Archivio mensile Novembre 18, 2022

ANATOCISMO: DI COSA SI TRATTA?

L’art. 1283 del codice civile definisce anatocismo la determinazione di interessi su interessi già scaduti con la precisazione che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

Sappiamo bene tutti come  l’obbligazione nel pagare una determinata somma comporti, ai sensi dell’art 1282, anche l’obbligazione al pagamento di determinati interessi. Quest’ultimi possono essere corrisposti tenendo conto di un tasso legale o di una convenzione tra le parti mediante atto scritto.

È molto importante prestare attenzione al fatto che questa tipologia di interessi siano diversi da quelli moratori che invece vengono applicati quando il creditore decreta lo stato di messa in mora del debitore.

L’anatocismo ha maggior rilevanza all’interno del sistema bancario dove, gli istituti di credito solitamente addebitano al correntista gli interessi che maturano sul loro conto corrente.

L’art 1283 del c.c. è molto chiaro nel definire come gli interessi debbano essere dovuti da almeno sei mesi e come gli interessi scaduti possano produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione successiva alla loro scadenza.

La norma in questione diventa applicabile  ai soli debiti di valuta e non a quelli di valore. Inoltre, l’art. 1283 c.c. non viene applicato in materia tributaria, dal momento che esistono disposizioni speciali che regolano gli effetti della mora sui debiti.

L’anatocismo è invece applicato in ambito penale.

La Corte di Cassazione, relativamente all’anatocismo, ha stabilito che la prescrizione del diritto di ottenere la restituzione delle somme decorre dalla chiusura del rapporto con l’istituto bancario e non dalla data di ogni annotazione a debito degli interessi all’interno del conto corrente del contribuente.

Tuttavia il decreto Milleproroghe aveva stabilito che, relativamente alla prescrizione,  i dieci anni decorrevano non dalla chiusura del conto corrente, ma dalla singola operazione bancaria. In questo modo si cercava di andare incontro al correntista che vedeva accorciati i tempi di presentazione del ricorso.

La Corte Costituzionale con la sentenza del 2 aprile 2012, n. 78 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, co. 61 della L. n. 10/2011, Decreto Milleproroghe, per violazione dell’art. 3 Cost. La suddetta disposizione non rispetta il canone generale di eguaglianza e ragionevolezza tipico delle disposizioni legislative.

Il 2016 è stato un anno importante per la lotta all’anatocismo soprattutto nel settore bancario.

Con d.m. n. 343/2016, emanato dal Ministro dell’economia è stato definito che gli interessi debitori maturati nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito non possono produrre interessi, ad eccezione di quelli di mora. Inoltre, dal 2016 gli interessi debitori devono avere periodicità annuale come quelli creditori. Questi due tipi di interessi vanno calcolati entro il 31 di dicembre di ogni anno.

Secondo lo stesso decreto, qualora sussistono nuove aperture di linee di credito, gli interessi debitori devono essere contabilizzati separatamente dal capitale e che quelli relativi alle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento diverranno esigibili a dal 1° marzo relativo all’anno successivo a quello in cui essi maturano.

Ad oggi l’istituto bancario e il cliente possono decidere di pattuire il pagamento degli interessi con addebito in conto a valere sul fido per le aperture di credito regolate in conto corrente.

Una distinzione importante da fare è quella tra anatocismo e usura. È fondamentale cercare di non confondere i due termini. Infatti, mentre l’anatocismo costituisce un illecito civile, l’usura costituisce invece un illecito penale, sanzionato pesantemente dal nostro ordinamento giuridico.

Relativamente al calcolo dell’anatocismo questo deve essere eseguito rielaborando contabilmente le operazioni pecuniarie compiute e valutando se l’ammontare degli interessi è stato inficiato dal computo di elementi che non avrebbero dovuto essere inseriti nella relativa base di calcolo.

Dal momento che parliamo di un calcolo un po’ complesso, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad un esperto.

COME IRROGARE SANZIONI AD UN CONDOMINO?

