Archivio mensile Gennaio 10, 2023

BOLLO AUTO 2023

Gennaio è il mese in cui moltissimi automobilisti italiani, o meglio i possessori di autovetture nel nostro paese, sono chiamati a pagare una delle tasse più odiate ed insensate in circolazione.

Stiamo parlando del temibile Bollo auto, la tassa applicata dalle regioni e dalle province autonome in collaborazione con l’ACI che riguarda la circolazione del proprio mezzo, la quale va pagata ogni anno.

Il Governo con la nuova legge di stabilità ha deciso di effettuare una morsa meno stretta per quanto riguarda i debiti sul Bollo auto, ovvero per coloro che hanno ancora degli insoluti in tal senso.

L’idea del Governo Meloni è quella di non intasare la macchina burocratica dello Stato. Ecco le manovre ufficiali che agevolano i debitori.

Chi, alla data del 1° gennaio 2023, ha maturato un debito fino a 1.000 euro relativo al periodo 2000-2015 vedrà cancellato d’ufficio il debito stesso.

La sanatoria non riguardo solo le cartelle del bollo ma anche multe stradali e altri verbali amministrativi.

Per i “ritardatari “, cioè coloro che hanno ottenuto una morosità per via del ritardo del pagamento del Bollo, possono vederselo estinguere in maniera automatica.

Invece per i debiti oltre i 1.000 euro e per i bolli non pagati dal 2016 al 30 giugno 2022 sarà possibile saldare con pagamento unico con sconto su sanzioni e interessi entro il 31 luglio 2023, oppure rateizzare fino a un massimo di 18 soluzioni da corrispondere entro il 30 novembre 2027

RATE DI MUTUO NON PAGATE, QUALI CONSEGUENZE?

Non rimborsare un finanziamento a un istituto di credito comporta diversi rischi: dopo 30 giorni di ritardo nel pagamento, scattano gli interessi di mora, essi si calcolano sulle somme non versate e si aggiungono a quelli dovuti per il prestito. Il tasso degli interessi di mora è stabilito nel contratto di mutuo.

La banca, segnala il mancato pagamento o il ritardo alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, oltre a varie banche dati come Crif o Eurisc, (esservi iscritti significa essere classificati come cattivi pagatori e non godere più della fiducia da parte degli istituti di credito) e può essere effettuata solo dopo almeno 120 giorni di ritardo nel pagamento.

Per quanto riguarda il pignoramento dello stipendio, esso può avvenire soltanto dopo il mancato pagamento di 18 rate; ciò in forza di un decreto legislativo emanato nel 2016 in attuazione di una direttiva europea. Questo beneficio, però, vale solo per i mutui stipulati dal 2017 in poi; per quelli precedenti è sufficiente che il debitore non versi 7 rate.

Decorsi i suddetti termini, la banca invia al debitore, a mezzo raccomandata a.r. o pec, una comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, con la quale gli comunica la revoca del mutuo e lo invita al rimborso integrale delle somme prese in prestito e non ancora pagate, con gli interessi. Nella lettera, l’istituto di credito assegna al debitore un termine per l’adempimento, avvertendolo che in mancanza procederà ad azioni esecutive nei suoi confronti.

 Trascorso il termine dalla richiesta di pagamento dell’intero importo dovuto, la banca notifica al debitore il titolo esecutivo, esso può consistere in un provvedimento del giudice (come una sentenza o un decreto ingiuntivo), ma nel caso del mutuo anche il relativo contratto, stipulato con rogito notarile, ha questo valore.

Successivamente, l’istituto di credito notifica al debitore l’atto di precetto, si tratta dell’intimazione di pagare il debito indicato nel titolo esecutivo, oltre agli interessi e le spese, entro un termine che non può essere inferiore a dieci giorni.

Decorso inutilmente il suddetto periodo può aver luogo il pignoramento. Se il debitore è un lavoratore dipendente e percepisce uno stipendio, pignorare quest’ultimo è un modo per recuperare agevolmente il credito.

L’esecuzione avviene nella forma del pignoramento presso terzi: la banca notifica al debitore e al datore di lavoro un atto con il quale invita il secondo ad accantonare gli stipendi dovuti al primo fino alla concorrenza del credito. Successivamente si svolge un’udienza, nel corso della quale il datore di lavoro conferma al giudice qual è l’ammontare dello stipendio e il magistrato gli ordina di versarne mensilmente una quota direttamente alla banca.

