Archivio mensile Luglio 26, 2023

FURTI IN CASA

I furti in casa avvengono all’ordine del giorno. I sistemi di videosorveglianza e gli antifurti sono utili ma non sempre bastano a fermare i ladri. Una valida alternativa potrebbe essere estendere l’assicurazione sulla casa. Bisogna, per prima cosa, fare una distinzione tra furto e rapina. Commette furto chiunque si impossessa della cosa altrui sottraendola a chi la detiene al fine di trarne profitto per sé o altri. Commette rapina, invece, chi procura a sé o ad altri un ingiusto profitto mediante violenza alla persona o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità. Per fare un esempio: è furto sottrarre il cellulare di qualcuno che lo appoggia sul bancone del bar mentre beve un caffè, è rapina aspettarlo fuori dal bar e puntargli contro un’arma intimandogli di consegnare il telefono o toglierlo con la violenza. Prima di stipulare una polizza furto e rapina nell’ambito dell’assicurazione della casa è opportuno fare un inventario dei beni, con i relativi documenti che ne attestino il valore, che si dispongono da fornire al perito incaricato della valutazione del danno in caso, appunto, di furto o rapina. La compagnia assicuratrice provvede al risarcimento del danno conseguente a determinati eventi. In caso di furto da chi si introduce nell’abitazione: – violandone le difese esterne mediante rottura, scasso, uso fraudolento di chiavi, di grimaldelli o arnesi simili; – per via diversa da quella ordinaria, che richieda il superamento di ostacoli o ripari mediante impiego di mezzi artificiosi; – con la presenza di persone all’interno dei locali stessi e senza mezzi di protezione e chiusura delle finestre; – in altro modo con successivo prelievo della refurtiva a locali chiusi. L’assicurazione paga anche in caso di rapina avvenuta nei locali dell’abitazione o delle relative pertinenze, anche nel caso in cui le persone sulle quali viene fatta violenza vengano prelevate dall’esterno e siano costrette a recarsi nei locali stessi. L’ assicurazione è prestata a condizione che i beni assicurati siano adeguatamente protetti: i locali devono essere, infatti, costruiti in muratura; ogni apertura verso l’esterno deve essere difesa da inferriate che non consentano accesso o scasso. Può essere prevista una franchigia nel caso di furto attraverso le aperture con la sola rottura di un vetro. La presenza di ulteriori protezioni, come impianto di allarme o cassaforte, possono comportare una diminuzione del rischio e una conseguente diminuzione dell’importo del premio. L’assicurazione indennizza il titolare della polizza furto e rapina a seguito di uno degli eventi previsti nella polizza: mobilio, arredamenti, pellicce, tappeti, argenteria, quadri, collezioni, oggetti d’arte, il contenuto delle pertinenze con un limite massimo di indennizzo. Gli oggetti sono valutati secondo il valore a nuovo. Per gioielli e preziosi, carte valori e titoli di credito, sono previsti specifici limiti di indennizzo. È possibile prevedere come garanzia aggiuntiva l’indennizzo di danni materiali e diretti causati nei locali assicurati. Sono esclusi dalla copertura della polizza furto e rapina in casa i danni derivanti da guerre, insurrezioni, tumulti popolari, incendi, esplosioni nucleari, eruzioni vulcaniche e altre calamità naturali. Sono esclusi dalla copertura anche i danni determinati da dolo o colpa grave compiuti dall’assicurato, contraente o persone che vivono con loro o che occupano i beni assicurati, persone legate da vincoli di parentela e gli incaricati della sorveglianza dei beni assicurati o dei locali che li contengono. In caso di recupero in tutto o in parte degli oggetti rubati, l’assicurato dovrà darne immediata notizia alla compagnia, la quale entra in possesso della refurtiva se ha pagato l’indennizzo. In caso di indennizzo parziale, il valore dei beni recuperati spetta all’assicurato fino a concorrenza della parte di danno non indennizzata.