Secondo l’art. 70 c.c. è possibile applicare sanzioni ai condomini che violano il regolamento.

La sanzione deve essere irrogata dall’assemblea nel rispetto delle maggioranze previste dall’art 1336 c.c. L’amministratore però, se autorizzato dal regolamento, può infliggerle direttamente.

L’articolo citato disciplina che “Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del Codice.”

Le sanzioni pagate dai condomini devono essere devolute al fondo di cui l’amministratore può disporre per le spese ordinarie.

Si può quindi ritenere che, il regolamento condominiale possa autorizzare l’amministratore del condominio ad attivarsi facendo cessare abusi e violazioni e irrogando sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili.

Dunque la violazione del regolamento condominiale da parte di un condomino deve essere accertata e debitamente provata attraverso qualunque mezzo consentito dalla Legge. Una volta accertata l’assemblea può deliberare l’applicazione della sanzione pecuniaria.

QUANDO E’ POSSIBILE RICHIEDERE PERMESSI DI LAVORO PER MOTIVI PERSONALI?

Esistono delle assenze che il lavoratore può richiedere che sono giustificate e che danno diritto a percepire la retribuzione. È importante conoscere quando è possibile prendere permessi al lavoro per motivi personali senza perdere il diritto allo stipendio e conservando il posto di lavoro.

Ci sono tuttavia altri permessi per motivi personali che non sono retribuiti e che comportano solo la sospensione e non l’interruzione del rapporto di lavoro. Al termine del periodo interessato, il ha il diritto di rientrare a lavoro.

Il dipendente ha diritto di prendere permessi al lavoro per motivi personali in caso di decesso o di documentata grave infermità di un componente della famiglia entro il secondo grado.

Per questa motivazione i giorni di permesso sono fino a tre all’anno.

Per poter fruire di questi permessi, il dipendente deve comunicare al datore l’evento che giustifica la sua richiesta ed i giorni in cui intende assentarsi.

Se il motivo personale alla base del permesso è il decesso di un familiare, il lavoratore deve documentare tale circostanza con il certificato di morte del defunto.

Un’altra possibilità di prendere dei permessi al lavoro per motivi personali è quella che consente di richiedere un periodo di congedo non retribuito per gravi motivi  per situazioni proprie o del convivente o dei parenti entro il terzo grado.

Con il termine gravi motivi si intendono situazioni che comportano un impegno particolare del lavoratore o dei parenti nella cura o nell’assistenza dei parenti, decesso degli stessi o situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il lavoratore (ad esempio chi è stato abbandonato dal coniuge).

Al momento di riprendere l’attività, se il datore di lavoro ha sostituito il lavoratore con un’assunzione a termine, il dipendente deve comunicare un eventuale rientro anticipato almeno sette giorni prima, anche se il datore può consentire la ripresa del lavoro pur avendo ricevuto un preavviso inferiore.

CHE COS’E’ UNA QUIETANZA DI PAGAMENTO E A COSA SERVE?

La quietanza di pagamento è una confessione scritta con cui un soggetto dichiara di aver ricevuto da un’altra una determinata somma di denaro. Essa è una prova per dimostrare l’avvenuto pagamento di qualcosa o la prova di aver svolto un determinato lavoro.

La legge lascia libere le parti di adottare la forma prescelta. Si tratta di una scrittura privata che non necessita cioè di essere effettuata davanti a un notaio o altro pubblico ufficiale.

Quando si scrive una quietanza è necessario indicare, oltre alle generalità delle parti, anche l’importo che viene corrisposto e la causa del pagamento. Inoltre, è importante indicare la data in cui il denaro viene versato e la firma del ricevente.

La quietanza ha la funzione di dimostrare l’avvenuto pagamento è può servire solo qualora, tra le parti, sorgano contestazioni. Per questo motivo è diritto di chi paga ottenere la quietanza di pagamento, un diritto cui il creditore non può sottrarsi se gli viene richiesta.