Tuttavia, non può essere pignorata l’intera retribuzione, ma solo 1/5 di quella netta.

È possibile evitare il pignoramento sospendendo il pagamento delle rate, per un massimo di 18 mesi, e deve trattarsi di un mutuo per l’acquisto della prima casa. La condizione per fruire di questa agevolazione è che il mutuatario abbia subito nei tre anni antecedenti, uno dei seguenti eventi sfavorevoli:

  • la perdita del lavoro, subordinato, parasubordinato, di rappresentanza o di agenzia;
  • la sospensione del lavoro o la riduzione dell’orario per almeno un mese;
  • l’handicap grave nella misura di almeno l’80%;
  • la morte (caso in cui, naturalmente, la richiesta di sospensione verrà avanzata dagli eredi);
  • in caso di lavoro autonomo, un calo di fatturato superiore al 33%

Oppure, se il mutuatario si accorge di avere difficoltà a pagare regolarmente le rate, perché di importo troppo elevato, può chiedere alla banca di rinegoziare il mutuo per ridurle.

O ancora se il mutuatario individua una banca che pratica condizioni più vantaggiose può chiedere di spostare il mutuo presso di essa, senza necessità di rinnovare le relative spese (come quelle di istruttoria, di perizia eccetera). L’istituto di credito presso il quale è stato aperto il finanziamento non può opporsi alla richiesta del cliente, né può pretendere il pagamento di commissioni.

Nei casi più gravi, invece, la legge prevede un rimedio più drastico cui ricorrere in caso di sovraindebitamento, ossia quando si è nella definitiva impossibilità di onorare i propri debiti. In relazione alla situazione economica del debitore viene elaborato un piano di pagamento dei debiti, che prevede la drastica riduzione degli importi da versare ai creditori e un dilazionamento nel tempo.

BONUS BOLLETTE E 3000 EURO IN SCADENZA

Il bonus sociale o bonus bollette è uno sconto su luce, acqua e gas per le famiglie in difficoltà economica.

I fondi messi a disposizione nell’ultima legge di Bilancio coprono l’erogazione di questo aiuto fino a fine marzo, per tutti coloro che hanno un Isee fino a 15mila euro.

Spetta anche a chi ha quattro o più figli e con un reddito familiare fino a 20mila euro

Il contributo copre quasi tutti gli aumenti degli ultimi mesi. Il valore preciso dell’agevolazione, però, è stabilito da Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente.

Per usufruirne basta presentare la Dichiarazione sostitutiva unica (Dsu), necessaria per avere l’Isee.

A quel punto lo sconto viene applicato automaticamente in bolletta.

Per quanto riguarda l’elettricità lo sconto nel trimestre vale: 264,10 euro per i nuclei familiari fino a due componenti, 321,42 euro per le famiglie fino a quattro componenti, 378,57 euro per le famiglie con oltre quattro componenti.

L’aiuto per il gas, invece, dipende, oltre che dalle persone in famiglia, anche dalla zona climatica e pesa da un minimo di 126 euro a un massimo di oltre 2mila. A fine marzo, come detto, i fondi per coprire il bonus scadranno e a quel punto il governo dovrà decidere se prorogarlo o meno. 

Quanto al bonus 3.000 euro, non è altro che l’estensione della totale detassazione a favore delle imprese per i fringe benefit.

Gli aiuti possono quindi essere erogati dalle imprese ai lavoratori dipendenti. Sono comprese tutte le somme per il pagamento delle utenze domestiche, i datori di lavoro, però, potranno erogarlo solo per il periodo d’imposta 2022.

Al posto del bonus 3000 euro il governo ha previsto per tutto l’anno un taglio dell’aliquota d’imposta sui premi di produttività dal 10% al 5%. Vale per un tetto massimo di 3mila euro e per i lavoratori con redditi entro gli 80mila euro annui.

NUOVO BONUS 80 EURO

Nuovo bonus 80 euro in busta paga, risultato di una semplificazione delle aliquote.

