Archivio mensile Dicembre 15, 2023

ISCRIZIONI SCUOLA 2024/2025

Le iscrizioni a scuola, per l’anno scolastico 2024/2025 andranno fatte online mediante la Piattaforma Unica, una novità introdotta dal ministero dell’Istruzione e del merito. I genitori degli studenti che, a partire da gennaio, dovranno procedere all’iscrizione dei propri figli al prossimo anno scolastico dovranno essere in possesso delle credenziali per accedere alla suddetta piattaforma. Le iscrizioni online riguardano tutte le classi prime delle scuole statali primarie e secondarie di primi e secondo grado, i percorsi di istruzione e formazione professionale erogati dagli istituti professionali e dai centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni. Per la scuola dell’infanzia, la domanda resta cartacea. Per accedere alla Piattaforma Unica, i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale dovranno collegarsi mediante le proprie credenziali Spid, Cie, Cns o eIDAS e procedere all’iscrizione. Essi potranno, nella stessa piattaforma, consultare il servizio “scuola in chiaro” per individuare la scuola di interesse e visionare i documenti importanti dell’istituzione scolastica come il Ptof. I genitori possono procedere con la domanda di iscrizione online a partire dalle ore 8:00 del 18 gennaio 2024 e la stessa va compilata entro le ore 20:00 del 10 febbraio 2024. Nella domanda di iscrizione, i genitori devono fornire le indicazioni relative allo studente per il quale è richiesta l’iscrizione tra cui codice fiscale, nome e cognome, data di nascita e residenza e esprimere le loro preferenze in merito all’offerta formativa proposta dalla scuola o dal centro di formazione professionale scelto. Dopo la conferma dell’accettazione della stessa, i genitori dovranno inoltrare la documentazione richiesta dalla scuola mediante l’apposita sezione sempre sulla Piattaforma Unica. Tra il 31 maggio e il 1 luglio 2024, coloro che hanno iscritto i propri figli a scuola avvalendosi dell’insegnamento della religione cattolica dovranno esprimere le preferenze per le altre tipologie di attività da svolgere.

CONDOMINIO MOROSO

Ogni condominio, prima o poi, si trova ad al suo interno un condomino moroso. Se un condomino non paga le quote a lui addebitate dal piano di riparto, l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di agire contro di lui entro e non oltre 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio il cui debito si riferisce. Tale obbligo non è adempiuto dal semplice invio di un sollecito: l’amministratore deve incaricare un avvocato di propria fiducia affinché avvii la procedura esecutiva. L’avvocato si rivolge al giudice ottenendo da questi una condanna dal moroso al pagamento immediato di una somma: si tratta di una ingiunzione di pagamento, conosciuta come decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In assenza di pagamento o di opposizione al decreto ingiuntivo, il condominio può procedere al pignoramento dei beni del debitore. Se la morosità persiste da oltre 6 mesi, l’amministratore può staccare l’acqua o il gas al moroso o impedirgli di usufruire di tutti quei servizi condominiali che possono essere goduti in modo separato. Se il condominio ha un debito e non può pagare un fornitore, questo può attivare la stessa procedura del condominio moroso: si chiede al giudice un decreto un decreto ingiuntivo e dopo 40 giorni si procede al pignoramento dei beni. I beni del condominio pignorabili sono ad esempio, il conto corrente che potrebbe, tuttavia, non contenere le somme necessarie a soddisfare le ragioni del creditore. In questo caso, il creditore può agire contro i singoli condomini pignorando i beni di questi ultimi. La legge impone al creditore di agire prima contro i condomini morosi e poi contro tutti gli altri, anche quelli virtuosi che hanno saldato il loro debito. Il capo condominio è tenuto, a richiesta del creditore, a consegnare l’elenco dei morosi, ovvero di tutti coloro che non hanno pagato le quote con cui il condominio avrebbe dovuto saldare la fattura in contestazione. Dopo aver esercitato infruttuosamente le azioni esecutive contro i morosi e aver verificato che contro questi non vi è possibile di agire, il creditore può avviare il pignoramento nei confronti degli altri condomini. Il pignoramento deve avvenire nei limiti della quota di ciascun condominio. Se nel conto del condominio ne i beni personali dei morosi possono soddisfare i creditori, questi agiscono contro i condomini in regola con le quote. Il debito dei morosi si riversa, quindi, nei confronti degli altri condomini. La forma di tutela più adeguata per il condominio, oltre all’avvio del pignoramento dei beni dei morosi, è il distacco dai servizi comuni suscettibili di godimento separato. Si potrebbe istituire un fondo morosi da cui attingere quando vi sono necessità derivanti da buchi di bilancio. Tuttavia, l’istituzione di un fondo morosi, secondo la giurisprudenza, richiede l’unanimità in quanto il condomino virtuoso andrebbe a pagare due volte a discapito del condomino moroso venendo meno alla regola della partecipazione millesimale alle spese di condominio. Secondo la Costituzione, invece, quando vi è un grave pericolo per il condominio, per la costituzione del fondo morosi è sufficiente la maggioranza.