LA RIATTIVAZIONE DEI CONTRIBUTI CANCELLATI DALLO STRALCIO

Lo stralcio delle cartelle potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Se l’aspetto positivo dello stralcio è sicuramente la cancellazione dei debiti fino a 1000 euro, l’aspetto negativo è che ha come effetto quello di allontanare il momento del pensionamento o di inibirlo del tutto. Questo riguarda categorie come: commercianti, artigiani, lavoratori autonomi dell’agricoltura, lavoratori iscritti alla Gestione Separata INPS (autonomi e parasubordinati). Ricordiamo che le legge di Bilancio 2023 ha previsto lo stralcio automatico dei debiti iscritti a ruolo tra i 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2015. Rientrano nello stralcio i debiti affidati sia da amministrazioni statali che da enti privati, quindi, anche i debiti contributivi con l’Inps e l’Inail. Sia i datori di lavoro che i lavoratori autonomi con debiti fino a 1000 euro, si trovano dal 1° aprile 2023 senza debiti pendenti. I datori di lavoro, quindi, risparmieranno i contributi non versati e non saranno più tenuti al versamento. Non c’è nessuna conseguenza per il lavoratore dipendente poiché ai sensi dell’art 216 del codice civile, la pensione spetta anche per i periodi per i quali i contributi non sono stati versati effettivamente dal datore di lavoro. Lo stesso non si può dire per i lavoratori autonomi e parasubordinati. Per loro, la pensione spetta solo in virtù dell’effettivo versamento dei contributi. Ad esempio, nel caso dei lavoratori agricoli il mancato versamento di una rata di contributi porta al mancato accredito dell’intero anno di contributi anche se tutti gli altri sono stati versati. Lo stralcio di un mese di contributi non versati nel 2012, comporterà la perdita di tutto l’anno 2012. L’unica soluzione, in questo caso, è pagare i contributi mancanti. Per preservare il rischio che molti lavoratori si trovino, dopo lo stralcio automatico, con contributi in meno è stata prevista una sanatoria per salvare le pensioni grazie alla quale è possibile recuperare, pagano, i contributi cancellati dallo stralcio automatico. I contributi cancellati possono essere riattivati entro il 31 dicembre 2023 pagando i relativi importi.

LA DICHIARAZIONE OMESSA

La dichiarazione dei redditi è un obbligo per tutti i contribuenti. Alcuni sono esentati dall’obbligo ma semplicemente perché non hanno tassazione in più da pagare a conguaglio. È il caso, ad esempio, di chi ha un sostituto d’imposta che versa al suo posto tutte le tasse dovute e non ha altri redditi.  La mancata presentazione, però, può dipendere anche da una dimenticanza del cittadino o da una libera scelta. La scadenza per la presentazione varia in base al modello dichiarativo che si presenta: – se si sceglie di utilizzare il modello 730/2023 sia precompilato che ordinario, la presentazione deve essere fatta entro il 2 ottobre, – se si presenta un modello Redditi (usato principalmente da lavoratori autonomi e professionisti con partite iva), la scadenza è fissata al 30 novembre 2023. Ci sono, quindi, vari modelli tra cui scegliere per compilare e trasmettere all’Agenzia delle Entrate la propria dichiarazione. Se non si rispetta la data ultima, l’invio si può comunque recuperare, ma la tempistica è fondamentale poiché presentare la dichiarazione nei tempi prestabili consente al contribuente di regolarizzare la propria situazione fiscale entro 90 giorni. Chi ha scelto il modello 730/2023 versione precompilata, per esempio, ha tempo fino al 30 settembre per tramettere la sua dichiarazione. Chi ha scelto il modello Redditi Pf, Sc, So o Enc ha tempo fino al 30 novembre per la trasmissione all’Agenzia. Quando la dichiarazione dei redditi non viene presentata viene definita OMESSA. Una dichiarazione è omessa quando: – le imposte evase superano i 50.000 euro, – non viene presentata entro 90 giorni dalla scadenza (termine che ovviamente dalla tipologia di dichiarazione presentata). Quando non viene presentata la dichiarazione dei redditi si va incontro a gravi conseguenze, a partire dalla sanzione amministrativa fino ad a sfociare nel penale. La sanzione amministrativa parte da un minimo del 120% fino ad un massimo del 240% dell’ammontare delle imposte. Nel caso in cui non siano dovute imposte, è prevista una sanzione che va da 250,00 euro fino ai 1000 euro. Il penale scatta a causa dell’inadempimento o in caso d’imposta evasa e se le ritenute non versate siano superiori a 50.000 euro. Il decreto Fiscale 2020 ha introdotto una nuova sanzione, ovvero la reclusione: – da un minimo di anno e sei mesi per un massimo di quattro anni per chi evade le imposte sui redditi o Iva e non presenta le dichiarazioni per le imposte evase superiori a 50.000 euro; – da un anno e sei mesi per un massimo di quattro per chi non presenta la dichiarazione di sostituto d’imposta, sempre quando la somma evasa supera i 50.000 euro.

