Archivio per Categoria COMUNE / PROVINCIA / REGIONE

COSA FARE IN CASO DI CREDITO IMU?

Cosa succede al contribuente che, a seguito di modifiche effettuate dal Comune, ha versato dell’Imu in eccesso, e che si trovati con un credito pari all’imposta versata, sia nei confronti del Comune che dello Stato?

Il soggetto potrà presentare l’istanza di rimborso al Comune interessato, ed ottenere in questo modo la restituzione dei maggiori importi pagati.

Se invece, in sede di saldo risulta un credito Imu per la quota erariale versata erroneamente a giugno, e un debito Imu per la quota comunale, sarà possibile compensare i due importi. Se la differenza è a credito basterà chiedere il rimborso al Comune interessato, se invece la differenza è a debito il contribuente dovrà inoltrare al Comune un’istanza dove si evidenzierà che il saldo è stato calcolato tenendo conto della quota erroneamente versata allo Stato.

Possono però verificarsi anche dei casi in cui il contribuente abbia erroneamente indicato il codice tributo nel modello F24 o nel bollettino postale. In questi casi sarà necessario chiedere la correzione del codice tributo al Comune e non all’Agenzia delle Entrate dal momento che l’Imu è un tributo comunale.

Se l’errata indicazione del codice ha creato un’errata distribuzione dell’imposta tra Stato e Comune, spetterà a costoro effettuare le relative regolamentazioni.

Qualora invece sia l’intermediario ovvero la banca o la Posta a riportare in maniera scorretta il codice catastale del comune ove è situato l’immobile, il contribuente potrà chiedere l’annullamento del modello F24.

In questo modo il modello di pagamento potrà essere rinviato con i dati corretti e sarà possibile trasmettere ai Comuni interessati i dati dell’annullamento e dell’operazione corretta, nonché effettuare le relative regolazioni finanziarie.

SCADENZA SECONDA RATA IMU A DICEMBRE: CHI E’ ESONERATO?

I contribuenti dovranno versare la seconda rata dell’Imu entro il prossimo 16 dicembre.

Il governo all’interno del decreto Aiuti-quater ha previsto degli incentivi anche per consentire l’esonero dal pagamento dell’Imu per alcuni settori.

Il particolare, secondo quanto disciplinato, non saranno tenuti al pagamento dell’imposta municipale i soggetti che appartengono al settore dello spettacolo. Per questi contribuenti, dice il decreto “per il 2022, la seconda rata dell’Imu di cui all’articolo 1, commi da 738 a 783, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, non è dovuta per gli immobili di cui comma 1 lettere d), nel rispetto delle condizioni e dei limiti del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis».”

Si fa, dunque, esplicito riferimento a tutti quegli immobili rientranti nella categoria catastale D/3 che risultano adibiti a spettacoli cinematografici, teatri e sale per concerti e spettacoli. Un beneficio che, riguarda esclusivamente i casi in cui i proprietari dell’immobile risultino essere allo stesso tempo anche i gestori delle attività esercitate all’interno della struttura.

Ricordiamo che l’imposta continua a non essere dovuta sull’abitazione principale, ovvero sull’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente, a meno che si tratti di un’unità abitativa inclusa nelle categorie catastali di lusso (A/1, A/8, A/9). Sono inoltre esentati dall’Imu anche i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali) adibiti ad abitazione principale, la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli e un immobile posseduto, ma non concesso in locazione, da soggetto appartenente alle forze armate o alle forze dell’ordine, pure nel caso in cui non risulti dimora abituale o non coincida con la residenza anagrafica.

CHE COSA SI INTENDE PER RENDITA CATASTALE?

La rendita catastale non è altro che un valore fiscale utilizzato per determinare il valore di un immobile,  quale può essere un fabbricato, un appartamento o un locale commerciale.