ESENZIONE BOLLO AUTO

La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza che chiarisce la condizioni per il riconoscimento dell’esenzione dal pagamento del bollo auto per le persone con disabilità. L’esenzione spetta sia quando l’auto è intestata alla persona con disabilità sia quando l’intestatario è un familiare del disabile, a condizione che lui sia fiscalmente a carico del primo. Se il disabile è titolare di più veicoli, l’esenzione spetta solo ad uno di essi ed egli dovrà indicare la targa dell’auto prescelta. La richiesta di esenzione si deve presentare presso l’ufficio tributi della Regione una sola volta: l’istanza, infatti, non va rinnovata in quanto l’esenzione è valida anche per gli anni successivi. La cilindrata del veicolo oggetto di esenzione non deve essere superiore a: 2000cc se alimentato a benzina o ad alimentazione combinata e 2800cc se alimentato a gasolio. Possono ottenere l’esenzione dal pagamento del bollo auto i disabili a cui non sia stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento ma che sono comunque affetti da grave limitazione della capacità di deambulazione ai sensi dell’art 30 comma 7 della legge 388/2000, e coloro che sono affetti da handicap grave ai sensi del 3 comma dell’art 3 della legge 104 del 1992. L’handicap grave deve essere documentato mediante una certificazione di invalidità rilasciata da una commissione medica pubblica. Tale documento deve riportare, espressamente, la menomazione e deve attestare l’impossibilità a deambulare in modo autonomo o senza l’aiuto di un accompagnatore. Il verbale di invalidità deve fare esplicito riferimento anche alla gravità della patologia. Nel caso di disabilità motorie ridotte, l’esenzione bollo è concessa a condizione che il veicolo sia adatto alle esigenze specifiche della persona esplicitamente annotate sul certificato di invalidità. La legge 104, ovviamente mostra un elenco molto ampio di quella che può essere una disabilità ma ai fini dell’agevolazione in questione è fondamentale che essa sia di carattere motorio. La sentenza stabilisce che anche dopo la riforma introdotta dall’art 30 per i disabile con ridotte o impedite capacità motorie ma non affetti da grave limitazione della capacità di deambulazione, l’esenzione dal bollo auto rimane condizionata all’adattamento del veicolo alle proprie esigenze di mobilità.

