Archivio mensile Novembre 20, 2022

ESENZIONE IMU PER CONIUGI CON RESIDENZE DIVERSE: QUANDO E’ POSSIBILE?

Grazie al Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022 è stata introdotta la possibilità, per i coniugi che hanno residenze diverse, di avvalersi dell’esenzione IMU.

Ma come funziona?

Sappiamo benissimo che il pagamento dell’Imposta Municipale Unica non è dovuta sull’abitazione principale, intesa come l’unità immobiliare in cui il soggetto passivo e i componenti del suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente.

Affinché vena quindi applicata l’esenzione IMU sulla prima casa è necessario che il soggetto passivo e i membri della propria famiglia risiedano e dimorino in via abituale nello stesso immobile.

Il Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022, con l’articolo 5-decies è intervenuto su una questione dibattuta nel tempo. Viene prevista la possibilità per i coniugi di beneficiare dell’esenzione IMU su un immobile a scelta, sia in caso di residenza nello stesso territorio che in comuni differenti.

La giurisprudenza, in particolare, stabilisce che:

    “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile scelto dai componenti del nucleo familiare”

Questo vuol dire che l’esenzione IMU spetterà ai coniugi con residenze diverse anche in relazione alle pertinenze dell’immobile.

Questo tipo di intervento ha permesso quindi di equiparare le regole previste per i coniugi con diversa residenza, nello stesso o in diversi comuni.

Fino al 2021 l’esonero a scelta non spettava su nessuno degli immobili posseduti dai coniugi, se situati in comuni diversi.

Dal 1° gennaio 2022, invece, l’esenzione IMU spetta ai coniugi che hanno fissato la residenza in abitazioni differenti a prescindere dal Comune in cui è ubicato l’immobile.

Sarà necessario individuare l’immobile da esentare, e successivamente presentare la dichiarazione IMU relativa all’anno d’imposta in corso  dove sarà necessario indicare i relativi dati.

Ricordiamo che la dichiarazione IMU andrà presentata entro il 30 giugno 2023.

L’AGENZIA DELLE ENTRATE PUO’ PIGNORARE IL CONTO CORRENTE DI UN CONTRIBUENTE?

Quando un contribuente ha un debito esattoriale con un Ente di riscossione è possibile che il soggetto si veda pignorato il proprio conto corrente.

Attenzione però: l’ente preposto al pignoramento del conto corrente e quindi della riscossione dei crediti non è l’Agenzia delle Entrate ma l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Quando parliamo di pignoramento è importante sapere che questo non avviene automaticamente quando non si paga, ad esempio, un avviso di addebito. La procedura per arrivare al pignoramento è un po’ più lunga e complessa.

Solitamente tra l’ente creditore e l’esattore c’è un passaggio di carte che allunga i tempi esecutivi.

Si ricorda inoltre che per diversi difetti relativi alla notifica dell’atto o alla mancata ricezione di quest’ultimo, il contribuente può sempre fare ricorso, allungando così i tempi per procedere, in futuro, al pignoramento del conto corrente del contribuente.

Quest’ultimo, infatti, potrà essere pignorato solo se il debitore non si oppone contro la richiesta del pagamento da parte del Fisco.

Ricordiamo che nel caso in cui il contribuente riceve una notifica di immediato accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate che invita al pagamento entro 60 giorni,  qualora il versamento non sarà eseguito, dopo 30 giorni il debito passerà all’Agenzia di riscossione. Solo allora si potranno avviare le procedure previste per recuperare il debito e dunque procedere al pignoramento tramite lettera d’incarico da parte dell’Agenzia delle Entrate.

A volte però, il contribuente, più volte sollecitato, potrebbe ricevere un avviso di accertamento immediato esecutivo. In questo caso l’Agenzia delle Entrate Riscossione invia al contribuente una cartella esattoriale. Quest’ultima dovrà essere pagata entro 60 giorni oppure dovrà essere richiesta una rateizzazione sulla stessa. Solo se il debito non verrà pagato in alcun modo, saranno attivate le procedure per il recupero delle somme dovute.