Essa viene definita, sostanzialmente, sulla base di due elementi: la dimensione dell’immobile (numero dei vani, la superficie e la volumetria) e la zona censuaria del Comune in cui è ubicato insieme alla sua tipologia.

La rendita catastale permette di calcolare il valore fiscale dell’immobile in base al quale vengono determinate l’imposizione diretta e l’IMU (Imposta municipale unica sugli immbili).

Essa determina anche il valore catastale ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni o delle imposte ipotecaria e catastale.

Essa è quindi importante ai fini fiscali al fine di determinare il reddito dei singoli immobili.

L’attribuzione della rendita catastale avviene entro 30 giorni dal rilascio della certificazione di agibilità da parte del Comune. Il proprietario dell’immobile, attraverso l’ausilio di un tecnico, è obbligato a chiedere all’Agenzia del Territorio l’attribuzione della rendita catastale al proprio immobile. È possibile ottenere i dati catastali anche direttamente dall’atto di compravendita dell’immobile (rogito) o chiedendo una visura catastale gratuita.

La rendita catastale viene rivalutata ai fini della determinazione delle imposte da pagare, ad esempio, per l’IMU la rivalutazione consiste nell’aumento del 5% del valore catastale.

A seconda della destinazione d’uso del fabbricato, difatti, il valore si ottiene moltiplicando la rendita catastale per un coefficiente prestabilito che varia in relazione alla destinazione d’uso dell’immobile e alla categoria catastale di appartenenza.

È importante sapere che esiste un altro parametro che viene utilizzato per determinare la rendita catastale ed è la cosiddetta “classe catastale”, un valore che serve a differenziare ulteriormente gli immobili appartenenti allo stesso gruppo catastale in quanto prende in considerazione la rifinitura, l’ampiezza dei vani e la dotazione di servizi.

Altro parametro è la “Consistenza Catastale” dell’immobile, che determina la sua grandezza. Essa è espressa con unità di misura diverse a seconda della categoria di appartenenza.

AVVISO DI ACCERTAMENTO IMU: COME FUNZIONA?

Il contribuente insolvente nel caso si pagamento IMU vedrà recapitarsi a casa un avviso di accertamento emesso dal Comune.

È bene sapere che esistono due tipologie di avviso di accertamento:

  • l’accertamento per omessa dichiarazione IMU;
  • l’accertamento per omesso o insufficiente versamento.

Spesso  i comuni emettono l’avviso di accertamento per entrambe le motivazioni nello stesso momento e con un unico atto, ovvero in modo contestuale.

Ma cosa contiene l’avviso di accertamento IMU?

  • l’importo dovuto: esso è composto dall’imponibile IMU e dalle sanzioni più interessi maturati;
  • le motivazioni dell’emissione;
  • le modalità e il termine ultimo per effettuare il pagamento;
  • la firma del responsabile del procedimento,
  • l’organo presso il quale è possibile impugnare l’atto e le modalità per presentare il ricorso in autotutela.

Il Comune deve emettere l’avviso di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione IMU e quindi si sarebbe dovuto effettuare il versamento integrale della somma dovuta. Attenzione però a non confondere il momento dell’emissione con il momento della notifica, in quanto quest’ultima può avvenire anche in un periodo successivo al 31/12 infatti il requisito inviolabile ai fini della validità dell’avviso di accertamento è la data di emissione.

Il contribuente che ritiene di non dover pagare può avvalersi dello strumento dell’ autotutela. Grazie a questo egli potrà recapitare all’Ente le motivazioni tali per cui l’avviso di accertamento non avrebbe ragione di esistere. Consiste in una semplice lettera, recapitabile anche mezzo PEC, nella quale si espongono dettagliatamente le motivazioni e si richiede dunque un annullamento dell’avviso.

Spesso succedere che il pagamento non presente sia dovuto a un errore di digitazione del codice catastale. In questi casi accade che l’importo IMU versato finisca nelle casse di un altro Comune . in questi casi è necessario contattare il Comune che per errore ha ricevuto il pagamento e richiedere un rimborso oppure un riversamento direttamente nel C/C del Comune di appartenenza dell’immobile.