NASPI E REDDITI DA LAVORO

La Naspi, l’indennità di disoccupazione, ha lo scopo di tutelare il lavoratore in caso di perdita del lavoro involontaria ma può essere corrisposta anche in caso di svolgimento di una nuova attività lavorativa. Il diritto alla Naspi sorge, quindi, in caso di perdita involontaria del rapporto di lavoro per i lavoratori che siano in possesso dei seguenti requisiti come stato di disoccupazione e contribuzione per almeno 13 settimane nei 4 anni precedenti. Viene considerata involontaria non solo la perdita del lavoro derivante da licenziamento ma anche quella derivante da scadenza del rapporto a termine, dimissioni per giusta causa, dimissioni durante il periodo tutelato di maternità e paternità e risoluzione consensuale intervenuta intervenuta in sede protetta o in ragione del rifiuto di trasferimento per eccessiva distanza. La durata dell’indennità è proporzionata alle settimane di contribuzione accreditate negli ultimi 4 anni. Essa viene erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione presenti nel quadriennio, fino ad un massimo di 24 mesi. L’importo viene calcolato sommando gli imponibili previdenziali degli ultimi 4 anni, comprensivi degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive. Il risultato viene diviso per le settimane di contribuzione e moltiplicando per 4,33. Se l’importo ottenuto è pari o inferiore a 1352,19€, l’indennità ammonta al 75% di questo importo, se è superiore si aggiunge anche il 25% della differenza tra il risultato ottenuto e il suddetto massimale. La Naspi non può mai superare l’importo massimo annualmente definito dall’INPS e pari, per il 2023, al 1470,99€. L’indennità diminuisce del 3% a decorrere dal 6°mese di fruizione. Per i soggetti over 55, la riduzione dell’indennità decorre a partire dall’8°mese di fruizione. Per avere diritto alla Naspi, la domanda deve essere presentata entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore che percepisce la Naspi può perdere diritto all’indennità che sta percependo qualora inizi un nuovo rapporto di lavoro subordinato. Gli effetti del nuovo rapporto di lavoro sulla Naspi differiscono in base alla misura del reddito da esso derivante, potendo comportare la perdita, la riduzione o la sospensione dell’indennità. In caso di reddito annuale superiore a 8174€ si ha la decadenza dalla Naspi se il rapporto di lavoro ha una durata superiore a 6 mesi o la sospensione per la durata del rapporto di lavoro se non superiore a 6 mesi. Se il reddito annuo non supera la no tax area, quindi 8174€, è esente da imposizione fiscale si ha il mantenimento dell’indennità in misura ridotta. L’indennità INPS viene ridotta di un importo pari all’80% del reddito presunto con ricalcolo della riduzione dovuta in sede di dichiarazione dei redditi. Il lavoratore, entro 30 giorni, dall’inizio dell’attività, deve comunicare all’INPS il reddito presunto onde evitare di perdere il diritto all’indennità. Al fine del mantenimento dell’indennità, il nuovo datore di lavoro dev’essere diverso da quello con cui è cessato il rapporto che ha determinato il diritto alla Naspi. In caso di avviamento di un’attività di lavoro autonoma, il lavoratore continua a percepire la Naspi in misura ridotta purché il reddito annuale derivante da tale attività non superi la soglia di esenzione da imposizione fiscale( 5500€) e comunichi all’INPS, entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto. La Naspi viene diminuita di un importo pari all’80% del reddito previsto. L’effettiva riduzione spettante verrà ricalcolata in sede di dichiarazione dei redditi. L’indennità di disoccupazione può essere compatibile anche con lo svolgimento di attività che non sono inquadrate nell’ambito del lavoro subordinato ma che danno luogo ad un compenso. E’ riconosciuta la piena compatibilità della Naspi con tirocini, borse di studio, assegni di ricerca, prestazioni di lavoro occasionali, servizio civile, attività sportiva dilettantistica, svolgimento delle funzioni di amministratore, consigliere e sindaco di società, soci di società di persone o capitali in presenza di soli redditi da capitale.

