Archivio mensile Novembre 13, 2022

IL RAPPORTO TRA CONDOMINO E AMMINISTRATORE

Sappiamo tutti bene che il condominio non è una persona fisica. Non è nemmeno una persona giuridica. Esso è considerato centro d’imputazione d’interessi distinto dai suoi partecipanti, ma non un autonomo soggetto di diritto.

La giurisprudenza europea nell’anno 2019 ha affermato che il condominio non può essere considerato nemmeno un consumatore alla luce dell’impossibilità di considerarlo come una persona fisica, ma che nulla vietata ai giudici nazionali di considerare applicabile al condominio la disciplina del diritto dei consumatori nei rapporti con i fornitori.

Dopo le dovute ricerche la Corte ha stabilito che il condominio non può essere considerato amministratore ma, una persona fisica, proprietaria di un appartamento in un immobile in regime di condominio, deve essere considerata un «consumatore», qualora essa stipuli un contratto con un amministratore di condominio ai fini della gestione e della manutenzione delle parti comuni di tale immobile.

Dunque, secondo la Corte di giustizia, il condomino è parte del contratto con l’amministratore.

Da ciò ne discende che i contratti di amministrazione, specie quelli predisposti da società su moduli e formulari, potranno essere oggetto di valutazione sotto il profilo del rispetto del diritto dei consumatori nel rapporto diretto tra amministratore e condomino, sempre che questo sia considerato parte del contratto.

CHE COSA SI INTENDE PER RENDITA CATASTALE?

La rendita catastale non è altro che un valore fiscale utilizzato per determinare il valore di un immobile,  quale può essere un fabbricato, un appartamento o un locale commerciale.

Essa viene definita, sostanzialmente, sulla base di due elementi: la dimensione dell’immobile (numero dei vani, la superficie e la volumetria) e la zona censuaria del Comune in cui è ubicato insieme alla sua tipologia.

La rendita catastale permette di calcolare il valore fiscale dell’immobile in base al quale vengono determinate l’imposizione diretta e l’IMU (Imposta municipale unica sugli immbili).

Essa determina anche il valore catastale ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni o delle imposte ipotecaria e catastale.

Essa è quindi importante ai fini fiscali al fine di determinare il reddito dei singoli immobili.

L’attribuzione della rendita catastale avviene entro 30 giorni dal rilascio della certificazione di agibilità da parte del Comune. Il proprietario dell’immobile, attraverso l’ausilio di un tecnico, è obbligato a chiedere all’Agenzia del Territorio l’attribuzione della rendita catastale al proprio immobile. È possibile ottenere i dati catastali anche direttamente dall’atto di compravendita dell’immobile (rogito) o chiedendo una visura catastale gratuita.

La rendita catastale viene rivalutata ai fini della determinazione delle imposte da pagare, ad esempio, per l’IMU la rivalutazione consiste nell’aumento del 5% del valore catastale.

A seconda della destinazione d’uso del fabbricato, difatti, il valore si ottiene moltiplicando la rendita catastale per un coefficiente prestabilito che varia in relazione alla destinazione d’uso dell’immobile e alla categoria catastale di appartenenza.

È importante sapere che esiste un altro parametro che viene utilizzato per determinare la rendita catastale ed è la cosiddetta “classe catastale”, un valore che serve a differenziare ulteriormente gli immobili appartenenti allo stesso gruppo catastale in quanto prende in considerazione la rifinitura, l’ampiezza dei vani e la dotazione di servizi.

Altro parametro è la “Consistenza Catastale” dell’immobile, che determina la sua grandezza. Essa è espressa con unità di misura diverse a seconda della categoria di appartenenza.

IN QUALI CASI NON E’ POSSIBILE IL RINNOVO DELLA PATENTE?

Sappiamo tutti che per guidare un’auto è fondamentale avere una patente e che per averla è necessario superare due prove al fine di certificare la conoscenza delle regole della strada e la capacità di guidare un veicolo in sicurezza.

È importante anche affrontare una visita medica, necessaria per valutare la presenza o meno di patologie invalidanti.