E’ doveroso ricordare che, qualora si decidesse di non effettuare il pagamento dell’avviso di accertamento entro la scadenza prevista, sarà inevitabile la ricezione di cartelle esattoriali o di un’ingiunzione, per via della riscossione coattiva, attivata dall’Ente nei confronti dei contribuenti “accertati” e ancora insolventi.

TARI PER I LUOGHI DI CULTO: E’ PREVISTA UN’ESENZIONE?

A differenza  di quanto stabilito in materia di IMU e TASI, per il prelievo sui rifiuti, in assenza di espressa previsione contenuta nel Regolamento Comunale, la normativa nazionale non prevede esenzioni per i fabbricati destinati esclusivamente al culto.

La normativa sulla TARI, all’art. 1 c. 641 L. 147/2013 stabilisce che “Il presupposto della TARI e’ il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”.

Proprio per questo motivo essa è’ dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani.

Tuttavia al comma 659 L. 147/2013 viene descritto un elenco di esenzioni e riduzioni facoltative che il Comune potrebbe adottare con apposito regolamento. All’interno di questo elenco sono previsti anche i luoghi di culto.

Dunque l’esclusione per il pagamento della Tari in riferimento a questi luoghi è riposta nelle mani dei singoli comuni. Il comune può deliberare, con regolamento di cui all’articolo 52  del  citato  decreto  legislativo  n.  446  del  1997,  ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto a quelle previste .

La normativa sulla tassa sui rifiuti non prevede in generale  alcuna esenzione per gli enti di beneficenza o di istruzione, tanto che anche le istituzioni scolastiche statali sono assoggettate al pagamento della tassa sui rifiuti.  Si può facilmente dedurre che una differente argomentazione anche in relazione alle attività riguardanti gli enti ecclesiastici comporterebbe forme di discriminazione.

La Corte di Cassazione chiarisce che la TARI ha valenza specifica di corrispettivo del servizio di raccolta rifiuti e non di tributo, per cui l’Istituto pontificio non è esente dal relativo pagamento secondo le previsioni dei patti lateranensi.

IL COMUNE E’ TENUTO A RISARCIRE IL PEDONE CHE CADE A SEGUITO DI UN TOMBINO RIALZATO?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31702/2022  ha condotto all’accoglimento dell’appello principale del Comune contro la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto al pedone inciampato nel tombino un risarcimento di più di 2000 euro.

Una donna, inciampata  e caduta in un tombino aveva chiesto i danni al Comune e il Giudice di primo grado condannava l’Ente a risarcire alla donna Euro 2.2027,56.

In un primo momento la Cassazione aveva rilevato che  la caduta si era verificata su un tombino posto a d un livello inferiore rispetto alla sede stradale ossia più basso da un lato di circa 4-5 centimetri rispetto alla sede stradale, e che pertanto ricorreva un lieve avvallamento del manto stradale.

Dal momento che l’anomalia non rilevante rende il rischio non percepibile dal pedone, la donna aveva diritto al risarcimento da parte del Comune. Se invece l’anomalia fosse stata visibile e rilevante allora il pedone sarebbe stato responsabile della propria caduta.

Dunque la Pubblica Amministrazione è responsabile per i danni cagionati da un tombino mal posizionato sulla strada sottoposta alla sua custodia.

Per il verificarsi della responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., è necessaria la prova da parte del danneggiato di un relazione tra la cosa in questione e l’evento dannoso, che risulti cosi riconducibile a una anomalia nella struttura o nel funzionamento della cosa stessa.

La responsabilità ex art. 2051 c.c., postula, infatti, la sussistenza di un “rapporto di custodia” della cosa, ossia di una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa.

QUAL È LA DIFFERENZA TRA DOMICILIO E RESIDENZA?