ADDEBITO SPESE POSTALI

L’addebito delle spese postali sulla bolletta è un argomento che interessa molti utenti. Spesso gli operatori delle compagnie riversano tali oneri a carico dell’utente e anche se l’importo può risultare irrisorio, moltiplicato per 12 mensilità può diventare oneroso. La Corte di Cassazione, con ordinanza n.34800 del 13 dicembre 2023, ha stabilito che Telecom Italia S.p.A. non può addebitare ai clienti le spese postali per la spedizione della fattura telefonica a meno che non venga offerta un’alternativa per la consegna della bolletta, tramite email per esempio. La suddetta decisione ha respinto il ricordo di Tim contro una precedente sentenza del Tribunale di Trani. In primo grado, il giudice di pace di Barletta aveva già riconosciuto le ragioni del cliente, decisione confermata in appello poi anche dal Tribunale di Trani. Secondo l’art 53 della convenzione per la concessione dei servizi di telecomunicazione, è prevista la possibilità per gli abbonati di ritirare le bollette senza costi aggiuntivi presso gli uffici della società. Nel caso specifico trattato dalla Cassazione, non era stata fornita da Telecom questa possibilità rendendo la clausola di addebito delle spese postali vessatoria. La sentenza della Cassazione ha importanti ripercussioni sia per gli utenti che per la compagnia telefonica. Gli utenti, quindi, hanno il diritto di non pagare le spese postali per la ricezione della bolletta telefonica se nel contratto non era prevista alcuna possibilità di scelta sul ritiro della bolletta con modalità alternative e gratuite. E’ sempre consigliabile verificare i termini e le condizioni del proprio contratto e, in caso di addebito di spese postali, chiedere alla propria compagnia telefonica se esiste una modalità alternativa di ritiro gratuito delle bollette. In caso di mancata conformità alle normative, gli utenti hanno il diritto di contestare tali addebiti e, eventualmente, ricorrere all’assistenza legale per la tutela dei propri diritti.

MULTA PER STRISCE BLU

Le contravvenzioni per la sosta in zone a pagamento sono un vero incubo per molti automobilisti. L’incremento delle tariffe e la mancanza di spazi gratuiti per parcheggiare spingono gli automobilisti a lasciare l’auto in sosta su strisce blu spesso rincorrendo anche in contravvenzioni. Ci sono, tuttavia, casi in cui è possibile contestare e annullare una multa per sosta su strisce blu. E’ il caso, ad esempio, di una multa ricevuta per un ticket scaduto. Il governo ha chiarito che il pagamento parziale della sosta non costituisce una violazione del divieto di sosta ma rappresenta una inesattezza contrattuale. L’amministrazione può chiedere, quindi, una integrazione del pagamento e delle eventuali penalità previste dai regolamenti comunali ma non può infliggere una multa aggiuntiva. La Corte di Cassazione ha stabilito che una multa per la sosta su strisce blu può essere annullata se non ci sono aree di sosta gratuite nelle vicinanze. Questo principio si basa su quanto prescritto da codice della strada, il quale richiede ai Comuni di riservare un’adeguata area destinata a parcheggio gratuito quando gestiscono le zone di sosta a pagamento. Quindi deve esserci un equilibrio tra strisce blu e parcheggi gratuiti. La norma sull’alternanza non si applica nelle zone di rilevanza urbanistica, nei centri storici di particolare importanza, nelle aree pedonali e nelle zone a traffico limitato. Ovviamente per vincere un ricorso di questo tipo è fondamentale provare lo squilibrio a favore dei parcheggi a pagamento tramite la mappa ufficiale con la distribuzione dei parcheggi rimediabile dagli uffici comunali. La multa è contestabile anche quando sia stato acquistato ma non esposto il ticket purché il biglietto sia stato conservato e possa essere prodotto al prefetto o al giudice. In questa particolare casistica, data la condotta poco accorta del conducente, le spese processuali sono a proprio carico ed è quindi consigliabile un ricorso al prefetto, trattandosi di impugnativa meno costosa rispetto al ricorso al giudice di pace. Secondo il codice della strada, gli stalli adibiti a parcheggio devono essere posti al di fuori della carreggiata o in modo da non creare intralcio alla circolazione. Potrebbe essere contestabile, quindi, la sosta nelle strisce blu senza ticket se lo stallo è posto in modo da costituire pericolo per lo scorrimento del traffico. La multa può essere impugnata nel caso in cui lo stallo non sia visibile sul manto stradale ad esempio se le strisce sono vecchie ed eccessivamente sbiadite. E’ possibile annullare la multa elevata da soggetti non qualificati. Sono autorizzati a contestare sanzioni sia i vigili urbani che gli ausiliari del traffico. Non lo sono i dipendenti delle società che gestiscono in appalto un’area di parcheggio con convenzione scaduta o non rinnovata.