È bene sapere che, l’Agenzia Riscossione può decidere, a seguito del mancato pagamento di un debito di un contribuente, di intraprendere azioni cautelari ed esecutive. Con le prime si intende il fermo amministrativo del veicolo oppure l’ipoteca sugli immobili. In entrambi i casi, il debitore riceve un preavviso di 30 giorni per pagare o chiedere la rateazione e solo dopo il mancato pagamento o la mancata comunicazione si procederà di conseguenza.

Le misure esecutive consistono invece nel pignoramento dei beni, sia mobili che immobili. In questo caso se trascorre più di un anno dalla notifica della cartella, il debitore riceverà l’intimazione di pagamento e dovrà pagare entro 5 giorni. Entro lo stesso termine, potrà chiedere la rateizzazione delle somme.

LAVORATORE ASSUNTO CON CONTRATTO CO.CO.CO.: E’ POSSIBILE IL RINNOVO?

Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa,  noto come co.co.co., viene definito dalla legge come un rapporto di collaborazione relativo ad una prestazione d’opera continuativa e coordinata non a carattere subordinato.  

Dunque il dipendente che ha un contratto di lavoro co.co.co. non è altro che un collaboratore parasubordinato inserito all’interno dell’organizzazione di un’azienda ma con un’impostazione di lavoro autonoma e priva di orario fisso giornaliero o settimanale.

Ciò che caratterizza il co.co.co. da un qualsiasi contratto di lavoro subordinato è proprio    l’autonomia nel decidere tempi e modalità di svolgimento del lavoro e il coordinamento con le esigenze dell’azienda per la quale il lavoratore presta la sua opera.

È necessario sapere che esistono differenze sostanziali tra un co.co.co. e un lavoratore dipendente.  Infatti il collaboratore non deve osservare degli orari fissi e può lavorare in autonomia per raggiungere l’obiettivo oggetto del contratto. A discapito però non si maturano ferie o permessi ed è possibile essere allontanati dall’azienda senza preavviso.

La durata di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa dipende dalla prestazione per la quale è stato avviato il rapporto di lavoro. Ciò significa che, quando la prestazione è finita, si conclude anche la collaborazione.

La legge non prevede un limite per il numero di collaborazioni coordinate e continuative che possono essere fatte per un’azienda. Non è però possibile parlare di «rinnovo» del contratto, poiché il rapporto di lavoro del co.co.co. è vincolato ad una determinata prestazione.  È però possibile sottoscrivere un nuovo contratto di collaborazione coordinata e continuativa nel momento in cui il committente ha bisogno di un’ulteriore prestazione del co.co.co.

Dal momento che parliamo di prestazioni diverse e di obiettivi diversi da raggiungere, non si può dire che il lavoratore sia sempre impegnato nella stessa mansione e con i vincoli dei dipendenti. Per questo motivo non c’è continuità e non scatta l’obbligo di assunzione nei confronti del lavoratore.

COME DIFENDERSI DALLE MULTE FALSE?

Capita molto frequentemente di trovarsi recapitata a casa una multa  stradale per infrazioni che non sono state mai commesse.

Cosa fare in questi casi?

Dinanzi a una richiesta di pagamento proveniente dalle autorità, la prima reazione dell’automobilista è quasi sempre quella di pagare  dal momento che molto spesso non si ricordano i fatti, soprattutto se accaduti a distanza di mesi. D’altro canto c’è chi, per evitare sanzioni più pesanti, evita anche di fare ricorso.

Purtroppo accade che anche la polizia sbaglia. Quasi sempre si tratta di errori materiali. Può succedere infatti che, nel momento in cui l’agente della polizia, all’interno del proprio ufficio, compila il verbale da notificare al trasgressore, digiti sulla tastiera del computer un tasto sbagliato. Se non si legge ciò che si è scritto, l’errore di una lettera o di un numero fa arrivare la multa a un soggetto diverso, del tutto estraneo alla violazione stradale. 

Se il proprietario del veicolo ha un fondato dubbio di non aver commesso l’infrazione la prima cosa da fare è non pagare. Ricordiamo che l’adempimento spontaneo esclude la possibilità di un  ricorso, anche se ci si accorge, in un momento successivo, di non aver commesso l’infrazione. 

Bisogna però ricordarsi che i tempi per presentare ricorso sono di soli 30 giorni per il ricorso al giudice di pace o 60 giorni al prefetto.