È quasi sempre facile fare confusione tra domicilio e residenza, ma qual è la differenza e cosa cambia ai fini pratici e legali?

Secondo la definizione del codice civile il domicilio “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi” mentre la residenza è “Il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.”

In parole povere col termine residenza intendiamo il luogo dove si esplica la vita privata familiare di una persona mentre nel domicilio quella lavorativa. Domicilio e residenza possono trovarsi nella stesso Comune oppure in province e regioni diverse, ed anche fuori dall’Italia.

Al domicilio di ogni persona solitamente sono recapitate le comunicazioni di lavoro mentre soltanto nel Comune di residenza è possibile richiedere i documenti indispensabili come i certificati anagrafici o quelli di matrimonio.

Spesso però questi due termini coincidono. Possono essere differenti se ci troviamo, ad esempio,  di fronte ad un lavoratore o studente fuori sede che risulta domiciliato nella città in cui studia/lavora ma ha conservato la residenza nel Comune di provenienza.

Ricapitolando possiamo dunque definire  domicilio come il luogo dove si concentra la vita professionale di una persona ed è qui che si ricevono comunicazioni lavorative, si apre una tutela, la successione a causa di morte oppure la dichiarazione di fallimento della propria impresa.

Il domicilio è temporaneo e non definitivo: non si può votare nel Comune di domicilio e nemmeno scegliere il medico di base.

Mentre la residenza è dove una persona vive in modo non occasionale e non limitato ad un certo periodo dell’anno. Quindi ad esempio, gli studenti universitari fuori sede conservano la residenza nel luogo di provenienza, a meno che non facciano espressa domanda per modificarla per un motivo specifico, ad esempio per scaricare le spese dell’affitto nella dichiarazione dei redditi.

La residenza è anche il luogo dove votare e beneficiare di agevolazioni legali o fiscali stabilite in un determinato Comune o Regione, come borse di studio, sussidi e buoni spesa.

In molti caso domicilio e residenza coincidono e, quindi, non c’è bisogno di indicare indirizzi differenti all’interno di certificazioni e documenti. Questo accade, ad esempio, quando la sede della vita privata e quella professionale si concentrano nello stesso luogo.

I TERMINI PER LA NOTIFICA DI ACCERTAMENTI DEI TRIBUTI LOCALI

La giurisprudenza per evitare che la contestazione della violazione dell’obbligo relativo ai tributi locali possa avvenire troppo in la nel tempo prescrive che l’atto di accertamento deve essere notificato a pena di decadenza entro il  31 dicembre de quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento avrebbero dovuto essere effettuati. Il comma 161 dell’articolo 1 della legge 296/2006 prevede infatti che “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La legge inoltre, prevede che i termini per la notifica dell’avviso di accertamento emesso per omessa o infedele dichiarazione decorrono dal 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata o doveva essere presentata. In questo caso occorre precisare che si tratta dell’anno successivo a quello oggetto di dichiarazione. Di conseguenza, ad esempio, il comune potrà notificare fino, ma non oltre, il 31 dicembre 2025 l’avviso di accertamento relativo alla mancata o infedele dichiarazione IMU attinente al 2019, posto che questa andava presentata nel 2020.

Il dl n. 18 del 2020, ha disposto la sospensione dei termini di notifica degli atti di accertamento (art. 67). Questa norma però, non è stata dettata specificatamente per i tributi comunali, ma  riguarda anche gli atti dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.

Quali sono allora i termini dell’accertamento dei tributi locali nel 2022?

All’8 marzo 2020 erano pendenti i termini relativi agli atti di accertamento esecutivi per omesso versamento per gli anni 2015- 2019 e gli atti di accertamento esecutivi per infedele o omessa denuncia per gli anni 2014-2018. Il 2016 sarà prescritto nel 2021 e il 2016 nell’anno corrente.

La notifica dell’avviso di accertamento può essere effettuata in diversi modi, ovvero mediante raccomandata semplice, messi notificatori, pec o atto giudiziario.