ASSEGNO UNICO 2024

La domanda di Assegno Unico va presentata la prima volta che si accede al contributo, ovvero alla nascita del primo figlio. L’Inps, con la circolare n.132 del 15 dicembre 2022 ha rivisto la regola secondo cui la domanda di assegno unico doveva essere presentata ogni anno: già da quest’anno, infatti, il rinnovo è automatico per quanto resti obbligatorio per la famiglia rinnovare l’Isee e comunicare eventuali variazioni. Ricordiamo che tra dicembre e gennaio ci sarà un aumento dell’importo dell’assegno unico pari al 5,4%(tasso di rivalutazione accertato dall’Istat). Il primo passaggio fondamentale riguarda il rinnovo dell’Isee, che assicura che l’importo dell’assegno unico resti correlato alla propria condizione reddituale. Senza Isee 2024, l’Assegno viene erogato ma si limita all’importo più basso. Per richiedere l’Isee 2024 c’è tempo fino al 29 febbraio 2024 per scongiurare un taglio da marzo e fino al 30 giugno per effettuare il ricalcolo a decorrere dall’1 marzo e ricevere in sede di conguaglio, il pagamento degli arretrati. Le variazioni all’Inps vanno comunicate in caso di nascita di altro figlio o di maggiore età. In caso di nuova nascita, infatti, non basta richiedere un nuovo Isee. Occorre darne comunicazione all’Inps attraverso il servizio dedicato. Dopo aver comunicato il nuovo nato tramite codice fiscale, l’Inps sbloccherà il pagamento dell’ulteriore quota di assegno unico, compreso il premio nascita, l’equivalente di quanto sarebbe spettato negli ultimi due mesi di gravidanza. L’assegno unico spetta anche ai maggiorenni, fino al compimento dei 21 anni a fatto che egli frequenti un corso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea ad esempio, e svolga un tirocinio ovvero un’attività lavorativa e possieda un reddito complessivo inferiore agli 8mila euro annui. Spetta inoltre se registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso i servizi pubblici per l’impiego o svolga il servizio civile universale. Bisogna, ovviamente comunicare, tramite apposita area personale o tramite caf e patronati che il figlio diventa maggiorenne ma che soddisfa la condizione per continuare a percepire del sostegno poiché essa non è retroattiva. Bisogna comunicare le variazioni in caso di cambiamento relativo allo stato di disabilità del figlio, variazione dello status di studente per figli di età compresa tra i 18 e i 21 anni, separazione dei coniugi, ripartizione dell’assegno tra genitori e variazione delle modalità di pagamento.

