affidamento e diritto di visita.

Altra novità, è la possibilità per il giudice di sanzionare il genitore che pur accettando il piano genitoriale proposto, non lo rispetta nei tempi e nelle modalità.

Pertanto, oltre alla denuncia dei redditi, le parti dovranno anche depositare la documentazione sulle proprietà di immobili e veicoli, quote sociali, estratti conto bancari e finanziari degli ultimi tre anni.

Potrà essere condannata al risarcimento la parte che omette di presentare al giudice le proprie reali condizioni economiche, al fine di pagare un contributo di mantenimento inferiore.

In merito al divorzio, la domanda di scioglimento del matrimonio potrà essere proposta sin dall’atto introduttivo della separazione, in modo da concentrare gli sforzi probatori in un’unica attività istruttoria. 

STALKING

L’art. 612-bis c.p. punisce il reato di stalking con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità, ovvero con armi o da persona travisata.

Esistono diverse tipologie di stalking, tra cui:

  • Stalking amoroso: quando una persona inizia a molestare un’altra persona con cui ha avuto una relazione romantica o che desidera avere una relazione romantica;
  • Stalking professionale: quando un individuo molesta un collega o un superiore sul posto di lavoro;
  • Stalking online: quando un individuo utilizza i mezzi digitali per molestare un’altra persona, ad esempio inviando messaggi di testo o postando commenti offensivi sui social media;
  • Stalking a scopo sessuale: quando un individuo molesta un’altra persona con l’intento di ottenere sesso o soddisfazione sessuale;
  • Stalking per vendetta: quando un individuo molesta un’altra persona per vendicarsi di una percepita offesa o ingiustizia;
  • Stalking a scopo criminale: quando un individuo utilizza la molestia psicologica come mezzo per commettere altri reati, come il furto o il sequestro di persona.

Non vanno dimenticati, inoltre:

  • Lo Stalking giudiziario;
  • Lo Stalking condominiale;
  • Il Gang Stalking

Pertanto l’evoluzione dei sistemi tecnologici porta anche ad ulteriori definizioni di stalking, come ad esempio al Cyberstalking.  

I DIRITTI DEL PAZIENTE (Risonanza magnetica)

Il paziente che deve sottoporsi a un determinato esame diagnostico ha alcuni diritti che possono agevolare l’iter da affrontare e che quindi è opportuno conoscere.

Se la risonanza è urgente, il medico che la prescrive, nel farlo, appone sull’impegnativa il cd. bollino verde. Si parla, in tali casi, di urgenza differibile, che dà diritto al paziente ad eseguire l’esame entro 72 ore dalla richiesta purché provveda di persona, e non telematicamente, a prenotare la risonanza entro 48 ore da quando gli è rilasciata l’impegnativa. Ogni medico di famiglia ha a disposizione solo 10 bollini per 100 assistiti e che, quindi, li dovrà dosare e utilizzare solo in caso di effettiva necessità.

Nel caso in cui l’impegnativa per fare la risonanza non sia contrassegnata dal bollino verde emerge il controverso problema dei tempi di attesa, i pazienti a tal proposito devono sapere che l’ordinamento italiano fissa un limite ben preciso per le risonanze magnetiche: quello di 60 giorni dalla prenotazione.

Se tale termine non è rispettato, il cittadino ha diritto ad ottenere la prestazione privatamente, in intramoenia, senza pagare alcun costo.

A tal fine è necessario fare espressa istanza al direttore generale dell’azienda sanitaria, il cittadino deve avere particolare cura di inserire tutti i dati necessari. oltre ai propri riferimenti anagrafici, dovrà sottolineare che gli è stata prescritta la risonanza magnetica ma che il CUP gli ha comunicato che la prenotazione non sarà possibile prima di una determinata data (da specificare), in dispregio del limite massimo di 60 giorni, proseguendo con la precisazione, che, ai sensi dell’articolo 3, comma 13, l. n. 124/1998, la risonanza venga resa in regime di attività libero-professionale intramoenia.

Pertanto a quanto previsto dalla disposizione, il costo della prestazione è: “a carico dell’azienda unita’ sanitaria locale di appartenenza e dell’azienda unita’ sanitaria locale nel cui ambito e’ richiesta la prestazione,  in misura eguale, la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l’effettivo costo di quest’ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti, fino all’entrata in vigore delle discipline regionali di cui al comma 12, qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale ai sensi dei commi 10 e 11.”

 Importante ricordare che in alcuni casi il paziente ha diritto ad essere esonerato dal pagamento del ticket sanitario per la risonanza magnetica (così come per altri esami o visite) in particolare se si è in presenza di determinate malattie rare, croniche o gravi, o se ci si trova al di sotto di specifici limiti di reddito.

