Per molto tempo si è pensato che il reato di molestie non si potrebbe configurare tutte le volte in cui la vittima abbia la capacità di sottrarsi alla condotta molesta. Non vi sarebbe, ad esempio, alcuna molestia nell’inviare continue email o messaggi su un social, visto che il destinatario può decidere liberamente se collegarsi o meno al proprio account e leggere il contenuto delle comunicazioni. Laddove invece questi non possa evitare la molestia, come nel caso dello squillo del telefono di casa o del citofono di casa, allora il reato sarebbe conclamato.
Le nuove applicazioni con le quali si inviano messaggi sappiamo bene che consentono, volendo, di bloccare un contatto, impedendogli così sia di telefonare che di inviare messaggi molesti. Ma la pronuncia in commento ha modificato la tradizionale interpretazione del reato di molestie.
Secondo infatti la Cassazione, ai fini dell’integrazione di tale illecito penale, ciò che conta di più è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita. Va poi aggiunta la percezione immediata e diretta del contenuto del messaggio o di parte di esso, attraverso l’anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco del cellulare, realizzandosi in tal modo in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera riservata del ricevente.
Del resto, il fatto stesso di costringere una persona a correre ai ripari contro il molestatore, bloccandone la numerazione costituisce in sé una molestia che deve essere punita.
Cosa rischia, dunque, chi invia messaggi sgraditi su WhatsApp?
Il Codice penale è abbastanza severo: l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro. Tuttavia, se il comportamento non viene ripetuto nel tempo, l’imputato può ottenere il beneficio della “non punizione” invocando la cosiddetta particolare tenuità del fatto.
La Cassazione ha ritenuto che il carattere invasivo della messaggistica telematica non può essere escluso per il fatto che il destinatario di messaggi non desiderati, inviati da un determinato utente, possa evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere in alcun modo la propria libertà di comunicazione. Quindi, non è solo la chat di WhatsApp a far scattare il reato, ma anche l’sms o l’invio di messaggi attraverso il servizio di messaggistica di un social network.
Allo stesso modo, la Cassazione ha detto che è reato anche l’invio di messaggi per interposta persona: è ad esempio il caso di chi, essendo stato bloccato da un utente, utilizzi la numerazione di un amico in comune affinché gli faccia arrivare il proprio messaggio.
Info sull'autore