Archivio per Categoria CONDOMINIO

IN CHE MODO E’ POSSIBILE CONTESTARE I PROVVEDIMENTI DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

Per legge l’assemblea è l’organo decisionale di qualsiasi condominio.

A  fine di evitare inutili rallentamenti nella gestione dell’edificio, la giurisprudenza ha stabilito che tale potere sia condiviso con l’amministratore, al quale il Codice civile ha riconosciuto una limitata capacità decisionale in ordine a tutto ciò che rientra nella cosiddetta “manutenzione ordinaria”. Per quest’ultima si intende l’insieme degli interventi di scarso rilievo economico, soprattutto se resi necessari dalla normale usura del bene dovuto al suo prolungato e normale utilizzo.

È importante sapere che la legge riconosce all’amministratore un ruolo importante anche nelle decisioni relative ad atti di straordinaria manutenzione se questi sono ritenuti urgenti e non sia pertanto possibile attendere la convocazione dell’ assemblea.

Pensiamo ad una rottura improvvisa della tubazione oppure al crollo improvviso di una parte dell’edificio.

 Per poter agire contro l’amministratore, il Codice civile afferma che è ammesso ricorso all’assemblea e al tribunale.

Per contestare le decisioni di un amministratore condominiale, il condomino che si sente leso dalle decisioni prese, può decidere di far ricorso:

  • all’assemblea condominiale;
  • al giudice.

L’impugnazione di un provvedimento dell’amministratore davanti all’assemblea non richiede il  rispetto di alcun termine. Si può decidere di ricorrere all’assemblea anche dopo molti mesi, perfino dopo anni.

Dunque, il condomino che si lamenta del provvedimento dell’amministratore può decidere di  attendere la successiva convocazione dell’assemblea, la quale potrà avvenire anche dopo molto tempo; o chiedere egli stesso la convocazione.

Tuttavia la legge stabilisce che la richiesta di convocazione dei condomini obbliga l’amministratore a provvedere alla formazione della stessa solo se proviene da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.

Nel momento in cui l’assemblea, convocata per decidere sul ricorso del condomino contro la decisione dell’amministratore, dovesse approvare il provvedimento impugnato dall’amministratore, il condomino dissenziente potrebbe impugnare quest’ultima deliberazione davanti al giudice.

Il ricorso deve avvenire entro 30 giorni dalla delibera assembleare.

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CONDOMINIO INDEBITATO: COSA RISCHIANO I CONDOMINI?

Cosa succede se un condomino non paga? Non avendo il condominio una personalità giuridica, dei debiti del condominio rispondono direttamente i proprietari dei vari appartamenti.

Ma a quali condizioni?

Se un condominio non paga i debiti, il relativo creditore può rivolgersi al giudice e far emettere un  decreto ingiuntivo. Quest’ultimo viene notificato all’amministratore di condominio che ha l’obbligo di convocare l’assemblea per informare gli altri condomini.

Le legge da al condominio 40 giorni di tempo per pagare o effettuare un ricorso laddove tale pagamento non sia dovuto. Se, invece, il debito è accertato ma nelle casse del condominio non ci sono soldi a sufficienza per rispettare agli impegni contrattuali, il creditore può avviare il pignoramento dei beni del condominio, preceduto dalla notifica di un ultimo avviso, il cosiddetto atto di precetto. Quest’ultimo lascia al condominio altri 10 giorni per pagare prima dell’avvio delle azioni esecutive.

Ma quali beni possono essere pignorati?

Il creditore non è tenuto ad aggredire prima i beni del condominio, potendo rivolgersi subito nei confronti dei singoli condomini che, come detto in apertura, sono tutti titolari dei debiti assunti dall’amministrazione.

È da evidenziare come i beni del condominio pignorabili si riducano solo al conto corrente ove l’amministratore deposita mensilmente le quote condominiali versate dai singoli condomini.  Tuttavia, in presenza di morosità, è supponibile che il conto potrebbe essere incapiente: se così non fosse, non ci sarebbero altri motivi per non pagare il creditore.

Se l’amministratore, in presenza di un conto corrente che possa far fronte alle relative spese, non vi provvedesse, sarebbe personalmente responsabile.