A oggi il sistema in vigore per tassazione e aliquote Irpef è così organizzato in 4 scaglioni:

  • reddito fino a 15mila euro – aliquota al 23%;
  • reddito compreso tra i 15mila – 28mila euro – aliquota al 25%;
  • reddito compreso tra i 28mila – 50mila euro – aliquota al 35%;
  • reddito oltre i 50mila euro – aliquota al 43%.

Attualmente l’ipotesi più probabile per la riforma prevista dal Governo Meloni, sembra prevedere un passaggio da 4 a 3 aliquote.

Ipoteticamente, quindi, la nuova organizzazione in tre scaglioni sarebbe così suddivisa in:

  • chi possiede un reddito di 15mila euro con un’aliquota del 23%;
  • chi possiede un reddito compreso tra 15mila-50mila euro con un’aliquota del 27%;
  • chi possiede un reddito oltre i 50mila euro con un’aliquota del 43%.

Il taglio principale delle tasse comporterebbe quindi un bonus in busta paga e questo, è ormai chiaro, riguarderebbe soprattutto lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che del settore privato, e pensionati nella fascia compresa tra i 28 -50mila euro. 

 Stando a quanto riportato da alcune fonti del Mef, la riforma dovrebbe essere approvata entro l’estate e quindi dall’estate 2023 questa categoria di lavoratori potrebbe trovarsi con il bonus sullo stipendio.

AFFITTI BREVI 2023

Con il 2023, tra le varie novità, arriveranno anche delle modifiche alle regole degli affitti brevi per stanze e immobili.

In particolare, queste variazioni riguardano gli affitti non superiori ai 30 giorni contrattuali.

Le modifiche sono state necessarie per tenere il passo con l’aumento di affitti di breve durata, in particolare nel settore turistico.

La comunicazione dei nuovi dati richiesti, non è dovuta esclusivamente da parte dei singoli. L’obbligo si estende anche a tutti quei contratti di affitto brevi sottoscritti con il supporto di un intermediario immobiliare.

Questo, nello specifico, include anche chi si appoggia ai gestori di portali telematici per gli affitti di breve durata come coloro che utilizzano portali telematici che mettono in contatto i proprietari degli immobili con le persone che cercano periodi di affitti brevi, come nel caso di Airbnb.

La comunicazione dell’Agenzia delle Entrate richiede la condivisione di:

  • nome e il cognome del locatore;
  • codice fiscale del locatore;
  • durata del contratto in questione;
  • indirizzo dell’immobile locato;
  • anno di riferimento del contratto;
  • importo lordo del corrispettivo;
  • dati relativi all’immobile locato.

I dati devono essere inviati in modalità telematica tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate entro il 30 giugno dell’anno successivo alla data di stipula del contratto.

Le motivazioni, attestate dall’Agenzia delle Entrate, dietro la scelta di richiedere delle informazioni aggiuntive, sono principalmente due:

  • la necessità di individuare, tramite i dati aggiuntivi, con precisione maggiore sia le caratteristiche del contratto, sia quelle del periodo di locazione;
  • il bisogno di identificare l’immobile nel caso di più contratti relativi a uno stesso proprietario.

In caso la comunicazione dei dati richiesti risulti omessa, infedele, o incompleta, allora si dovrà pagare una sanzione amministrativa di tipo pecuniario.

La sanzione in questione parte da una base di 500 euro fino a un massimo di 2.500 euro. Si avrà comunque la possibilità di ridurla della metà, nel caso in cui venissero trasmessi i dati mancanti o errati entro, al massimo, i 15 giorni successivi alla scadenza dell’invio.

STRALCIO CARTELLE, ISTRUZIONI DELLA RISCOSSIONE

La legge di Bilancio 2023 prevede, per i carichi di importo residuo al 1° gennaio 2023 fino a mille euro e affidati alla riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 dagli enti diversi dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali, l’annullamento automatico alla data del 31 marzo 2023 delle somme dovute a titolo di:

  • interessi per ritardata iscrizione a ruolo;
  • sanzioni e di interessi di mora.

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, comprese quelle per violazioni del Codice della Strada, l’annullamento parziale opera limitatamente agli interessi, comunque denominati, compresi quelli di cui all’articolo 27, comma 6, della Legge n. 689/1981 e quelli di cui all’articolo 30, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973.