IRPEF ENTRO IL 31 LUGLIO

Lo stato, entro la fine di Luglio, si aspetta entrate per un importo pari a 40 miliardi di euro, la maggior parte dovuti al pagamento dell’Irpef. Ricordiamo che la scadenza dell’acconto Irpef era fissata per il 30 giugno, ma per molti contribuenti è slittata a fine luglio. La scadenza al 31 luglio non riguarda solo le partite iva, il cui termine è scaduto il 20 luglio, ma anche tutti quei contribuenti che avrebbero dovuto versare saldo e acconto Irpef al 30 giugno ma hanno slittato i pagamenti. L’imposta sarà maggiorata con uno 0,40 calcolato sull’intero importo per chi avrebbe dovuto pagarla entro il 30 giugno e rimodulata sula differenza dei giorni per chi avrebbe dovuto pagarla entro il 20 luglio. Anche a chi ha scelto di pagare l’imposta il 31 luglio, rimane valida la possibilità di rateizzare l’imposta. In particolare, il contribuente che sceglie la rateizzazione pagherà: – prima e seconda rata entro il 31 luglio senza maggiorazione di interessi, – terza rata entro il 31 agosto con una maggiorazione dello 0,33, – quarta rata entro il 2 ottobre con una maggiorazione dello 0,66, – quinta rata entro il 31 ottobre con una maggiorazione dello 0,99, – sesta rata entro il 30 novembre con interessi pari all’ 1,32. Ricordiamo che l’imposta va versata tutta entro il 30 novembre, data entro la quale si dovrà provvedere anche al pagamento dell’eventuale secondo acconto sulle imposte dei redditi.