Dunque il creditore è libero di scegliere di pignorare il conto del condominio ma può anche rivolgersi direttamente ai singoli condomini, per pignorare i beni di questi ultimi.

Ma in che modo può tutelarsi il condomino in caso di pignoramento?

Per evitare che a rimetterci siano i condomini puntuali nei pagamenti, la legge prevede che il creditore che vuol agire contro i condomini deve prima rivolgersi contro i morosi, quelli cioè che non hanno pagato le quote condominiali a cui si riferiva la fattura rimasta insoluta e che ha dato origine all’azione esecutiva. A dare l’elenco dei morosi al creditore è obbligato l’amministratore di condominio. Se questo non fornisce tali indicazioni, il creditore può imporgliele ricorrendo al giudice.

Attenzione però: il creditore non può chiedere al singolo condomino l’integrale pagamento del debito condominiale. Ciascuno infatti risponde solo nei limiti dei propri millesimi di proprietà, sia che si tratti dei condomini morosi che di quelli virtuosi.

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CANNA FUMARIA PRIVATA SU PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO: COME COMPORTARSI?

Il condomino che voglia procedere con l’istallazione della canna fumaria utilizzando il muro comune non ha bisogno di ottenere la preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini in quanto tale utilizzo rientra tra le facoltà consentite a ciascun condomino dall’art. 1102 c.c..

Secondo tale norma, è obbligo del condomino solo comunicare all’amministratore le modalità di realizzazione, in questo modo si mette il condomino a conoscenza dell’operazione che verrà eseguita e i condomini avranno, in questo modo, la facoltà di contestare quanto predisposto dal condomino.

L’installazione di una canna fumaria sul muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico.

Il muro perimetrale, infatti, appartiene a tutti i condomini per l’intera estensione dalle fondamenta alla copertura, anche in corrispondenza dei piani delle porzioni di proprietà esclusiva e adempie a talune funzioni principali indispensabili per l’esistenza stessa dell’edificio, quali quelle di sorreggere il fabbricato, di proteggere le unità abitative dagli agenti atmosferici, di consentire l’apertura delle porte e delle finestre.

Tuttavia esso possiede altre importanti funzioni accessorie, inerenti al suo ruolo quale parte essenziale della struttura del fabbricato: per esempio, consentire l’appoggio di targhe, travi, canne fumarie e simili.

Pertanto, l’utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino per tali finalità, non alterando la naturale e precipua destinazione di sostegno dell’edificio condominiale, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.

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COME COMPORTARSI QUANDO I VICINI DI CASA SONO RUMOROSI?

A volte capita che all’interno di un condominio ci possano essere  vicini rumorosi che disturbano la quiete dello stabile. Cosa fare in questi casi?

La prima cosa da fare è sicuramente quella di cercare di dialogare con il vicino in maniera tranquilla esponendo in modo educato e civile la problematica.

Il regolamento condominiale, generalmente, nel dettare le regole relative all’amministrazione, all’uso delle cose comuni e ai diritti e agli obblighi di ciascun condomino sulle parti comuni, indica anche  le fasce orarie in cui i rumori sono consentiti, e quelle invece nelle quali è necessario rispettare il silenzio.

Molti non sanno che, in presenza di un condomino rumoroso anche nelle “fasce di silenzio”, ci si rivolge all’amministratore di condominio affinché convochi l’assemblea condominiale per discutere sul punto e dunque delibererare le relative sanzioni.

Ai sensi dell’art. 70 delle disposizioni attuative del c.c. “per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad Euro 200,00 e, in caso di recivida, fino ad Euro 800,00 “.

Tale somma viene devoluta al fondo di cui l’amministratore condominiale dispone per sostenere le spese ordinarie del condominio.

Se  neppure la procedura condominiale  dovesse sortire l’effetto sperato sarà necessario agire, con l’assistenza di un avvocato, contro il condomino rumoroso. Si avvia una causa avanti al Tribunale Civile per chiedere la cessazione dei rumori, nonchè il risarcimento dell’eventuale danno provocato dalle immissioni rumorose.

Si ricorda che non tutti i rumori sono idonei a richiedere la tutela civile, ma solo quelli che superano la “normale tollerabilità“.

È bene sapere che i rumori molesti in condominio possono configurare anche come reato penale.

