Quando un dipendente lascia il lavoro a causa di una grave violazione del contratto si parla di dimissioni per giusta causa. Le dimissioni per giusta causa non richiedono, a differenza delle dimissioni rassegnate per altri motivi, il periodo di preavviso per cui il dipendente può smettere di lavorare fin dal giorno successivo e richiedere l’indennità di disoccupazione Naspi. Le dimissioni volontarie per giusta causa richiedono, tuttavia, una valida motivazione. Le ragioni possono variare ma devono comunque rientrare nei criteri previsti dalla legge e dal contratto collettivo nazionale: il datore di lavoro, infatti, ove ritenga non ci siano validi motivi, può contestare le dimissioni. Le ragioni che spingono un dipendente a specificare che si tratta di dimissioni per giusta causa sono due: non dover osservare alcun preavviso e mantenere il diritto alla Naspi. Il lavoratore e il datore di lavoro potrebbero avere pareri discordanti: per questo motivo è importante attenersi a quanto stabilito dalla normativa. Secondo la normativa, l’inadempimento del datore deve essere così grave da non consentire di proseguire il rapporto di lavoro. Le ragioni che potrebbero far scattare la giusta causa sono diverse come stipendio non pagato, ripetuti ritardi nei pagamenti, discriminazione sul luogo di lavoro, violazione dei diritti del lavoratore (violenze o molestie sul posto di lavoro), cambiamenti unilaterali nel contratto di lavoro senza il consenso del dipendente e mobbing. Tra i casi in cui il dipendente è autorizzato a dimettersi c’è il mancato pagamento dello stipendio. La Corte di Cassazione ha riconosciuto il mancato pagamento dello stipendio come un grave inadempimento che da risoluzione immediata del rapporto di lavoro. La giurisprudenza ha chiarito che l’arretrato di una sola retribuzione non è sufficiente per far scattare le dimissioni per giusta causa. La sentenza n.150/2017 ha chiarito, infatti, che servono almeno due mensilità per far scattare le dimissioni per giusta causa. Potrebbe accadere che sia lo stesso Ccnl a stabilire che il dipendente sia autorizzato a dimettersi immediatamente in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni: in questo caso il lavoratore potrà licenziarsi già dall’11 giorno del mese in cui avrebbe dovuto ricevere lo stipendio, come chiarito dal tribunale di Milano nella sentenza 1713/2017. Se il datore di lavoro non versa i contributi previdenziali o assistenziali, le omissioni giustificano le dimissioni per giusta causa del lavoratore. Questa casistica viene meno se il fatto è stato a lungo accettato dal lavoratore. Le dimissioni per giusta causa possono essere giustificate anche dal fatto che il datore di lavoro tenga un comportamento ingiurioso verso il dipendente. Le dimissioni per giusta causa si considerano legittime a seguito della pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite del dipendente ovvero di comportamenti illeciti o in contrasto con la legge. La Cassazione reputa legittime le dimissioni per giusta causa in caso di molestie sessuali perpetrate dal datore di lavoro nei confronti del dipendente. Per molestie sessuali si intendono i comportamenti lesivi e molesti riguardanti la sfera sessuale ovvero comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale o non verbale che hanno lo scopo di violare la dignità della persona. Anche il demansionamento del dipendente può legittimare le dimissioni per giusta causa del lavorare. Per demansionamento si intende uno svuotamento del numero e del contenuto delle mansioni, tale da determinare un pregiudizio al bagaglio professionale del lavoratore. Tuttavia, una recente sentenza della Cassazione stabilisce che adibire il lavoratore a mansioni inferiori è legittimo se costituisce una alternativa alla perdita del posto di lavoro. L’assegnazione a un inquadramento inferiore può essere attuata anche senza bisogno di un accordo in caso di modifica dell’organizzazione aziendale che ricada sulla posizione del dipendente. Le dimissioni per giusta causa sono legittime in caso di mobbing. Con il termine mobbing intendiamo tutti quei comportamenti vessatori, reiterati e duraturi, individuali o collettivi rivolti nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici o colleghi. Affinché si possa configurare il mobbing, devono esserci comportamenti di carattere persecutorio, comportamenti attuati con intento vessatorio contro la vittima in modo diretto, sistematico e prolungato nel tempo. L’intento persecutorio e la volontà lesiva devono essere riscontrabili in tutti i comportamenti. Deve essere presente un danno alla salute, alla personalità o alla dignità. Infine, tra il danno e i comportamenti deve esistere un rapporto causa-effetto. Per le dimissioni per giusta causa non c’è una procedura specifica da seguire. Queste, quindi, rientrano nella procedura telematica prevista dall’articolo 26 del D.Lgs 151/2015: per rassegnare le dimissioni bisogna servirsi dell’apposito servizio sul sito clic lavoro del ministero del lavoro. Il datore di lavoro può contestare le ragioni del lavoratore e chiedere che riconosca l’indennità di mancato preavviso. In caso di ricorso contro le dimissioni per giusta causa, sarà il lavoratore a dover provare quanto affermato in sede di dimissioni.
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