LA VOLTURA

La voltura, o il cambio intestatario delle bollette, è un’operazione necessaria da fare in caso di trasloco in una casa nuova, per decesso del precedente intestatario o dopo una separazione. La voltura consente di passare la responsabilità del contratto di fornitura di energia elettrica o gas da una persona all’altra. La voltura è diversa dal subentro: la voltura serve per cambiare l’intestatario di un contratto attivo, il subentro serve ad attivarne uno nuovo. La differenza risiede, quindi, nel contatore: in caso di voltura esso è attivo, in caso di subentro esso è stato disattivato in passato. Secondo l’AEEG (autorità per l’energia elettrica e il gas) la voltura è il passaggio del contratto di fornitura da un cliente ad un altro senza effettuare l’interruzione dell’erogazione di energia elettrica e gas. La voltura si verifica quando un cittadino chiede di cambiare l’intestazione delle utenze per sostituirsi al precedente intestatario senza che il contratto venga chiuso e il contatore disattivato. La voltura è, quindi, l’operazione attraverso la quale si trasferisce la responsabilità del contratto di fornitura di energia elettrica o gas da una persona all’altra. La voluta permette di entrare nell’abitazione con un contratto di fornitura attivo ma al tempo stesso si eredita il contratto e le condizioni stabilite dal precedente intestatario senza avere la possibilità di scegliere le tariffe più convenienti. Esistono due tipi di voltura: – la voltura con accollo che si applica quando si cambia l’intestatario delle bollette ma si mantengono le stesse condizioni contrattuali. È una procedura consigliata nei casi di decesso del precedente intestatario o in situazioni di separazione o divorzio – la voltura senza accollo prevede il cambio dell’intestazione della bolletta senza ereditare alcun debito o morosità del precedente intestatario. La voltura di luce e gas serve quando: si vuole cambiare l’intestatario delle utenze che precedentemente erano a nome del vecchio inquilino, – l’intestatario delle bollette muore e succedono gli eredi nel contratto di luce e gas, – dopo la separazione o il divorzio dei coniugi. Per richiederla è necessario seguire una procedura prestabilita e preparare i documenti richiesti. I documenti necessari sono, ovviamente, i dati anagrafici del nuovo intestatario, i dati anagrafici del vecchio intestatario, il codice POD per l’utenza della luce, il codice PDR per l’utenza del gas, la dichiarazione di possesso o detenzione dell’immobile da parte dell’intestatario, l’ultima autolettura del contatore se disponibile, la potenza massima da contratto per la bolletta della luce e una copia del documento d’identità in corso di validità. In caso di voltura per decesso del precedente intestatario è richiesto il certificato di morte dell’ex intestatario. Nel mercato libero, i costi della voltura possono variare a seconda del fornitore scelto. Oltre al contributo fisso per gli oneri amministrativi, potrebbero essere richiesti: – 28.55euro + iva (contributo amministrativo per il distributore), – importo + iva per il servizio ricevuto, – imposta di bollo da 16 euro se richiesta dal fornitore. Nel servizio di maggior tutela, i costi sono fissati dall’ARERA (autorità di regolazione per energia reti e ambienti) e includono il contributo fisso per gli oneri amministrativi (25.88 euro + iva), l’imposta di bollo da 16 euro, un deposito cauzionale e 23 euro + iva di oneri amministrativi del venditore. Dopo la voltura, il nuovo intestatario non deve pagare eventuali bollette non saldate dai precedenti inquilini. Il pagamento delle utenze del precedente intestatario è dovuto solo in caso di: – voltura richiesta da erede dopo il decesso del precedente intestatario; – voltura richiesta per separazione o divorzio; – voltura richiesta dopo la trasformazione, fusione o incorporazione di società. Per ottenere la voltura occorrono 2 giorni per la presa in carico della richiesta e 5 giorni lavorativi per la soluzione tecnica dell’intestatario delle bollette.  

