Qualsiasi lavoratore che decida di rassegnare le dimissioni, deve prestare attenzione al preavviso, ovvero quell’arco temporale che va dall’invio telematico alla risoluzione vera e propria del contratto. Se questo arco temporale non viene rispettato, il dipendente dovrà farsi carico di una indennità sostitutiva che, in determinati casi, può anche superare l’importo di uno stipendio. Questo può avvenire anche nel caso in cui il lavoratore, dopo aver rassegnato le dimissioni, smetta di andare al lavoro. La regola prevede, infatti, che il periodo di preavviso debba essere lavorato. Il periodo di preavviso è stato introdotto come tutela per il datore di lavoro affinché egli abbia il tempo necessario ad adeguarsi all’uscita del dipendente e trovare un suo sostituto. In questo arco temporale l’azienda deve poter contare sull’apporto del lavoratore uscente a meno che egli non si faccia carico dell’indennità riconosciuta a titolo risarcitorio. La stessa forma di tutela vale per il lavoratore: in caso di licenziamento, il datore di lavoro deve osservare un periodo di preavviso la cui durata è la stessa prevista per le dimissioni. Ci sono, ovviamente, dei casi in cui la tutela delle parti viene meno. Ad esempio, quando le parti sono colpevoli di un comportamento o omissione che rende impossibile continuare il rapporto di lavoro. Non è obbligatorio osservare il periodo di preavviso quando si rassegnano le dimissioni per giusta causa. Ci sono delle circostanze, infatti, che giustificano il lavoratore che non rispetta il preavviso di dimissioni. A partire dal 12 marzo 2016, come previsto dal Jobs Act, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del contratto di lavoro vanno effettuate in maniera telematica. I lavoratori con figli minori di tre anni sono esonerati dall’obbligo delle dimissioni online: essi dovranno comunicare il preavviso inviando una lettera di dimissioni al datore di lavoro, dimissioni che verranno convalidate dall’ispettorato territoriale del lavoro. Il nostro ordinamento consente al dipendente di presentare le dimissioni senza giustificarne il motivo: l’importante è, quindi, rispettare il periodo di preavviso diversamente dal licenziamento da quanto avviene per il datore di lavoro che è obbligato, invece, a rispettare le condizioni fissate dalla legge. Nella maggior parte dei Ccnl viene stabilito che il periodo di preavviso decorre dal 1° al 16° giorno di ogni mese. Se il dipendente dimissionario invia la comunicazione in un momento diverso, il calcolo della data termine del rapporto di lavoro inizia nel momento di decorrenza più prossimo. Il numero di giorni di preavviso da rispettare in caso di dimissioni dipende da diversi fattori ma in particolar modo influiscono la tipologia di contratto di lavoro, il livello di inquadramento, l’anzianità di servizio e la qualifica del lavoratore. Questi ultimi hanno un ruolo fondamentale nel caso di contratto a tempo indeterminato. Generalmente i tempi di preavviso variano dai 4 giorni in caso di contratto part-time con due anni di anzianità fino ad arrivare ai 15 giorni in caso di contratto full-time con almeno cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro. Nella durata del preavviso si tiene conto di tutti i giorni di calendario, compresi quelli non lavorativi. Tra i giorni di preavviso non vengono, invece, conteggiati eventuali giorni di assenza del lavoratore per malattia, infortunio, ferie, maternità e congedi vari. Il periodo di preavviso riparte, quindi, dal giorno di rientro del lavoratore. Nel caso in cui il lavoratore non rispetti il periodo di preavviso previsto dalla legge, il datore di lavoro ha diritto a richiedere una indennità di mancato preavviso, ovvero un importo delle retribuzioni che sarebbero spettate per il periodo di preavviso non lavorato come stabilito dall’articolo 2118 del codice civile. Pensiamo, ad esempio, ad un lavoratore che dovrebbe dare preavviso di 30 giorni e non lo fa: al momento della liquidazione delle ultime competenze li verrà sottratto un importo pari allo stipendio che sarebbe stato percepito se quei 30 giorni fossero stati lavorati. Nel contratto a tempo determinato non è previsto il recesso anticipato e di conseguenza, non è previsto neanche il preavviso. Il rapporto di lavoro può concludersi prima del preavviso di dimissioni solo in caso di accordo di entrambe le parti o per recesso per giusta causa, ai sensi dell’art 2119 del codice civile. Il preavviso non è dovuto neppure per il recesso di un contratto a progetto, di uno stage o per la fine di una collaborazione coordinata continuativa. In caso di dimissioni per giusta causa non è dovuto nessun preavviso e quindi l’effetto del licenziamento è immediato. Non è previsto il preavviso anche per la lavoratrice che rassegna le dimissioni nel periodo di maternità, ovvero nel momento in cui viene a conoscenza della gravidanza fino al compimento dell’anno di vita del figlio. Non c’è obbligo di preavviso, né per l’azienda né per il lavoratore, nel caso di dimissioni rassegnate durante il periodo di prova. È facoltà del datore di lavoro rinunciare al preavviso di dimissioni consentendo al lavoratore di cambiare subito lavoro previa sottoscrizione di un accordo scritto da ambo le parti. Il periodo di preavviso viene trattato al pari degli altri giorni lavorativi, per cui il lavoratore ha diritto alla normale retribuzione. Durante il periodo di preavviso si continuano a maturare ferie, Tfr e tredicesima che saranno riconosciute alla fine del rapporto di lavoro.
Info sull'autore