Ma perché si dovrebbe richiedere una quietanza di pagamento se abbiamo la prova come ad esempio l’estratto conto, che ci dimostri l’avvenuto pagamento? Per la semplice ragione che, nella quietanza, viene anche specificato a che titolo viene effettuato il pagamento, così togliendo ogni dubbio in proposito.

È importante sapere che chi rilascia una quietanza di pagamento effettua una confessione. Per sconfessare la stessa egli dovrebbe dimostrare che gli è stata estorta con l’inganno, la minaccia o la violenza, oppure che è frutto di un errore scusabile.

QUALI SONO I DEBITI CHE NON POSSONO ESSERE TRASFERITI AGLI EREDI?

La responsabilità per i debiti ereditari sorge con l’accettazione dell’eredità ed ha effetto retroattivo alla data di apertura della successione.

È fondamentale sapere che la responsabilità per i debiti ereditari viene ripartita tra i coeredi, in base alle rispettive quote di eredità.

Ma quali sono i debito che passano agli eredi?

Con la successione avviene la trasmissibilità di tutti i rapporti patrimoniali del defunto ai suoi eredi. Di conseguenza, essi risponderanno dei debiti già esistenti prima del decesso, ma non ancora saldati al momento della morte del defunto.

Ci sono tuttavia dei debiti che non vengono trasmessi agli eredi. Ad esempio questi non sono tenuti a pagare i debiti di natura personale che si estinguono con la morte del debitore originario e, pertanto, non si trasmettono agli eredi.

Anche le sanzioni amministrative pecuniarie, comprese le multe per violazione alle norme di circolazione stradale non sono trasferibili dal momento che vige il principio della responsabilità personale del trasgressore.

Non si trasferiscono anche le  sanzioni penali di natura pecuniaria e le sanzioni tributarie. Rimane fermo l’obbligo di pagamento del tributo base: perciò gli eredi dovranno chiedere all’Ente impositore o all’Agente di riscossione lo scorporo delle sanzioni.

 Non è possibile che gli eredi paghino l’ assegno di mantenimento o divorzile stabilito in favore dell’ex coniuge e dei figli dal momento che l’ex coniuge sarà tutelato con la pensione di reversibilità.        

Infine, altri debito non trasferibili sono quelli già caduti in prescrizione al momento della morte del dante causa.   

COSA SUCCEDE SE SI LASCIA L’AUTO IN SOSTA CON AREE DELIMITATE DA STRISCE GIALLE?

Cosa succede se si parcheggia l’auto su zone delimitate da linee gialle? Partiamo dal fatto che le linee di colore giallo stanno a segnalare zone che sono riservate a particolari categorie di utenti o di veicoli. Occupare aree che sono contraddistinte dal colore giallo non è mai un’azione corretta.

Sono contraddistinte da zone gialle:

  • le aree di sosta riservate alle persone invalide;
  • le zone per la fermata dei bus per il trasporto pubblico;
  • i cantieri per l’esecuzione di lavori sulla sede stradale;
  • gli spazi riservati allo stazionamento dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani;
  • le aree in cui la sosta è vietata;
  • le corsie per la circolazione riservata a determinati veicoli (bus, biciclette, ecc.).

E’ dunque evidente come l’uso del colore giallo è sempre collegato ad esigenze importanti e non certo secondarie per cui è della massima importanza evitare di occupare con il proprio veicolo queste aree, zone o corsie.

Quali saranno, quindi, le conseguenze per il conducente che lascia il proprio veicolo in sosta in aree che sono delimitate da strisce gialle?

La giurisprudenza prevede per chi lascia il veicolo negli spazi riservati alla sosta e alla fermata dei mezzi pubblici una sanzione da euro 41 ad euro 168 se si tratta di ciclomotori o motoveicoli e da euro 87 ad euro 344 se si tratta di autoveicoli.

Per chi lascia il veicolo negli spazi riservati alla sosta o alla fermata dei veicoli per persone invalide invece, è prevista una sanzione da euro 88 ad euro 328 se si tratta di ciclomotori o motoveicoli e da euro 165 ad euro 660 se si tratta di autoveicoli.