LA CONCLUSIONE DI UN CONTRATTO DI LOCAZIONE

Non sempre tra proprietario e inquilino scorre buon sangue e spesso queste incomprensioni si protraggono per tutta la durata del contratto. Ci sono, infatti, contratti di locazione segnati dagli abusi del proprietario che, ad esempio, proibisce di ricevere ospiti o che vuol mantenere il controllo dell’immobile nonostante esso sia dato in locazione. Alla riconsegna delle chiavi, il proprietario è chiamato a visionare l’immobile per vedere se ci sono danni e in mancanza dei quali, deve provvedere alla restituzione del deposito cauzionale versato dall’inquilino in sede di sottoscrizione del contratto. Verrà, quindi, stilato un verbale in cui si indicano i mazzi di chiavi riconsegnati dal conduttore e il deposito cauzionale restituito dal proprietario. Può capitare che il proprietario dell’immobile abbia un contrattempo e non possa presentarsi all’appuntamento per la riconsegna delle chiavi. In questo caso subentra un delegato che, munito di una delega legalmente valida, riconsegna all’inquilino il deposito cauzionale. Se il delegato è privo di deposito cauzionale, l’inquilino può rifiutarsi di riconsegnare le chiavi senza incorrere nella possibilità che il proprietario chieda ulteriori mensilità d’affitto proprio perché costui non si è presentato alla riconsegna delle chiavi. Il contratto di locazione riguarda due parti: il proprietario e l’inquilino e a concluderlo con la consegna delle chiavi e la firma del verbale devono essere, per l’appunto, queste due parti. L’inquilino non può, in nessun caso, consegnare le chiavi dell’immobile ad una persona che non conosce e che non è munita di nessuna delega legale: in questo caso c’è il rischio di non rivedere più la caparra e di ricevere una denuncia dal proprietario per aver consegnato le chiavi dell’immobile a una persona non autorizzata. Se si dovesse presentare una situazione simile, è consigliabile rivolgersi direttamente ad un legale per l’invio di una missiva al proprietario per specificare che la riconsegna non è avvenuta per un suo difetto e che non ci saranno ulteriori mensilità dovute a eventuali ritardi. Se, invece, si presenta una persona munita di regolare delega accompagnata da documenti di riconoscimento in corso di validità suoi e del proprietario dell’immobile, egli sarà tenuto a ricevere le chiavi e a restituire all’inquilino il deposito cauzionale spettante. In questa ipotesi, il contratto si conclude senza inconvenienti.

ISEE UNIVERSITARIO

L’isee universitario è un adempimento fondamentale per beneficiare della riduzione delle tasse universitarie. Rispetto alla dichiarazione ISEE richiesta in via ordinaria, questa contiene il codice fiscale dello studente. Per richiedere l’Isee Universitario 2023 è necessario compilare la Dsu, ovvero la dichiarazione sostitutiva unica del nucleo familiare, redditi percepiti e patrimoni posseduti. Inoltre è fondamentale per tutti gli studenti universitari che vogliono ottenere borse di studio o avere accesso agli alloggi universitari. Per ottenerlo lo studente, o un familiare per lui, deve recarsi al Caf, al commercialista o all’INPS e chiedere la DSU. Per il calcolo sarà possibile anche procedere con la compilazione online sul sito dell’INPS. I documenti necessari ai fini della richiesta Dsu e quindi del calcolo del modello ISEE per l’università sono: lo stato di famiglia, il codice fiscale, il documento d’identità in corso di validità, l’ultima dichiarazione dei redditi, la certificazione dei redditi, il contratto d’affitto e dell’ultimo canone versato, estratto conto e giacenza media annuale dei depositi bancari e postali al 31.12.2021, dati del patrimonio immobiliare risultanti dalla visura catastale e eventuali assicurazioni sulla vita. I documenti necessari dovranno essere relativi a tutti i componenti del nucleo familiare e il commercialista, o chi per lui, dovrà specificare che il modello Isee richiesto dovrà essere valido ai fini delle prestazioni di diritto allo studio universitario. Dopo la presentazione della Dsu l’INPS calcolerà, in circa 15 giorni, il valore ISEE e nel modello verrà recapitato sarà indicato il codice fiscale del membro del nucleo familiare che richiede le prestazioni agevolate di diritto allo studio universitario. Le informazioni contenute dalla Dsu sono auto-dichiarate sotto la propria responsabilità per quanto riguarda i dati anagrafici e in parte acquisite dagli archivi dell’Agenzia delle Entrate e dall’Inps. La dichiarazione sostitutiva unica può essere richiesta dai membri maggiorenni del nucleo familiare. Prima della riforma ISEE, per ottenere le agevolazioni sulle tasse bisognava presentare la dichiarazione presso i Caf convenzionati con l’Università. Da alcuni anni, invece, il modello ISEE viene acquisito, previa autorizzazione dello studente, direttamente dalle università accedendo alla banca dati dell’Inps. Con la riforma dell’ISEE, sono state introdotte quattro nuove tipologie oltre all’ISEE ordinario, tra questi, per l’appunto, l’ISEE Università per le prestazioni agevolate al diritto allo studio contenente il codice fiscale del membro che richiede l’agevolazione. Per quanto riguarda lo studente indipendente, egli dovrà prestare particolare attenzione a quanto introdotto dal messaggio INPS n.3155/2021 e alle regole introdotte dalla legge di Bilancio 2012. Devono, innanzitutto, essere verificati i requisiti per l’indipendenza dello studente rispetto al nucleo familiare: il comma 338, art 1 della legge 178/2020 ha previsto che lo studente si considera parte del nucleo dei genitori qualora viva in una residenza non di proprietà da meno di due anni dalla presentazione della DSU. Se in passato il requisito dei due anni si considerava in base alla domanda di iscrizione al corso di studi universitario, ora fa fede la data di presentazione della Dsu ai fini ISEE. Al requisito dell’indipendenza si affianca quello economico: bisognerà provare di avere adeguata capacità di reddito superiore ai 9.000 euro (rispetto ai 6.500 euro degli anni precedenti). Il requisito dell’indipendenza non si considera soddisfatto se l’immobile in cui risiede lo studente è di proprietà di un componente della famiglia. Lo studente è, quindi, considerato autonomo se possiede questi requisiti: – se ha una residenza diversa da quella della famiglia d’origine da almeno due anni rispetto alla data di presentazione dell’Isee Università, in un immobile non di proprietà di un componente del nucleo familiare; – se ha una adeguata capacità di reddito misurata da redditi da lavoro dipendente o assimilati non inferiori ai 9.000 euro da almeno due anni. Nel caso in cui la situazione reddituale del nucleo familiare di riferimento dello studente sia stata modificata di recente con variazioni di reddito dovute a eventi avversi, è possibile compilare l’ISEE corrente, che aggiorna i redditi e trattamenti degli ultimi 12 mesi, che può essere richiesto esclusivamente da chi ha già ottenuto un Isee Università nel corso dell’anno. Lo studente può anche decidere di non presentare la dichiarazione ISEE Università. Questo è, ovviamente, sconsigliato per gli studenti che appartengono alle fasce basse di contribuzione poiché la mancata presentazione comporta l’attribuzione dell’aliquota più alta di contribuzione e quindi la tassa maggiore applicata dall’università.