2023 PRESCRIZIONE ASSEGNO DI MANTENIMENTO

L’assegno di mantenimento dovuto al coniuge e ai figli, va in prescrizione dopo 5 anni, per questo è importante richiedere le rate dovute entro tali tempistiche ed evitare di perdere gli arretrati.

Questo riguarda, le singole rate e non il diritto di avvalersi dell’assegno, che non è soggetto a scadenza. 

E’ sufficiente individuare il primo giorno di ritardo del pagamento, per individuare la data da cui iniziare a calcolare la prescrizione. 

E affinché la prescrizione possa decorrere, non devono esserci delle interruzioni.

Pertanto esiste, un determinato caso in cui la prescrizione dell’assegno di mantenimento dovuto ai figli decorre in 10 anni, ossia quello in cui è intervenuta una sentenza passata in giudicato.

L’articolo 2953 del Codice civile stabilisce, infatti, che quando esiste una sentenza definitiva riguardo a diritti per i quali la legge prevede una prescrizione inferiore a 10 anni, il termine di prescrizione deve essere decennale.  E riguardo al mantenimento dei figli, bisogna m ricordare che sono questi ultimi a dover avviare le azioni legali necessarie una volta diventati maggiorenni.

Per non rischiare di perdere gli arretrati la soluzione più semplice è senza dubbio quella di inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno, anche scritta senza assistenza di un legale, purché contenga il sollecito al pagamento e l’intenzione di adire le vie legali in caso di continua inadempienza.

Questo permette quindi di interrompere la prescrizione e di recuperare il tempo necessario per provvedere. In tal proposito, è necessario avviare una causa civile, per ottenere il pagamento del debito, attuabile tramite:

  • Esecuzione forzata.
  • Pignoramento di beni mobili e immobili.
  • Sequestro conservativo dei beni.
  • Ordine di pagamento.

È se il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento è volontario, quindi non dovuto a un’effettiva impossibilità, è possibile agire in sede penale e denunciare il reato.

La pena prevista, se viene confermato il dolo, corrisponde alla reclusione fino a 1 anno o alla multa fino a 1.032 euro.

I rimedi civili e penali sono comunque indipendenti l’uno dall’altro e cumulabili.

EREDITA’: DEBITI TRASMISSIBILI E NON

L’eredità non è composta esclusivamente dai risparmi del defunto o dagli immobili, ma anche dai debiti, per questa ragione, la legge permette di rinunciare all’eredità, così che gli eredi possano valutarne l’effettiva convenienza.

Vediamo per cui quali debiti passano agli eredi effettivamente, e quali invece sono intrasmissibili.

Tra i debiti ereditari figurano:

  • Il mutuo.
  • Le fideiussioni (come la prestazione di garanzia per un debitore).
  • Le bollette delle utenze domestiche, come gas e luce non pagati.
  • Le bollette condominiali, ma soltanto per quanto riguarda gli ultimi 2 anni di insolvenza.
  • Le imposte e le tasse, comprese le cartelle esattoriali.

I debiti ereditari comprendono anche i debiti da lavoro, a seconda della situazione, in particolare:

  • I debiti contratti dal defunto verso l’erario e verso terzi nell’esercizio di un’attività come società di persone (Snc, Sas e Società semplice).
  • I debiti della società di capitali (Srl, Spa e Sapa), soltanto qualora fosse avvenuto il loro trasferimento ai soci, in seguito alla chiusura della società con posizioni debitorie aperte.

Non sono trasmissibili i debiti di natura strettamente personale, e tanto più i debiti originati da obbligazioni non vincolanti, ovvero:

  • I debiti prescritti;
  • Le obbligazioni naturali, che hanno un’obbligatorietà meramente morale e sociale e non sono legalmente vincolanti, ad esempio debiti di gioco e scommesse.
  • Le sanzioni amministrative;
  • Le multe stradali relative al periodo precedente al decesso.
  • Sanzioni pecuniarie per reati, in quanto la responsabilità penale e personale. Fanno tuttavia eccezione a questa regola i debiti per l’abuso edilizio, poiché questo tipo di sanzione grava sull’immobile e di conseguenza sull’erede che lo riceve.
  • Assegno di mantenimento per ex coniuge e figli.
  • Contratti di natura prettamente personale, come la commissione dell’esecuzione di un lavoro.
  • I debiti di una società per azioni sciolta dopo la morte oppure per cui non è stata effettuata per tempo la divisione degli utili.

In sintesi, gli eredi sono sempre tenuti al pagamento dei beni del defunto ma non alle sanzioni, anche se correlate. Per esempio, è obbligatorio il pagamento della cartella esattoriale non pagata, ma l’erede non risponde delle sanzioni correlate al ritardo. 