In tutti gli altri casi di sosta in aree delimitate da strisce gialle, infine, la sanzione amministrativa è pari ad una somma compresa tra euro 25 ed euro 100 se la violazione è commessa con un ciclomotore o un motoveicolo e tra euro 42 ed euro 173 se è commessa con autoveicoli.

Attenzione però: la legge stabilisce anche la rimozione del veicolo in tutti i casi in cui la sosta è vietata e quindi anche quando la sosta, per vari motivi, è vietata nelle aree delimitate da linee gialle.

E per ottenere la restituzione del tuo veicolo sarà quindi successivamente necessario pagare le spese di intervento, rimozione e di custodia al titolare del deposito.

QUANDO E’ POSSIBILE ADOTTARE UN BAMBINO DA SINGLE?

Quando si parla di adozione si fa riferimento alla creazione di un rapporto tra persone non legate tra loro da vincoli di sangue.

Molto spesso, si pensa che l’adozione sia riservata solamente alle coppie sposate. Ciò è vero fino ad un certo punto. Esistono infatti dei casi particolari in cui anche una persona single può chiedere al giudice di prendersi cura di un bambino. Questa possibilità è ammessa solo in ipotesi previste dalla legge.

Chi non è coniugato può adottare:

  • un minore orfano. In questo caso, è necessario che l’adottante sia un parente entro il sesto grado oppure un estraneo che ha costruito con il bambino un rapporto stabile e duraturo, molto prima che morissero i suoi genitori.
  • un bambino affetto da handicap grave;
  • quando ricorre l’impossibilità di affidamento preadottivo. In pratica, i genitori biologici sono sì incapaci di prendersi cura del proprio figlio, ma non ci sono i presupposti per la dichiarazione dello stato di abbandono.

Inoltre è necessario sapere che una persona single potrebbe anche rendersi disponibile per accogliere il minore in affidamento. Infatti, a differenza dell’adozione, l’affido è un rimedio temporaneo la cui finalità è quella di offrire al bambino una famiglia idonea per il tempo necessario ai genitori biologici di superare il momento di difficoltà.

Le persone non coniugate possono anche decidere di adottare un minore straniero orfano. In questo caso le ipotesi di adozione sono le stesse sia per il minore italiano che straniero.

Per adottare un bambino da single occorre depositare una dichiarazione di disponibilità presso il tribunale per i minorenni del distretto dove si trova il minore. Il giudice deve accertare se il richiedente ha la capacità di prendersi cura di un bambino, sia dal punto di vista affettivo che economico.

Una volta che diventa definitivo il provvedimento che pronuncia l’adozione, il minore diventa figlio adottivo dell’adottante e ne assume il cognome.

PROROGA DEL MERCATO DI MAGGIOR TUTELA AL 2024

Il decreto Aiuti quater ha definito l’allungamento dei tempi per il mercato di maggior tutela. Con il nuovo provvedimento, infatti, approvato dal governo Meloni la scadenza della maggior tutela non sarà più il 1° gennaio 2023, ma il 10 gennaio 2024.

Questa nuova scadenza è importante per chi non è ancora passato al mercato libero e si trova nel mercato di maggio tutela (secondo Arera, circa 7,3 milioni i clienti domestici, ovvero il 35,6%). Questi contribuenti avranno un anno di tempo prima di passare a un’offerta del mercato libero.

Il consiglio è quello di non farsi coinvolgere se si ricevono telefonate dai call center che avvertono che se non si fa il passaggio subito si rischia magari l’interruzione della fornitura, perché non è assolutamente così. Anche per chi è già nel mercato libero non cambierà nulla , mentre se vorrà potrà tornare ancora per un anno al mercato tutelato.

La proroga a gennaio 2024 del mercato tutelato è stata giudicata positivamente ma con qualche critica. Sembra che gli aiuti del nuovo decreto siano rivolti più alle imprese che alle famiglie.