BONUS VISTA

Il bonus vista è stato inserito nella legge bilancio 2021 e nella legge 178 del 2020. Esso prevede, per i nuclei familiari con un ISEE inferiore ai 10.000 euro, la possibilità di avere un bonus di 50 euro a seguito dell’acquisto di occhiali da vista. Il bonus vista può essere richiesto attraverso il sito www.bonusvista.it. Per gli acquisti effettuati prima dell’attivazione della piattaforma, ovvero il 5 maggio 2023, si può chiedere il rimborso mentre per gli acquisti futuri si può chiedere il voucher per effettuare acquisti presso i centri convenzionati. E’ stato chiarito che è possibile richiedere il bonus anche per l’acquisto di occhiali da sole, lenti a contatto e per gli acquisti online. L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che il bonus vista è un voucher di 50 euro una tantum riconosciuto alle famiglie con un ISEE basso e che, per le spese sostenute nel 2022 per l’acquisto di occhiali da vista o per lenti a contatto correttive, è possibile ottenere la detrazione fiscale Irpef. Quindi è possibile ottenere la detrazione Irpef del 19% su quanto speso per l’acquisto di occhiali da vista o lenti graduate. Ricordiamo che le spese sanitarie hanno una franchigia di 129.11 euro e la stessa si applica sul totale delle spese sanitarie. Chi ha acquistato gli occhiali nel 2022, non ha ricevuto il voucher ma bensì un rimborso: è, quindi, in possesso di una fattura in cui viene indicato l’ammontare totale della spesa sostenuta. E’ quindi consigliabile allegare in fase di dichiarazione dei redditi anche il voucher ricevuto. In caso di mancato scomputo del rimborso ottenuto, in sede di controllo delle dichiarazioni, emergerà l’anomalia.