Ovviamente per procedere sarà necessario raccogliere le prove di non essersi trovati nel luogo e all’orario indicato nel verbale. Se ritenete di non essere stati nel luogo indicato nel verbale, a quella specifica ora, potrete recarvi presso la vostra assicurazione che vi ha installato  il gps in auto per farvi rilasciare una attestazione in cui si dichiari dove effettivamente era situato il vostro veicolo in quella frazione di tempo. Tale documento può essere usato per chiedere l’annullamento della multa.

Il tentativo di ricorso in autotutela non sospende tuttavia i termini per poi fare ricorso al giudice di pace o al prefetto. Pertanto, in caso di mancata risposta bisognerà prepararsi a procedere per le vie ordinarie prima che scadano i suddetti termini. 

COSA RISCHIA CHI NON RIESCE A PAGARE LE QUOTE CONDOMINIALI?

Quando ci sono dei condomini morosi, il condominio può procedere con un decreto ingiuntivo che intimi l’immediato pagamento. Se quest’ultimo non avviene si può procedere al pignoramento dei relativi beni. 

Ciò vuol dire che se non c’è il pagamento spontaneo del condomino moroso, il condominio può aggredire i beni personali dello stesso. Il condominio potrà anche decidere di pignorare e mettere all’asta l’appartamento facente parte del condominio, anche se questo potrebbe essere già ipotecato da un altro creditore .

Ma cosa rischia chi non riesce a pagare il condominio nei confronti dei terzi?

Ogni qualvolta il condominio non dispone delle risorse necessarie per pagare le fatture relative alle manutenzioni  o alle utenza, l’amministratore è tenuto a fornire al creditore stesso la lista dei condomini morosi che hanno determinato l’ammanco di cassa che ha reso impossibile ottemperare ai propri doveri di pagamento.

In questo modo il creditore potrà decidere o di pignorare il conto corrente condominiale o di pignorare i beni dei singoli condomini, partendo da quelli dei condomini morosi.  

Se l’amministratore si rifiutasse di fornisce l’elenco dei condomini morosi, il condominio potrebbe essere condannato al pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo. 

È necessario sapere che l’amministratore è tenuto, entro massimo sei mesi dalla chiusura del bilancio condominiale, ad avviare le azioni di recupero crediti contro i condomini debitori.

Ma quali sono le soluzioni per chi non può pagare le spese condominiali?

È sempre  bene per il condomino moroso muoversi prima dell’avvio delle azioni giudiziarie che implicano sempre un aumento di spese che ricadono inevitabilmente sul debitore.

L’unico modo per cercare una via d’uscita è quella di trovare un accordo col previo consenso dell’assemblea, unica titolare dei bilanci condominiali e delle relative entrate.  La maggioranza dell’assemblea deve approvare la transazione con i condomini morosi affinché l’accordo sia efficace.

L’amministratore non può firmare una transazione senza il consenso dell’assemblea in quanto questo si esporrebbe ad un’azione di responsabilità civile.

Si potrebbe optare anche per una rateazione del debito spalmato in più mensilità.

Un’ultima soluzione per risolvere i problemi dei debiti con il condominio, quanto questi sono affiancati da ulteriori debiti, è ricorrere alla procedura di sovraindebitamento. Si tratta di una richiesta, presentata al giudice attraverso un avvocato e un “Organismo di composizione della crisi” con cui si fa presente la propria incapacità a uscire fuori da una grave situazione debitoria e gli si chiede una decurtazione dei debiti stessi. Il giudice approva il piano di uscita dai debiti tenendo conto delle possibilità economiche del richiedente ed eventualmente chiedendo un rientro per una certa percentuale.

QUANDO NON SI PAGA L’IMU SULLE PERTINENZE?

In molti sanno che l’Imu non deve essere versata sull’abitazione principale e sulla relativa pertinenza.

Secondo l’articolo 817 c.c. infatti, “sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”.

Dunque, affinché sussista un rapporto pertinenziale tra due beni, sono necessari due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo.