In caso di assenza del destinatario, l’agente postale depositerà l’avviso presso l’ufficio postale e lascerà presso l’abitazione del destinatario l’avviso di giacenza. Il plico rimarrà nell’ufficio postale per 30 giorni, trascorsi i quali, in casi di mancato ritiro verrà spedito al mittente e la notifica verrà comunque .

Come ha sostenuto la Cassazione la notificazione dell’avviso di accertamento non è un elemento per la giuridica esistenza dell’atto, ma ne rappresenta una mera condizione di efficacia. La notificazione dell’atto rappresenta dunque un momento susseguente e autonomo, rispetto a quello della sua giuridica formazione, tant’è che eventuali vizi del procedimento notificatorio non incidono sull’esistenza e sulla validità dell’atto stesso.

La Corte ritiene quindi che un atto di impugnazione processuale deve ritenersi tempestivamente notificato se la richiesta di notifica sia avvenuta nel termine di legge. Anche l’atto tributario deve ritenersi rispettoso del termine di decadenza previsto per legge se entro tale termine sia stato emesso e sia stato oggetto di richiesta di notificazione.

La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 40543/21 ha pronunciato un importantissimo principio di diritto secondo cui “In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e agli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi di imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art.60 del d.P.R . 29 settembre 1973 n.600, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell’atto e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente“.

DOVE FARE RESIDENZA SE NON SI POSSIEDE UNA CASA?

La giurisprudenza definisce una persona senza fissa dimora  chi per lungo tempo non ha un luogo fisso di residenza. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti che, trovandosi in estreme difficoltà economiche, sono privi di un posto dove stare e perciò vivono in uno spazio pubblico oppure per scelta avendo deciso di vivere ad esempio in una roulotte e di spostarsi continuamente. Si può essere poi senza fissa dimora anche per una ragione specifica, ad esempio per rendersi irreperibili al Fisco.

La legge prevede che l’iscrizione all’anagrafe comunale è un diritto soggettivo riconosciuto dal nostro ordinamento a tutti i cittadini che ne hanno facoltà.

Per la persona senza fissa dimora si utilizza il criterio del domicilio al posto di quello di residenza, intendendo per domicilio il luogo in cui la stessa ha fissato la sede principale dei suoi affari e interessi. Ai fini dell’iscrizione anagrafica della persona senza fissa dimora, si fa riferimento al luogo ove l’interessato ha fissato il proprio domicilio equiparando, eccezionalmente, il domicilio alla dimora abituale.

Se manca il domicilio, la persona si considera residente nel Comune di nascita . Se è nata all’estero, si considera residente nel Comune di nascita del padre o della madre. Deve essere comunque dimostrata la presenza non occasionale di tale soggetto sul territorio nazionale.

La persona senza fissa dimora può chiedere di essere iscritta nel registro dell’anagrafe della popolazione residente in un determinato Comune, presentando un’apposita istanza nella quale dichiara la residenza. Ai fini dell’accertamento vanno valutate, caso per caso, le situazioni personali del soggetto nonché quelle patrimoniali, sociali, esistenziali e relazionali.

Il ministero dell’Interno ha chiarito che il domicilio per essere considerato tale, deve trovarsi ubicato in un preciso immobile o luogo fisico. L’ufficiale d’anagrafe può comunque acquisire prove documentali e dichiarazioni di parte, idonee a dimostrare l’esistenza del domicilio medesimo.

Una volta avvenuta l’iscrizione il Comune evidenzia la posizione anagrafica della persona senza fissa dimora nell’Indice nazionale delle anagrafi (Ina). Tale informazione viene conservata nel Registro delle persone senza dimora di cui è titolare il Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale per i servizi demografici presso il ministero dell’Interno.

Se si tratta di una persona assistita da enti assistenziali pubblici o privati, gli elementi per accertare il domicilio sono facilmente individuabili; salvo casi eccezionali, il domicilio di questa persona coincide con la sede della struttura assistenziale di riferimento.