TASSE FISSE PER PARTITE IVA

Il concordato biennale con le piccole imprese, previsto dalla riforma fiscale, permetterà di sapere in anticipo le tasse da pagare nei due anni successivi. L’Agenzia delle Entrate stimerà in anticipo il reddito imponibile del contribuente grazie alle informazioni in suo possesso e proporrà le tasse da pagare per il biennio successivo. Il contribuente, se riterrà la proposta adeguata, potrà pagare per due anni la cifra proposta dall’amministrazione tributaria senza essere soggetto a successivi controlli fiscali. Se i guadagni risulteranno più alti, il contribuente non dovrà versare altro al Fisco se non quello pattuito. Nel caso in cui i guadagni dovessero essere più bassi, il contribuente non avrebbe diritto a nessuno sconto sulle somme da pagare. Al momento non si conoscono i requisiti principali ma per certo l’opzione sarà riservata a soggetti di minore dimensione e saranno individuati tramite una soglia di fatturato. Oltre al fatturato e alla dimensioni, potrebbe rientrare, tra i requisiti, l’affidabilità fiscale del soggetto, calcolata tramite gli ISA. La legge delega fiscale definisce paletti molto restrittivi: – al contribuente non saranno conteggiati redditi maggiori o minori nella tassazione ma dovrà rispettare sempre gli obblighi contabili, – l’IVA sarà applicata in base alle regole ordinarie, – il concordato decade nel caso in cui il contribuente si renda responsabile di violazioni sui due aspetti appena elencati.

SGRAVIO CONTRIBUTIVO

Con la legge di Bilancio 2023, il governo Meloni ha introdotto uno sgravio contributivo riducendo la quota di contributi che in busta paga grava sul lavoratore. Solitamente il dipendente versa una busta paga pari al 9,12% (8,80% per i dipendenti pubblici) della retribuzione imponibile lorda ai fini contributivi, mentre la restante parte grava sull’azienda. Con la legge di Bilancio 2023, questa percentuale, nel periodo compreso tra Gennaio e Giugno 2023, viene tagliata del 3% per coloro che percepiscono una busta paga d’importo lordo fino a 1.923 euro e del 2% per chi supera questa soglia ma rimane dentro i 2.692 euro. Per il periodo tra Luglio e Dicembre 2023, tredicesima esclusa, il recente decreto lavoro lo incrementa di un ulteriore 4%. Le aliquote contributive che gravano sul dipendente sono pari a: – 2,19% per chi guadagna fino a 1.923 euro, per i dipendenti pubblici è dell’1,80%, – 3,19% per chi guadagna fino a 2.962 euro, per i dipendenti pubblici è del 2,80%, – 9,19% per chi guadagna di più, 8,80% per i dipendenti pubblici. Lo sgravio, quindi, si applica sui contributi che gravano sul lavoratore. Riducendone tale quota ne consegue un aumento netto dello stipendio. Ma se non ci sono contributi da tagliare, tale sgravio non spetterà. Ne sono esempio i periodi di assenza in cui si usufruisce degli strumenti per la tutela delle persone disabili riconosciuti dalla legge n 104 del 1992, i permessi retribuiti e il congedo straordinario. Su questi periodi il lavoratore continua a percepire la normale retribuzione ma in busta paga non vengono trattenuti i contributi dato che sarà l’Inps a farsene a carico. Lo sgravio, quindi, non si applica per quelle giornate in cui si è usufruito del permesso o del congedo. Questo vale anche per i giorni coperti d indennità di malattia Inps. Diverso è il caso dei periodi di assenza per ferie o per permessi retribuiti in queste situazioni, nonostante l’assenza continua a procedere regolarmente sia il rapporto retributivo che quello contributivo. Durante ferie e permessi, quindi, il dipendente continua a percepire la normale retribuzione e a versare i relativi contributi e lo sgravio contributivo continuerà a essere applicato regolarmente riducendo la quota di contributi che il lavoratore deve versare per i suddetti periodi.