Chiunque guidi un veicolo a motore ha l’obbligo di rinnovare, prima della scadenza, la propria patente. Ricordiamo che ci sono delle patenti, come AM, A1, A2, A, B, B1 e BE che devono essere rinnovate ogni 10 anni fino al compimento dei 50 anni, ogni 5 fino ai 70, ogni 3 fino agli 80 e ogni due dopo gli ottant’anni.

Differenti sono le patenti per determinate categorie di veicoli, cioè le C1, C1E, C, CE  che devono essere rinnovate invece ogni 5 anni fino al compimento dei 65 anni e ogni 2 dopo questa soglia. Infine, le patenti D1, D1E, D e DE devono essere rinnovate ogni 5 anni fino ai 70 anni, ogni 3 fino agli 80 e ogni due dopo il superamento degli ottant’anni.

Una commissione medica autorizzata dalla asl ha il compito di capire, sia per l’ottenimento che per il rinnovo della patente, se l’automobilista è in grado di guidare o meno.

Sono diverse le patologie che impediscono il rinnovo della patente.  Se l’automobilista è affetto da patologie cardiovascolari, diabete, malattie endocrine, malattie del sistema nervoso, malattie psichiche o altre malattie che impediscano la normale guida al volante, non potrà ottenere né la patente né il suo rinnovo. Questo al fine di evitare che chi è alla guida del veicolo possa provocare danni alla sicurezza stradale oltre che a sé stesso.

AVVISO DI ACCERTAMENTO IMU: COME FUNZIONA?

Il contribuente insolvente nel caso si pagamento IMU vedrà recapitarsi a casa un avviso di accertamento emesso dal Comune.

È bene sapere che esistono due tipologie di avviso di accertamento:

  • l’accertamento per omessa dichiarazione IMU;
  • l’accertamento per omesso o insufficiente versamento.

Spesso  i comuni emettono l’avviso di accertamento per entrambe le motivazioni nello stesso momento e con un unico atto, ovvero in modo contestuale.

Ma cosa contiene l’avviso di accertamento IMU?

  • l’importo dovuto: esso è composto dall’imponibile IMU e dalle sanzioni più interessi maturati;
  • le motivazioni dell’emissione;
  • le modalità e il termine ultimo per effettuare il pagamento;
  • la firma del responsabile del procedimento,
  • l’organo presso il quale è possibile impugnare l’atto e le modalità per presentare il ricorso in autotutela.

Il Comune deve emettere l’avviso di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione IMU e quindi si sarebbe dovuto effettuare il versamento integrale della somma dovuta. Attenzione però a non confondere il momento dell’emissione con il momento della notifica, in quanto quest’ultima può avvenire anche in un periodo successivo al 31/12 infatti il requisito inviolabile ai fini della validità dell’avviso di accertamento è la data di emissione.

Il contribuente che ritiene di non dover pagare può avvalersi dello strumento dell’ autotutela. Grazie a questo egli potrà recapitare all’Ente le motivazioni tali per cui l’avviso di accertamento non avrebbe ragione di esistere. Consiste in una semplice lettera, recapitabile anche mezzo PEC, nella quale si espongono dettagliatamente le motivazioni e si richiede dunque un annullamento dell’avviso.

Spesso succedere che il pagamento non presente sia dovuto a un errore di digitazione del codice catastale. In questi casi accade che l’importo IMU versato finisca nelle casse di un altro Comune . in questi casi è necessario contattare il Comune che per errore ha ricevuto il pagamento e richiedere un rimborso oppure un riversamento direttamente nel C/C del Comune di appartenenza dell’immobile.

E’ doveroso ricordare che, qualora si decidesse di non effettuare il pagamento dell’avviso di accertamento entro la scadenza prevista, sarà inevitabile la ricezione di cartelle esattoriali o di un’ingiunzione, per via della riscossione coattiva, attivata dall’Ente nei confronti dei contribuenti “accertati” e ancora insolventi.

TARI PER I LUOGHI DI CULTO: E’ PREVISTA UN’ESENZIONE?