Le regole prevedono che la quota ereditaria venga applicata sia in relazione ai crediti che ai debiti, per cui la persona che eredita un terzo del patrimonio del defunto è parimenti obbligata al pagamento dei debiti per il valore di un terzo. 

Allo stesso tempo, la legge prevede la responsabilità solidale per un certo tipo di debiti:

  • Irpef.
  • Irap.
  • Imposte sui redditi.
  • Imposta di successione.
  • Imposta di registro.

Pertanto il pagamento può essere richiesto in forma totale a uno solo degli eredi e senza tenere conto della sua quota ereditaria, naturalmente, l’erede che ha provveduto al pagamento integrale ha il diritto di farsi rimborsare dai coeredi, operando la consona divisione per quote.

Fa eccezione l’erede che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario, misura che gli consente, in caso di insolvenza per i debiti ereditari, di limitare il pignoramento ai beni ricevuti per successione.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO, COSA FARE SE L’OBBLIGATO NON PAGA?

L’assegno di mantenimento stabilito dal giudice a seguito della sentenza di separazione o di divorzio, è una cosa molto seria. La sua finalità serve a garantire un adeguato sostegno economico all’ex coniuge ed ai propri figli. 

Se l’obbligato non paga, è possibile agire sia in sede civile che penale.

Sotto il profilo civile sarà necessario ottenere un titolo esecutivo, cioè un provvedimento con il quale il Giudice ha stabilito un importo preciso a titolo di mantenimento.

Ciò vale sia per le coppie sposate che non coniugate. Una volta ottenuta la decisione del Giudice, è possibile mettere in esecuzione detto provvedimento.

Lo strumento più utilizzato è il pignoramento del conto corrente bancario/postale, dello stipendio o della pensione.

Per i mantenimenti futuri, invece, è possibile azionare una diversa procedura che permette di ottenere ogni mese, quindi puntualmente, l’assegno di mantenimento.

Tale procedimento prende il nome di ordine diretto di pagamento previsto dalla legge italiana.

Praticamente il mantenimento mensile sarà versato direttamente dal datore di lavoro o dall’istituto di previdenza del genitore obbligato.

Un’altra strada da percorrere è quella penale.

Infatti, non versare il mantenimento per i figli costituisce reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

Per evitare la condanna il genitore incriminato dovrà dimostrare di non avere redditi e che ciò non dipende dalla propria volontà.

Ciò significa che potrà essere condannato anche il genitore disoccupato a meno che a provare di aver fatto tutto il possibile per trovare un’occupazione lavorativa o, anche, di aver subìto una malattia che abbia ridotto la propria capacità lavorativa.

Infatti, le semplici difficoltà economiche non sono sufficienti per evitare la condanna in quanto, secondo la legge italiana, le esigenze dei figli sono prioritarie rispetto a quelle del genitore.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO, QUANDO LO SI PERDE

In caso di separazione il coniuge economicamente più forte deve corrispondere a quello più debole un assegno di mantenimento.

Tuttavia, l’assegno di mantenimento non è un diritto eterno, e lo si può perdere per una serie di eventi e comportamenti, ovvero:

  • nel caso di inizio di una nuova relazione, a patto che si riceva comunque il sostentamento di cui si ha bisogno, come vedremo in seguito;
  • nel caso si inizi a lavorare, diventando economicamente indipendente. Se lo stipendio non è comunque sufficiente al mantenimento, l’assegno può venire ridiscusso;
  • il cambiamento della situazione patrimoniale di uno o entrambi i coniugi può portare alla revoca;
  • nel caso si riceva un’eredità cospicua, in grado di modificare in modo evidente la propria situazione patrimoniale, il coniuge può perdere il mantenimento;
  • nel caso il coniuge che riceve il mantenimento svolga un’attività lavorativa in nero, e questo venga provato;
  • il coniuge può anche scegliere di rinunciare all’assegno di mantenimento.

Non viene perso il mantenimento quando si ricevono aiuti economici da altri parenti, perché non si possono considerare durevoli nel tempo, a patto che provengano dalla famiglia d’origine.

La convivenza può far perdere il mantenimento, in questo caso le regole da seguire sono le seguenti:

  • il coniuge che inizia una nuova convivenza deve trarne beneficio economico. Non basta che vada a vivere con qualcuno, o che qualcuno che vada a vivere con il coniuge, per far perdere il mantenimento;
  • non è necessario che la convivenza venga comunicata in alcun luogo (come in Comune), perché questa sia tale. Basta che sia una convivenza di fatto, perché l’assegno venga perso.

In caso di decesso del coniuge che corrisponde il mantenimento, non si può andare a richiederlo a terzi. Questo significa che non si avranno diritti nei confronti dei genitori del coniuge defunto, o altri parenti.