Dopo la presentazione della domanda di iscrizione all’anagrafe comunale da parte di una persona senza fissa dimora, l’addetto all’ufficio deve provvedere alle variazioni richieste nei due giorni lavorativi successivi.

Gli effetti giuridici dell’iscrizione anagrafica decorrono dalla data di presentazione della dichiarazione: pertanto, da quel momento in poi, possono essere rilasciati i certificati di residenza o gli altri documenti per i quali la residenza è condizione necessaria.

Il Comune di iscrizione deve controllare la dichiarazione resa dalla persona senza fissa dimora, entro quarantacinque giorni dalla data della dichiarazione stessa nonché deve verificare se il domicilio del richiedente si trova nel luogo da questi indicato.

Il Comune deve comunicare all’interessato l’esito dei controlli effettuati e tale soggetto ha dieci giorni per rispondere.

L’amministrazione comunale, una volta ricevute le comunicazioni e/o integrazioni dell’interessato, ha ulteriori quarantacinque giorni per la decisione finale.

Se la procedura ha esito negativo l’anagrafe comunale a cui è stata iscritta la persona senza fissa dimora, deve provvedere a cancellare detta iscrizione e il Comune di provenienza deve ripristinare l’iscrizione nella propria anagrafe.

L’istanza per l’iscrizione all’anagrafe comunale presentata da una persona senza fissa dimora deve contenere informazioni veritiere. In caso contrario, la domanda viene segnalata agli organi di polizia e il richiedente può essere sanzionato sia in sede penale sia in sede amministrativa con la decadenza dei benefici eventualmente conseguiti con la falsa dichiarazione.

COME ADDEBITARE ALL’AFFITUARIO LE IMPOSTE SULLA CASA

Per legge, il titolare dell’abitazione è tenuto a pagare l’Imu, mentre il pagamento della Tari spetta a chi, in quel momento, sta occupando l’abitazione ovvero l’affittuario.

In che modo, invece, è possibile addebitare entrambe le imposte all’inquilino?

Fermo restando che, per la legge, l’unico responsabile per il versamento dell’Imu e della Tari è il soggetto passivo d’imposta ovvero rispettivamente il proprietario e l’affittuario, il contratto di affitto può ben prevedere diversamente.

Si può facilmente  convenire che l’Imu gravi sull’affittuario per intero o solo in parte. Si tratta in questo caso di un accordo tra privati, che esplica effetti solo tra le parti e non nei confronti dello Stato.

Questo significa che, se l’inquilino non dovesse onorare l’impegno assunto, il responsabile del mancato pagamento resta il titolare dell’immobile contro il quale il Comune è tenuto ad agire.

La legittimità della clausola che scarica le tasse sulla casa sull’inquilino si fonda essenzialmente sull’assenza di divieti normativi espressi e sulla volontà delle parti di traslare gli oneri tributari come parte integrante del canone di locazione complessivamente dovuto dal conduttore.

Secondo la Cassazione, è legale far pagare all’inquilino le tasse sulla casa.

L’affittuario è tenuto a  corrispondere al proprietario dell’immobile il canone di locazione e le spese condominiali.

La misura delle spese condominiali viene fissata dal contratto di locazione.

Il contratto di locazione che prevede all’affittuario l’onere di corrispondere le tasse sulla casa non può quindi considerarsi nullo proprio perché esplica i suoi effetti non nei confronti del fisco ma solo tra le parti.

È  necessario però inserire un’apposita clausola nel contratto di locazione.

Ricordiamo che, il contratto di locazione tra le parti, per avere validità, deve essere regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate.

RIVOLGITI AL CONSULENTE CIVICO DEL TUO QUARTIERE/CITTA’ OPPURE COMPILA IL MODULO SOTTOSTANTE PER ESSERE RICONTATTATO