A differenza  di quanto stabilito in materia di IMU e TASI, per il prelievo sui rifiuti, in assenza di espressa previsione contenuta nel Regolamento Comunale, la normativa nazionale non prevede esenzioni per i fabbricati destinati esclusivamente al culto.

La normativa sulla TARI, all’art. 1 c. 641 L. 147/2013 stabilisce che “Il presupposto della TARI e’ il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”.

Proprio per questo motivo essa è’ dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani.

Tuttavia al comma 659 L. 147/2013 viene descritto un elenco di esenzioni e riduzioni facoltative che il Comune potrebbe adottare con apposito regolamento. All’interno di questo elenco sono previsti anche i luoghi di culto.

Dunque l’esclusione per il pagamento della Tari in riferimento a questi luoghi è riposta nelle mani dei singoli comuni. Il comune può deliberare, con regolamento di cui all’articolo 52  del  citato  decreto  legislativo  n.  446  del  1997,  ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto a quelle previste .

La normativa sulla tassa sui rifiuti non prevede in generale  alcuna esenzione per gli enti di beneficenza o di istruzione, tanto che anche le istituzioni scolastiche statali sono assoggettate al pagamento della tassa sui rifiuti.  Si può facilmente dedurre che una differente argomentazione anche in relazione alle attività riguardanti gli enti ecclesiastici comporterebbe forme di discriminazione.

La Corte di Cassazione chiarisce che la TARI ha valenza specifica di corrispettivo del servizio di raccolta rifiuti e non di tributo, per cui l’Istituto pontificio non è esente dal relativo pagamento secondo le previsioni dei patti lateranensi.

CHIACCHIERARE PER STRADA: QUANDO SCATTA LA MULTA?

Chiacchierare con amici e parenti è sempre consentito dalle legge ma è importante analizzare le modalità con cui lo si fa se non si vuole incorrere in alcuna sanzione.

Non è sempre consentito infatti fermarsi a chiacchierare, specie quando questo comportamento può portare a grossi disagi per la strada.

Ad esser vietato dal Codice della strada è il fermarsi a parlare con altre persone sul marciapiede. Il Codice vieta gli assembramenti, che vengono puniti da multe piuttosto salate. Bisogna infatti tener conto che il codice non si applica solamente a chi è alla guida di un veicolo, ma a chiunque si trovi in strada.

In base all’articolo 190 del Codice della Strada “E’ vietato ai pedoni sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessita’; è, altresi’, vietato, sostando in gruppo sui marciapiedi, sulle banchine o presso gli attraversamenti pedonali, causare intralcio al transito normale degli altri pedoni”.

Ne consegue che, fermarsi a chiacchierare in gruppo sul marciapiede è un comportamento da evitare, se non si vuole rischiare di pagare una sanzione che andrà tra i 25 e i 100 euro.

La regola del Codice della strada è chiara, ovviamente sta poi alla valutazione del singolo agente di Polizia il pericolo o meno di assembramenti nel caso specifico.

Ma non è finita qui. È bene sapere che esistono poi altri divieti e altre azioni che è bene evitare quando ci si trova sul marciapiede. Per esempio, si rischia una multa anche se si gioca, ci si allena, si prende parte a manifestazioni sportive non autorizzate nella zona delimitata dai pedoni e si usano tavole, pattini o acceleratori di andatura, compresi i monopattini oltre una determinata velocità.

Attenzione quindi a fermarsi a chiacchierare con un gruppo di amici sul marciapiede, forse è meglio andare al bar più vicino.

QUALI SONO I TERMINI DI DECADENZA PER IMPUGNARE UN TESTAMENTO?

Secondo la giurisprudenza il testamento scritto da una persona diversa dal testatore non produce alcun effetto. Proprio per questo motivo esso può essere impugnato in qualsiasi momento.

Se invece ci troviamo di fronte ad un  testamento privo di firma o con firma falsificata da altra persona, siamo in presenza di una causa di nullità del testamento  e anche in questo caso l’impugnazione può essere fatta in ogni momento.