Tuttavia, la legge di Bilancio prevede che gli Enti possano non applicare l’annullamento parziale.

La scelta di applicare o meno lo stralcio delle cartelle spetta agli Enti, e quindi ai Comuni.

Quelli che decidono di non applicare l’annullamento parziale devono comunicarlo all’Agenzia delle Entrate-Riscossione entro il 31 gennaio 2023.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO, COSA FARE SE L’OBBLIGATO NON PAGA?

L’assegno di mantenimento stabilito dal giudice a seguito della sentenza di separazione o di divorzio, è una cosa molto seria. La sua finalità serve a garantire un adeguato sostegno economico all’ex coniuge ed ai propri figli. 

Se l’obbligato non paga, è possibile agire sia in sede civile che penale.

Sotto il profilo civile sarà necessario ottenere un titolo esecutivo, cioè un provvedimento con il quale il Giudice ha stabilito un importo preciso a titolo di mantenimento.

Ciò vale sia per le coppie sposate che non coniugate. Una volta ottenuta la decisione del Giudice, è possibile mettere in esecuzione detto provvedimento.

Lo strumento più utilizzato è il pignoramento del conto corrente bancario/postale, dello stipendio o della pensione.

Per i mantenimenti futuri, invece, è possibile azionare una diversa procedura che permette di ottenere ogni mese, quindi puntualmente, l’assegno di mantenimento.

Tale procedimento prende il nome di ordine diretto di pagamento previsto dalla legge italiana.

Praticamente il mantenimento mensile sarà versato direttamente dal datore di lavoro o dall’istituto di previdenza del genitore obbligato.

Un’altra strada da percorrere è quella penale.

Infatti, non versare il mantenimento per i figli costituisce reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

Per evitare la condanna il genitore incriminato dovrà dimostrare di non avere redditi e che ciò non dipende dalla propria volontà.

Ciò significa che potrà essere condannato anche il genitore disoccupato a meno che a provare di aver fatto tutto il possibile per trovare un’occupazione lavorativa o, anche, di aver subìto una malattia che abbia ridotto la propria capacità lavorativa.

Infatti, le semplici difficoltà economiche non sono sufficienti per evitare la condanna in quanto, secondo la legge italiana, le esigenze dei figli sono prioritarie rispetto a quelle del genitore.

COME SI DIVIDONO I SOLDI IN CASO DI SEPARAZIONE?

Se la coppia è in regime di separazione dei beni, il denaro residuo sui rispettivi conti correnti non deve essere diviso.

Ciascuno quindi rimane proprietario dei propri risparmi.

Se invece la coppia è in regime di comunione dei beni, valgono altre regole: in questo caso, bisogna distinguere tra denaro personale e denaro personalissimo.

Il denaro personale è quello derivante dall’attività lavorativa.

È in buona sostanza lo stipendio o il reddito di lavoro autonomo. 

Finché la coppia è sposata, ciascun coniuge può spendere tale denaro per come meglio crede, anche per i propri interessi personali, senza dover chiedere l’autorizzazione al coniuge. 

Ad esempio, il marito potrebbe prelevare dalla banca 5mila euro per comprarsi un orologio d’oro senza che la moglie possa contestare la spesa. E viceversa.

Resta in ogni caso sempre il dovere di provvedere alle necessità della famiglia e dei figli in proporzione alle proprie capacità economiche.

Nel momento in cui la coppia decide di separarsi ed in cui pertanto si scioglie la comunione, il denaro personale, se non consumato, va diviso in parti uguali tra i coniugi, sia che provenga dall’attività di un solo coniuge, che dalle singole attività dei due coniugi, anche se in misura diversa per ciascuno di essi.

 Il cosiddetto denaro personalissimo, non cade invece nella comunione dei beni, e pertanto non deve essere diviso neanche in caso di separazione.

Si considera denaro personalissimo:

  • quello di cui il coniuge è proprietario sin da prima del matrimonio (si pensi ai risparmi in banca); 
  • quello ricevuto anche dopo il matrimonio a titolo di donazione o di successione ereditaria (ad esempio, i regali dei genitori); 
  • quello ricevuto a titolo di risarcimento del danno;
  • la pensione per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa;
  • quello ricavato come prezzo di vendita di beni personali di ciascun coniuge.