Questa misura è stata tuttavia definita del tutto insufficiente a fronteggiare la crescente difficoltà delle famiglie, soprattutto con l’inverno alle porte. Per alcuni, infatti, potevano essere adottate ulteriori misure come quella della rateizzazione delle bollette, riservata per ora esclusivamente alle aziende.

Staremo a vedere quali saranno le ulteriori misure che verranno introdotte per fronteggiare il caro bollette e aiutare i contribuenti.

E’ DOVUTO IL PAGAMENTO DELLA TARI SUI PARCHEGGI DEI SUPERMERCATI?

Secondo l’art. 1, comma 641, della legge n. 147/2013, “il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 c.c. non detenute o occupate in via esclusiva”.

Il termine “non operative” disciplinato dalla legge appena descritta, è stato oggetto di numerosi dibattiti. Tra questi, il caso di una società catanese. Essa è dovuta ricorrere innanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Ragusa, al fine di impugnare l’avviso di accertamento notificatole in data 29.11.2019 dal Comune di Ragusa con il quale  era stato richiesto il pagamento della maggiore TARI di euro 12.564,14, oltre interessi e sanzioni, per l’anno di imposta 2014.

La società riteneva che l’Ente impositore avesse “ingiustamente” assoggettato a tassazione le aree scoperte adibite a parcheggio gratuito per i clienti del centro commerciale. Queste zone erano infatti definite come “aree scoperte operative”.

L’operatività delle aree pertinenziali veniva intesa infatti come suscettibilità a produrre rifiuti ulteriori rispetto a quelli prodotti dal bene principale o come operatività di impresa. In caso invece, di area adibita a parcheggio gratuito, la tassa sui rifiuti doveva essere esclusa.

Per questo motivo la CTP di Ragusa riteneva fondato il motivo sollevato dalla società tanto da procedere ad annullare in toto l’avviso di accertamento impugnato.

QUANDO E COME CI SI PUO’ CANCELLARE DAL FISCO?

La normativa italiana definisce soggetto passivo Irpef la persona fisica che, per la maggior parte dell’anno, è residente anagraficamente in Italia, oppure ha un domicilio nel territorio nazionale, anche se ha una residenza formalmente estera.

Dunque basta risiedere anagraficamente, o avere il domicilio, in una qualsiasi parte del territorio italiano per almeno 183 giorni all’anno per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.

La residenza fiscale, infatti, collega un soggetto allo Stato che ha il potere di tassarlo. Quindi anche uno straniero può essere fiscalmente residente in Italia, se lavora nel nostro territorio per la maggior parte dell’anno o se ha qui la sua dimora abituale, la sua famiglia e le proprie attività commerciali.

Se un contribuente, invece, decide di  spostare la propria residenza fiscale all’estero sarà assogettato alla tassazione dello Stato nel quale si è trasferito.

In questi casi è sempre necessaria l’iscrizione all’Aire (acronimo di: Anagrafe italiana dei residenti all’estero). L’iscrizione all’Aire si compie attraverso una dichiarazione scritta e depositata al Consolato competente per territorio. Alla domanda occorre allegare i documenti di vario genere che provano il conseguimento effettivo della nuova residenza all’estero e la permanenza stabile in tale località.

Attraverso l’iscrizione all’Aire  si ottiene la cancellazione dal fisco italiano.

È importante sapere che, se nonostante l’iscrizione formale all’Aire si mantiene il reale domicilio in Italia, l’Agenzia delle Entrate considererà ancora soggetto passivo d’imposta il contribuente, e dunque il soggetto sarà tenuto a pagare le tasse in Italia. Il Fisco, infatti, nonostante lo spostamento di residenza, può addurre elementi di segno contrario per dimostrare la permanenza del contribuente in Italia. Pensiamo alla  la presenza della famiglia o al possesso di beni immobili, come la disponibilità di conti correnti e rapporti finanziari accesi presso istituti di credito italiani.

È essenziale dunque stare attenti quando si decide di cancellare sia la propria residenza che la propria anagrafica tributaria se non si vuole incombere in sanzioni pesanti.