Nei casi appena descritti, quindi, non esistono termini di decadenza se decidiamo di impugnare il testamento, in altri casi invece bisognerà stare attenti alla decorrenza dei termini.

Se ci troviamo di fronte ad un testamento elargito con minaccia, il termine di decadenza per l’azione passa a 5 anni. Essi decorrono dall’apertura della successione ossia dalla morte del testatore.

Se invece, all’interno di un testamento c’è un errore rispetto alla volontà del testatore il termine per impugnare il testamento viziato per errore è di 5 anni decorrenti dall’apertura della successione.

Altro caso da considerare è quello del testamento redatto per inganno

In questa ipotesi la volontà del testatore potrebbe essere viziata dal dolo altrui, ossia da un inganno, da un artificio o un raggiro volto a carpirne la volontà. Anche in questo caso il termine per impugnare il testamento frutto di dolo è di 5 anni decorrenti dall’apertura della successione ossia dalla morte del testatore.

Per quanto riguarda invece il testamento redatto da persona incapace, è considerato valido il testamento di chi è sottoposto ad amministrazione di sostegno.

Ricordiamo che chi decide di fare testamento deve sempre lasciare una quota minima del proprio patrimonio al coniuge e ai figli o, in assenza dei figli, ai genitori in quanto trattasi di eredi legittimari. Ad essi, per legge, spetta sempre una parte del patrimonio e non possono mai essere diseredati.

Nei casi in cui e il testatore viola questo obbligo legislativo, il testamento può essere impugnato entro 10 anni dalla morte.

UN CONDOMINIO DEVE NECESSARIAMENTE AVERE UN CODICE FISCALE? 

Non tutti sanno che ogni condominio debba avere un conto corrente e un codice fiscale.

All’interno di esso la nomina dell’amministratore diventa obbligatoria solo se ci sono più di 8 condomini, mentre l’adozione di un regolamento di condominio è necessaria solo se i condomini sono più di 10.

La giurisprudenza ci dice che il condominio minimo non è tenuto ad avere un amministratore e di conseguenza nemmeno un codice fiscale, come anche le tabelle millesimali e il conto corrente.

La circolare 3/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in mancanza dell’obbligo di nomina dell’amministratore, non sussiste alcun obbligo del condominio minimo di chiedere l’attribuzione del numero di codice fiscale. L’Agenzia delle Entrate ha anche specificato che in assenza del codice fiscale del condominio, i contribuenti, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condomino che ha effettuato il relativo bonifico.

All’interno di un condominio minimo non ha amministratore, le decisioni vengono prese di volta in volta dai singoli condomini che possono determinarsi per accordare, all’uno o all’altro, all’occorrenza, le azioni necessarie alla conservazione dei beni comuni.

Per quanto attiene alla divisione delle spese, questa avviene sulla base del valore di ogni appartamento, che dovrà comunque essere determinato di volta in volta.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, le scelte richiedono l’unanimità, indipendentemente dai valori millesimali degli appartamenti.

LA CONVENIENZA NELLO SCEGLIERE LA CEDOLARE SECCA SUGLI AFFITTI

Nel mondo dei contratti di locazione, si sente spesso parlare di cedolare secca. Ma che cos’è la e come si applica ai contratti di locazione?

Si tratta di un regime di tassazione facoltativo che è possibile scegliere se applicare alla locazione al momento della stipula del contratto. Si tratta di un’imposta che va a sostituire quella dell’IRPEF.

L’agevolazione della cedolare secca può essere applicata all’interno di contratti di locazione ad uso abitativo. Può essere utilizzata anche per le locazioni brevi, che hanno cioè una durata inferiore a 30 giorni. È possibile optare per la cedolare secca nel momento della stipula e registrazione del contratto di affitto, ma anche negli anni successivi per gli affitti pluriennali.

Quali soni vantaggi nell’utilizzo della cedolare secca per un contratto di locazione?

Innanzitutto essa sostituisce il pagamento dell’imposta di bollo e di registro, obbligatorie per un contratto di affitto normale. Ma la maggior convenienza è quella che, trattandosi di una tassazione separata, non fa cumulo con altri redditi posseduti.