Il coniuge deve però provare la proprietà esclusiva delle somme, ad esempio presentando documenti che provino l’ordine di accreditamento sul conto, oppure provando che il denaro ottenuto dalla vendita di un bene personale è stato depositato sul conto corrente comune.

BONUS CASA 2023

Quali sono le novità per i bonus casa 2023. Il pacchetto degli incentivi per i lavori in casa è molto corposo: i cittadini possono usare i bonus previsti per ristrutturare, acquistare mobili ed elettrodomestici, puntare alla riqualificazione energetica dell’edificio o migliorarne la sicurezza antisismica.

Bonus ristrutturazione, detrazione del 50% sulle spese sostenute fino a un massimo di 96mila euro. La legge di Bilancio dello scorso ha prorogato il bonus fino al 31 dicembre 2024 senza modifiche sostanziali rispetto alla struttura attualmente in vigore.

Elenco delle spese ammesse:

  • interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, effettuati su tutte le parti comuni degli edifici residenziali o sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali e sulle loro pertinenze;
  • interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi;
  • interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto;
  • lavori finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche (ascensori o montacarichi, installazione di strumenti idonei alla mobilità interna ed esterna di portatori di handicap gravi);
  • interventi relativi all’adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi (cancelli, grate, porte blindate, casseforti, fotocamere collegate a vigilanza privata, ecc..);
  • interventi finalizzati alla cablatura degli edifici e al contenimento dell’inquinamento acustico;
  • interventi effettuati per il conseguimento di risparmi energetici;
  • interventi per l’adozione di misure antisismiche come opere per la messa in sicurezza statica;
  • interventi di bonifica dall’amianto e opere per evitare gli infortuni domestici;
  • riparazione di impianti per la sicurezza domestica (per esempio, la sostituzione del tubo del gas o la riparazione di una presa malfunzionante);
  • installazione di apparecchi di rilevazione di gas;
  • monitoraggio di vetri anti-infortunio;
  • installazione corrimano;
  • sostituzione di porte interne.

Ecobonus ordinario per i lavori di riqualificazione energetica (orientati quindi al risparmio non solo energetico ma anche in bolletta), in vigore fino al 31 dicembre 2024. L’agevolazione permette di portare in detrazione dal 50 al 75% delle spese sostenute in base al tipo di intervento:

  • 50% per infissi, biomassa e schermature solari;
  • 65% per le rimanenti tipologie di spese;
  • dal 70% al 75% se l’intervento è su parti comuni condominiali che non comportino modifiche volte a ridurre il rischio sismico.

Possono beneficiare della detrazione tutti i contribuenti, che risultino possessori di un immobile in favore del quale vengono posti in essere interventi di riqualificazione energetica.

Superbonus al 90 o al 110%. Le eccezioni sono due: la prima riguarda i condomini che hanno presentato la Cila (comunicazione di inizio lavori) semplificata entro il 31 dicembre, ma bisogna anche che delibere siano state approvate entro e non oltre il 18 novembre.

La seconda eccezione riguarda le villette, che potranno usare il superbonus al 110% fino al 31 marzo 2023 (poi l’aliquota scenderà al 90%) solo se in possesso di due requisiti:

  • si deve trattare dell’abitazione principale;
  • il reddito di riferimento non può superare i 15mila euro annui.

Bonus mobili ed elettrodomestici consiste in una detrazione del 50% su una spesa massima di 10mila euro, che sarebbe stata dimezzata dal 1° gennaio 2023. La legge di Bilancio invece è intervenuta, aumentando la soglia a 8mila euro, con l’aliquota di detrazione sempre al 50%: il bonus mobili nel 2023 quindi ammonta a un massimo di 4mila euro. Nel 2024, invece, il bonus scenderà a 5mila euro.

La legge di Bilancio 2023 proroga anche la detrazione del 75% delle spese documentate e rimaste a carico del contribuente per l’abbattimento delle barriere architettoniche. La detrazione varrà per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025.

Bonus case green con Iva al 50%. Consiste nella detrazione del 50% dell’importo corrisposto per l’Iva per gli acquisti di unità immobiliari a destinazione residenziale ad alta efficienza energetica.