L’art. 659 c.p. sancisce infatti che, è punito “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, distruba le occupazioni o il riposo delle persone ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici…“

Ovviamente non ogni rumore è passibile di tutela penale.

Il reato si configura solo ove i rumori eccedano il limite della normale tollerabilità, e siano virtualmente in grado di infastidire un numero indeterminato di persone. “E’ quindi necessario che i rumori interessino una parte consistente degli occupanti il medesimo edificio” (sentenza Cass. n. 31741/2020 – fonte Leggi d’Italia).

Si consiglia, dunque, attraverso un esperto, di effettuare un’attenta analisi del caso concreto.

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BALCONE PERICOLANTE: A CHI ADDEBITARE LE SPESE?

Può capitare che, da un balcone di un edificio condominiale cadono pezzi d’intonaco e che il condominio decida di procedere all’immediata installazione di una mantovana per scongiurare i pericoli verso la pubblica incolumità.

A chi devono essere imputate le spese di questo intervento? A tutti i condomini o al singolo condomino dell’appartamento a cui il balcone appartiene?

Secondo la giurisprudenza, il balcone costituisce il prolungamento della corrispondente unità immobiliare ed è di appartenenza, dunque, al proprietario dell’appartamento che lo utilizza.

Tale struttura non svolge alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio. Per questa ragione il balcone non può in alcun caso essere considerato al servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani. È, infatti, da ritenersi di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento.

Viceversa accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio, dove, in caso di manutenzione straordinaria, sono chiamati a rispondere tutti i condomini.

Dunque, nel caso in cui il cattivo stato di manutenzione degli elementi di finitura dell’estradosso delle solette del balcone e dunque della pavimentazione dello stesso comporti problemi di infiltrazioni all’appartamento sottostante, è a carico del proprietario del balcone ripristinare lo stato di salubrità e sanare il danno (Trib. Firenze, Sez. II, 15 settembre 2016).

Si evince come la giurisprudenza precisi che i proprietari delle unità immobiliari sono gli unici responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura del sottobalcone.

Diversamente se parliamo di fregi ornamentali e di elementi decorativi, come ad esempio i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini, essi sono di propietà condominiale. Questo perché fanno parte della funzione ornamentale dell’intero edificio.

Di conseguenza è onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine di esimersi da responsabilità, provare che il danno è stato causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell’intero edificio appartengono alle parti comuni dello stesso.

Tuttavia bisogna considerare singolarmente i diversi casi e la conformità dell’edificio dove il danno è avvenuto. Se parliamo di stabile costituito da balconi incassati, la conformazione del balcone fa sì che esso funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore. Dunque il danno potrebbe essere imputato a due immobili anziché uno solo.

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IL CONDOMINO CHE GETTA I RIFIUTI DAL BALCONE INCORRE IN SANZIONI PENALI

Gettare rifiuti o oggetti dal proprio balcone in quello del vicino o nel cortile condominiale è reato.

E’ integrata infatti la fattispecie di cui all’art. 674 del codice penale che punisce con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”.

A sanzionare le diverse condotte dei condomini “maleducati” e incivili ci ha pensato più volte la Cassazione, che di recente però ha avuto anche modo di chiarire nella sentenza n. 30900/2022 che: “L’art. 674 del codice penale punisce il getto o il versamento in luogo di pubblico transito, anche se di proprietà privata (…)” La collocazione di cocci di vetro in luogo di pubblico passaggio, non rilevando per nulla il fatto che esso non sia l’unico punto di accesso all’abitazione della persona offesa, integra il reato contestato. La fattispecie di cui all’art. 674 del codice penale, infatti, non richiede per la sua configurabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma intende tutelare, ricomprendendosi nella stessa anche la alterazione superficiale del bene, atteso che anche con ciò può determinarsi un rischio per la salubrità dell’ambiente e conseguentemente della salute umana. (Sez. 3, n. 46846 del 10/11/2005).

Ai fini della configurabilità del reato di getto pericoloso di cose non si richiede che la condotta di “molestia alle persone” abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente l’idoneità ad offendere, imbrattare o molestare le persone; né tale attitudine deve essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire quanto oggettivamente percepito.