CANI E CONDOMINI

Sempre più famiglie scelgono di crescere in casa animali domestici. Ci sono delle regole ben precise da tenere a mente soprattutto nel caso in cui l’abitazione non sia una villetta privata ma un appartamento condominiale. La riforma del condominio del 2012 ha, infatti, introdotto importanti novità: i regolamenti condominiali non possono vietare il possesso di animali domestici, a meno che non siano stati approvati all’unanimità. Ci sono, ovviamente, delle responsabilità che ogni proprietario deve considerare soprattutto se ci sono animali di grosse dimensioni. Il diritto di detenere animali domestici in condominio è garantito dall’articolo 1138 del codice civile, modificato dalla legge 220/2012. Questa, per l’appunto, afferma che i regolamenti condominiali non possono proibire ai condomini di possedere o detenere animali domestici. L’unica eccezione riguarda i regolamenti contrattuali, ovvero quelli approvati all’unanimità in sede di assemblea e allegati ai singoli atti di compravendita. Affinché la limitazione possa avere efficacia anche nei confronti dei successi condomini, deve essere annotata nei registri immobiliari o allegata all’atto di compravendita affinché ai nuovi condomini ne siano a conoscenza. Anche chi è in affitto deve rispettare il regolamento condominiale per cui se il contratto di locazione contiene il divieto di detenere un cane in casa, l’affittuario non può invocare eccezioni, anche se il locatore non lo aveva avvisato. Nonostante il diritto alla detenzione, il proprietario deve rispettare le regole di convivenza condominiale: l’animale, quindi, non deve disturbare gli altri condomini e non deve essere pericoloso per la salute di costoro. La prima regola da rispettare è quella del rumore: il cane ha diritto ad abbaiare ma questo non può riversarsi come molestia nei confronti dei vicini. Il padrone deve fare di tutto per limitare i guaiti portando l’animale a un corso di addestramento, non lasciandolo solo per molto tempo, non innervosendolo con privazioni, ad esempio, di cibo o lasciandolo fuori al balcone. Comportamenti del genere potrebbero anche integrare il reato di maltrattamenti di animali e possono portare all’apertura di un procedimento penale per il reato di disturbo alla quieta pubblica nei confronti del proprietario. Il giudice può autorizzare il sequestro dell’animale in questione se il padrone non è on grado di gestirlo o, se per lavoro, è costretto a lasciarlo solo per troppo tempo. Oltre al procedimento penale è possibile agire in via civile contro il proprietario del cane per ottenere un’interdittiva alla prosecuzione delle molestie acustiche e il risarcimento del danno. Ci sono regole anche per le aree condominiali condivise. In aree comuni, come cortili o scale, è importante che il cane sia tenuto al guinzaglio, possibilmente corto, e che in ascensore indossi la museruola. Inoltre il cane dev’essere registrato all’anagrafe, avere un microchip e essere vaccinato. Il padrone è tenuto a pulire lì dove l’animale sporca anche se si tratta di semplice pelo. Il regolamento condominiale può vietare che il cane circoli solo negli spazi comuni ma se anche non fosse previsto, i condomini possono imporre al proprietario l’adozione delle dovute misure cautelari per tutelare la sicurezza di tutti i condomini. La responsabilità per eventuali lesioni o danni procurati dal cane ricade sul proprietario o il dog-sitter o il partner convivente o il figlio del proprietario. Chiunque ha disponibilità materiale porta con se la responsabilità penale per le lesioni procurate dall’animale e l’obbligo di risarcire danni fisici e morali alla vittima. La responsabilità civile viene esclusa se si dimostra il caso fortuito: un evento, quindi, imprevedibile e inevitabile, come la condotta di chi aizza il cane, lo maltratta o lo minaccia. Secondo l’art 672 del codice penale, chiunque non custodisca adeguatamente un animale pericolo è soggetto a una sanzione amministrativa da 25 a 258 euro. La corte di Cassazione, con la sentenza 17133/2017 ha stabilito che non è sufficiente il cartello “attenti al cane” per escludere la responsabilità del proprietario in caso di comportamento violento dell’animale.

DECRETO INGIUNTIVO CON FATTURA

Il decreto ingiuntivo è un atto giudiziario con cui il tribunale intima il debitore a saldare il suo debito. Esso è un passaggio fondamentale per avviare la riscossione in caso di futuro inadempimento. Per ottenere un decreto ingiuntivo bisogna provare con certezza l’esistenza del credito e del suo ammontare. La fattura non è solo idonea a questo scopo ma è anche sufficiente a provare il credito e a consentire l’emissione immediata del decreto ingiuntivo. La fattura è quindi un titolo idoneo a provare l’esistenza del credito per l’emissione di un decreto ingiuntivo. E’ possibile chiedere questo atto al giudice di pace o affidarsi al proprio legale per il ricorso e ottenere subito il decreto ingiuntivo presentando la sola fattura. Questo principio è confermato da diverse sentenze di tribunali ordinari ma anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.15383 del 2010. Essa afferma però un altro principio. Nonostante la fattura sia un titolo all’ottenimento di un decreto ingiuntivo non è sufficiente nel giudizio di opposizione in cui il creditore dovrà presentare i mezzi di prova ordinari. Quindi la sola fattura è utile a ottenere un decreto ingiuntivo e a pretendere il pagamento dal debitore ma nel caso in cui quest’ultimo si opponesse, sarà necessario dimostrarne l’esistenza diversamente. L’opposizione a un decreto ingiuntivo immotivata non è una scelta utile ma la sua emissione consente di interrompere la prescrizione in modo sicuro. In caso di opposizione bisogna prepararsi a deporre mezzi di prova oggettivamente apprezzabili, compresi quelli utili a dimostrare l’esecuzione dell’opera o prestazione per cui si esige il pagamento. Se i debiti sono esistenti, il decreto ingiuntivo è utile per esigerli e ottenerlo provando il credito con la fattura è il modo più semplice e veloce. Affinché la fattura sia efficace, essa deve contenere i dati del venditore o del professionista, i dati del cliente o acquirente, la data di emissione e le condizioni di vendita tra cui la modalità di pagamento e infine l’oggetto della fattura. Per le modalità di presentazione della fattura ai fini di prova è fondamentale verificare le condizioni previste dal tribunale competente sul ricorso: molti tribunali pretendono l’estratto notarile delle scritture contabili mentre altri ammettono l’invio della fattura elettronica. Dal 2024 nessun tribunale potrà pretendere l’estratto notarli perché le fatture elettroniche andranno a sostituire la fatturazione cartacea per contribuenti minimi e forfettari. L’invio della fattura per ottenere il decreto ingiuntivo avviene secondo le modalità stabilite dal tribunale fino alla fine del 2023. E’ utile allegare alla fattura anche la prova di notifica al destinatario con una raccomandata a/r o con PEC.

