L’Ocse, con il report annuale Employment outlook 2023, ha messo in evidenza il calo dei salari reali registrato in Italia negli ultimi 12 mesi. Un dato che si è mostrato ben peggiore rispetto agli altri Paesi Europei, confermando come non basti il taglio del cuneo fiscale per contrastare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni. Sarebbe opportuno agire alla fonte ovvero mettere le aziende nelle condizioni di poter aumentare gli stipendi.
Il taglio del cuneo fiscale, ad esempio, è solo una misura estemporanea che non fa altro che rimandare un problema che prima o poi dev’essere affrontato.
L’Ocse ha infatti analizzato le retribuzioni dal punto di vista del salario reale, ovvero il rapporto che c’è tra salario monetario e livello dei prezzi. A causa dell’elevata inflazione registrata nel 2022, al 31 dicembre scorso i salari reali risultavano diminuiti dei 7%, una discesa che non si è fermata nel primo trimestre di quest’anno quando è stato registrato un calo su base annua del 7,5%.
Considerando i lavoratori tutelati dalla contrattazione collettiva, i salari reali sono diminuiti del 6%. La ragione di questo calo è da imputare all’inflazione, ossia alla componente prezzi.
Con il salario monetario immutato, l’aumento del quoziente ha portato a una svalutazione del salario reale.
Oggi, quindi, lo stipendio ha un potere d’acquisto inferiore al 7,5% rispetto al passato. Se per i salari nominali è prevista una crescita del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, per quanto riguarda l’inflazione il tasso atteso è rispettivamente del 6,4%. Anche le aziende pagano le conseguenze dell’inflazione.
Dal report Ocse, risulta che i profitti crescono di più rispetto al costo del lavoro. Secondo Garnero, economista Ocse, l’Italia, se vuole puntare sulla contrattazione collettiva, deve trovare il modo di potenziarla. È necessario che anche in Italia possa esserci un meccanismo che rinnova gli stipendi con un intervallo di tempo più basso rispetto a quanto avviene oggi.
In Italia, infatti, ricordiamo che i contratti collettivi scadono ogni tre anni e che spesso i rinnovi vengono effettuati dopo.
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