Bonus giardini anche nel 2023. Consiste nella detrazione Irpef del 36% fino a un massimo di 36mila euro sui costi sostenuti per la sistemazione e la realizzazione di:

  • pertinenze o recinzioni;
  • impianti di irrigazione;
  • pozzi;
  • coperture a verde;
  • giardini pensili.

Il bonus verde copre anche l’acquisto di piante o arbusti e il compenso per il giardiniere che si è occupato di grandi potature.

Bonus idrico consiste in un contributo fino a 1.000 euro per le spese relative alla sostituzione di rubinetti e sanitari.

Possono accedere allo sconto le persone fisiche maggiorenni residenti in Italia, proprietarie dell’abitazione o titolari di altri diritti reali o personali di godimento, già registrati alla data di presentazione dell’istanza, per edifici esistenti e singole unità immobiliari.

La manovra 2022 non cambia la possibilità di usare i bonus casa tramite cessione del credito e sconto in fattura. È stato il decreto Rilancio nel 2020 a estendere questa possibilità al resto dei bonus edilizi, opzioni che prima erano destinate solo al superbonus 110%.

Gli unici due bonus che non potranno essere usati con le alternative alla detrazione sono l’agevolazione per i mobili e quella per i giardini.

SCADENZE FISCALI GENNAIO 2023

Scadenze fiscali gennaio 2023 ci sono vari appuntamenti tra comunicazioni e pagamenti da effettuare. Alcuni di questi sono periodici, come gli adempimenti riguardanti Irpef, Iva e i contributi Inps, mentre altri sono più legati all’attualità, come l’invio dell’autodichiarazione Aiuti di Stato Covid. Vediamoli di seguito:

Scadenze fiscali 10 gennaio 2023: contributi colf e badanti

Il pagamento può essere effettuato con:

  • online, direttamente il portale dei pagamenti, con la modalità online pagoPA, con carta di credito, carta di debito oppure conto corrente bancario;
  • utilizzando l’avviso di pagamento pagoPA generato online tramite il portale dei pagamenti all’interno della sezione lavoratori domestici.

Scadenze fiscali 16 gennaio 2023: adempimenti periodici Irpef, Iva e contributi Inps

Per il versamento dell’Irpef si può usare il modello F24, inserendo il codice tributo 1040, con periodo di competenza 12/2022. 

Scadenze fiscali 25 gennaio 2023: invio elenchi Intrastat

  • di cessioni e acquisti intracomunitari di beni;
  • delle prestazioni di servizi rese e ricevute a e da soggetti passivi UE. Le operazioni oggetto di questa comunicazione sono quelle relative al mese di dicembre 2022, per i soggetti Iva con obbligo mensile, e quelle relative alle operazioni del quarto trimestre 2022 (ottobre, novembre e dicembre) per i soggetti Iva con obbligo trimestrale.

Scadenze fiscali 26 gennaio 2023: acconto Iva

Il modello F24 da usare deve essere compilato con i codici tributo che seguono:

  • 1991 Interessi sul ravvedimento – IVA;
  • 6013 Versamento acconto per IVA mensile;
  • 6035 Versamento IVA acconto.
  • 8904 Sanzione pecuniaria IVA.

Scadenze fiscali 31 gennaio 2023: autodichiarazione Aiuti di Stato Covid

 I soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di stato nel corso dell’emergenza coronavirus dovranno provvedere all’invio dell’autodichiarazione.

È stato messo a disposizione un nuovo modello, più semplificato: l’Agenzia delle Entrate ha accolto le numerose richieste dei professionisti e delle associazioni di categoria. 

Scadenze fiscali 31 gennaio 2023: domanda esonero canone Rai

Ci sono due modi per non pagare il canone Rai:

  • non possedere una televisione in nessuna delle abitazioni in cui l’utenza e a proprio nome;
  • essere over 75.

Scadenze fiscali 31 gennaio 2023: esterometro

Vanno inviati i dati relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato per i mesi dell’ultimo trimestre 2022 (ottobre, novembre e dicembre). Nel caso in cui per le operazioni sia stata emessa bolletta doganale o fattura elettronica l’invio dei dati è facoltativo.