IL MEDIATORE

La figura dell’agente immobiliare è fondamentale quando si parla di compravendita immobiliare. Egli deve garantire all’acquirente che l’immobile oggetto della compravendita sia privo di ipoteche e pignoramenti. L’agente immobiliare, ovvero il mediatore, ha il compito di facilitare la compravendita di immobili, agendo come intermediario tra venditore e acquirente. Il mediatore vanta il diritto alla provvigione da entrambe le parti. Il pagamento è dovuto quando le parti sottoscrivono un atto giuridicamente vincolante: il compromesso prima e la compravendita poi. Se una delle due parti, dopo aver firmato il compromesso, viene meno alla conclusione dell’affare, il mediatore avrebbe comunque diritto a essere pagato. Anche il mediatore, come il notaio, ha il compito di controllare che l’immobile promesso in vendita sia libero da ipoteche e pignoramenti, Inoltre ha l’obbligo di controllare l’identità del proprietario affinché l’atto non sia nullo. Il ruolo dell’agente non si estende al controllo dettagliato delle conformità urbanistiche e catastali dell’immobile: il mediatore quindi, se il venditore dichiara l’assenza di abusi edilizi, non è tenuto a verificare la veridicità di questo a meno che l’acquirente non glielo chieda espressamente, Una sentenza del Tribunale di Varese si è espressa in merito in questa casistica. Secondo la sentenza, una volta che il venditore dichiara la conformità catastale dell’appartamento e il mediatore non effettua tale controllo, egli deve informare l’acquirente che, se vuole, può incaricare un tecnico per le dovute verifiche, La sentenza in questione ha stabilito, quindi, che nel caso in cui il proprietario della casa dichiari l’assenza di abusi edilizi, il mediatore perde il diritto alla provvigione se non informa l’acquirente di non aver verificato l’attendibilità delle dichiarazioni del venditore stesso. Il mediatore è tenuto a un generale dovere di correttezza e trasparenza. Anche se non ha ricevuto un incarico specifico per controllare la regolarità urbanistica e catastale, deve informare l’acquirente qualora non sia in grado di confermare le dichiarazioni del venditore. La fiducia dell’acquirente nelle informazioni del mediatore è fondamentale e qualsiasi violazione può portare a conseguenze legali e alla perdita della provvigione. Se il mediatore infrange la regola di condotta, può essere condannato al risarcimento dei danni subiti dall’acquirente. Se il contratto definitivo non viene concluso a causa delle irregolarità dell’immobile, l’acquirente può rifiutare di pagare la provvigione al mediatore. L’acquirente ha il diritto di essere informato su tutti gli aspetti dell’immobile comprese le eventuali irregolarità. In caso di omessa informazione, può esercitare il diritto di recesso e chiedere il risarcimento dei danni. La sentenza, infatti, sottolinea l’importanza dell’informazione completa e corretta nel processo di compravendita immobiliare nei confronti dell’acquirente.