Attenzione però,  questo regime non sostituisce l’imposta di registro necessaria per la cessione del contratto di locazione e che non permette di modificare il canone di affitto per l’intera durata del contratto di locazione.

Il regime della cedolare secca sugli affitti mantiene la sua validità per l’intera durata della locazione e può essere revocata entro massimo 30 giorni dalla scadenza, sostenendo il pagamento dell’imposta di registro. Il limite di 30 giorni prima della scadenza del contratto vale anche in caso di proroga del contratto, con conseguente conferma della cedolare secca.

L’imposta sostitutiva è costituita da un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo. Nel caso di canone concordato, invece, la tassazione è pari al 10% nei Comuni con bassa disponibilità abitativa e nei Comuni ad alta tensione abitativa.

Il pagamento della cedolare secca avviene, nel caso si opti per la rata singola, prima del 30 novembre; se, invece, si opta per il pagamento dilazionato in due rate, prima del 30 giugno e prima del 30 novembre.

Per l’inquilino il vantaggio di un contratto di affitto con cedolare secca per  sono il risparmio sulle spese delle imposte di bollo e di registro e l’invariabilità del prezzo del canone di locazione.

Il regime della cedolare secca risulta non conveniente nel caso in cui si verifichi un aumento dell’inflazione durante il periodo di validità del contratto e non si possiedano ulteriori redditi oltre a quelli derivanti dall’affitto di uno o più immobili.

LE FASCE ORARIE IN BOLLETTA: CHE COSA SONO E COME FUNZIONANO

Quando leggiamo la nostra bolletta possiamo facilmente notare come il nostro consumo venga suddiviso in fasce orarie. Di cosa si tratta?

Si tratta di scaglioni introdotti circa 15 anni fa dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) mediante la delibera 181/2006 con la quale è stata recepita la direttiva 2003/54/CE per le norme comuni relative ai mercati dell’energia elettrica.

I costi fatturati a ciascun contribuente variano in base ai consumi effettuati all’interno di ogni singola fascia oraria.

Le fasce che vediamo sono F1, F2 ed F3.

La prima fascia, la F1, viene applicata dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 19. Essa tiene conto delle ore del giorno durante le quali viene erogata la maggiore quantità di energia. In questa fascia il prezzo dell’energia elettrica è più alto anche perché, per riuscire a soddisfare tutta la domanda, subentrano le centrali elettriche alimentate a gas.

La seconda fascia, invece, F2 , copre le ore che vanno dalle 7 alle 8 e dalle 19 alle 23 dal lunedì al venerdì e, per quanto riguarda il sabato, dalle 7 alle 23. In questi orari la domanda di energia elettrica è relativamente ingente e quindi i prezzi dovrebbero essere più bassi di quelli della F1.

Infine, la fascia F3 viene applicata dal lunedì al sabato dalla mezzanotte alle 7 e poi ancora dalle 23 fino alla mezzanotte seguente. Questa fascia è attiva 24 ore su 24 le domeniche e durante i giorni festivi. In questi scaglioni la domanda di elettricità è al minimo e dunque le tariffe sono più basse.

A seconda che il contribuente decida di far parte del mercato tutelato o di quello di maggior tutela, le fasce orarie hanno un trattamento differente.

Per quanto riguarda il mercato tutelato, infatti,  le tariffe per ogni singola fascia sono decise da Arera che provvede ad aggiornarle ogni trimestre. All’interno del il mercato libero invece, i gestori applicano le tariffe secondo logiche commerciali proprie.

È bene sapere che i clienti domestici che sottostanno al regime di maggior tutela godono di solito di due fasce orarie, chiamate F1 e F23, quest’ultima non è altro che la somma di F2 e F3.

In questo momento critico in cui il costo dell’energia elettrica è arrivato alle stelle, il consiglio è quello di sfruttare il più possibile gli orari in cui l’energia elettrica ha il costo minore per poter risparmiare. Occhio dunque alle fasce orarie!