SEGNALAZIONE AL GARANTE DELLA PRIVACY

Quando si subisce una violazione dei propri dati personali, oppure si pensa di esserne stati vittima, si può inviare una segnalazione al garante della privacy, si tratta dell’autorità adibita alla tutela del diritto alla privacy, a cui i cittadini possono rivolgersi quando ne hanno necessità.

A livello tecnico le due cose sono differenti:

  • la segnalazione è uno strumento più blando, che permette a chiunque di inviare di elementi di cui si è in possesso in caso di una presunta violazione;
  • il reclamo è un atto circostanziato, dove l’istante rappresenta una violazione della disciplina in materia della protezione dei dati (articolo 77 del Regolamento UE 679/2016, e artt. da 140-bis a 143 del Codice)

L’invio della segnalazione è un’operazione semplice basta scrivere a uno degli indirizzi disponibili sul portale, inserendo tutte le informazioni che si hanno a disposizione e lasciando un recapito per un’eventuale risposta.

L’invio del reclamo può avvenire in differenti modalità:

  • consegnando fisicamente agli uffici del garante (sede in Piazza Venezia n. 11, IT-00187, Roma);
  • attraverso raccomandata con ricevuta di ritorno indirizzata a: Garante per la protezione dei dati personali, Piazza Venezia, 11 – 00187 Roma;
  • attraverso email, all’indirizzo certificato protocollo@pec.gpdp.it. Questo indirizzo email è abilitato alla ricezione esclusiva di pec.

Oltre a essere l’interessato a poter inviare un reclamo, però, anche avvocati, procuratori, organismi o enti senza scopo di lucro hanno la possibilità di farlo per conto di terzi.

In questo caso però bisognerà allegare una procura, che verrà depositata al garante della privacy assieme a tutta la documentazione.

COSA AVERE IN AUTO PER NON RISCHIARE UNA MULTA

Prima di mettersi alla guida è bene controllare che siano presenti non solo i documenti necessari ma anche un kit di accessori che sono indispensabili e che spesso sono ignorati dagli automobilisti, importanti per poter evitare qualsiasi sanzione amministrativa.

Ci sono tre documenti che è obbligatorio avere sempre in macchina, in caso di controllo da parte delle forze dell’ordine, e sono:

  • il certificato di assicurazione;
  • la patente di guida;
  • il libretto di circolazione.

Se è vero che dall’ottobre 2015 non c’è più l’obbligo di esporre sul parabrezza il contrassegno giallo di assicurazione, è vero che bisogna sempre tenere a bordo il certificato di assicurazione (in forma cartacea o digitale sullo smartphone), che dimostra la validità della copertura assicurativa della propria auto.

Tutto cambia per chi sta imparando a guidare, ma non ha ancora la patente, in quel caso è obbligatorio avere con sé il foglio rosa e la carta d’identità. Stando al Codice della Strada, i trasgressori che non hanno con sé questi documenti rischiano una multa compresa tra i 42 e i 173 euro (per i soli ciclomotori si va dai 26 ai 102 euro).

triangolo di sicurezza, strumento obbligatorio da avere con se e che compone quel kit di elementi indispensabili.

Il triangolo è un segnale mobile di pericolo dalla forma triangolare e di materiale retroriflettente, e deve essere esposto nel caso di incidente stradale o di vettura ferma, sia di giorno sia di notte, posizionandolo verticalmente sulla carreggiata per avvisare gli altri automobilisti della propria presenza, l’assenza del triangolo può costare al conducente una multa di 170 euro e la decurtazione di 2 punti dalla patente.

Giubbotto o bretelle catarifrangenti. Stando all’articolo, in caso di necessità, è vietato scendere dal veicolo senza aver indossato il giubbotto. L’obbligo di indossarlo vale anche per i passeggeri. Se non lo si indossa, si è soggetti a una sanzione fino ai 170 euro e alla decurtazione di 2 punti dalla patente.

Disco orario, il quale consente di evitare le multe in zone con sosta a tempo. Questo deve essere posizionato sul cruscotto e bisogna aggiornare l’ora di arrivo con precisione. È obbligatorio esporlo nei luoghi in cui è segnalata la necessità del dispositivo di controllo della durata della sosta come si può leggere nell’articolo 157 del Codice della strada.

La multa può arrivare a costare fino a 170 come nei precedenti casi.

Infine, se non si è in possesso di pneumatici invernali è obbligatorio avere a bordo le catene da neve, come spiegato dall’articolo 122 del Codice della Strada. Solitamente il periodo dell’obbligo va da novembre ad aprile, ma potrebbe variare a seconda del luogo e della strada. In caso contrario si rischia una multa compresa tra i 40-300 euro circa.