Per quanto riguarda il primo requisito, è necessario che la destinazione deve essere caratterizzata dal requisito di durevolezza, ciò vuol dire che il rapporto pertinenziale non deve essere meramente occasionale ma deve essere ad ornamento di un’altra cosa.

Il secondo requisito, quello soggettivo, riguarda la volontà del proprietario di porre la pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale nei confronti del bene principale

È quindi necessario sapere che non tutte le pertinenze inerenti l’abitazione principale rientrano nell’esenzione. Si possono conteggiare, infatti, un massimo di tre pertinenze per abitazione principale se queste appartengono a categorie catastali differenti.

Le categorie possibili sono:

• C2 (magazzini e locali di deposito come cantine e solai);

• C6 (stalle e scuderie, garage);

• C7 (tettoie chiuse o aperte).

La possibilità che siano appartenenti alla stessa categoria è prevista solo nel caso in cui una pertinenza, come di solito avviene per la cantina o per il solaio, sia stata accatastata unitamente all’abitazione principale.

Se ci troviamo invece nel caso di una abitazione principale che possiede come pertinenze due garage, sarà dovuta l’imposta IMU su una delle due pertinenze.

È bene sapere che, per considerare una pertinenza appartenente all’abitazione principale, l’immobile deve effettivamente essere collegato alla prima casa. Se non ci sono reali esigenze, non si può considerare un immobile pertinenza dell’abitazione principale con l’unico scopo di pagare una IMU più bassa.

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QUALI SONO GLI ACQUISTI DA EFFETTUARE GRAZIE ALLE LEGGE N. 104/1992?

Sappiamo tutti bene che la Legge 104/1992 è quella normativa che tutela i disabili garantendo a questi ultimi un adeguato sostegno attraverso servizi di aiuto personale o familiare o ancora aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico.

Questa legge prevede delle agevolazioni fiscali nei confronti di chi ha bisogno di essere maggiormente tutelato perché affetto da handicap riconosciuto e certificato.

Ci sono una serie di acquisti che, il disabile al quale è riconosciuta la Legge 104/92, può effettuare in maniere agevolata.

Uno di questi è l’acquisto di un’autovettura nuova o usata che permette l’applicazione, al momento della fattura, dell’iva al 4% e una detrazione fiscale del 19%, a patto che il mezzo venga utilizzato, in via esclusiva o prevalente, a beneficio dei disabili.

Se il disabile risulta fiscalmente a carico di un suo familiare, quest’ultimo beneficerà delle agevolazioni per la spesa sostenuta nell’interesse del disabile.

È bene sapere che per la legge 104/92 la spesa massima da sostenere per poter usufruire della detrazione Irpef del 19%  in caso di acquisto di auto  è di € 18.075,99 euro, escluse le ulteriori spese per gli interventi di adattamento necessari a consentire l’utilizzo del mezzo.

Ricordiamo che si potrà beneficiare nuovamente della detrazione se la vettura acquistata è stata cancellata dal Pra (Pubblico registro automobilistico) e quindi sia stata rottamata.

Si può beneficiare dell’agevolazione per intero nel periodo d’imposta in cui il veicolo è stato acquistato oppure in 4 quote annuali di pari importo.

È possibile applicare la detrazione anche relativamente alle spese di riparazione del mezzo che si potranno detrarre solo se sostenute entro 4 anni dall’acquisto dell’auto all’interno della dichiarazione dei redditi dell’intestatario dell’autovettura.

Altri acquisti che possono essere effettuati con la legge 104 sono quelli relativi  ai mezzi di ausilio per agevolare la mobilità. Pensiamo a poltrone per inabili, protesi e ausili per menomazioni di tipo funzionale permanenti, apparecchi per facilitare l’audizione ai sordi, protesi dentarie o apparecchi di ortopedia e di oculistica. Anche in questi casi la detrazione fiscale spettante è pari al 19% e l’Iva agevolata è al 4%.

Con la legge 104/92 è possibile acquistare anche un cane guida per i non vedenti, beneficiando della detrazione Irpef del 19% delle spese sostenute per l’acquisto. L’agevolazione fiscale spetta una sola volta in un periodo di 4 anni, salvo i casi di perdita dell’animale.

Attraverso la legge in questione si possono, infine, anche comprare prodotti editoriali destinati a non vedenti usufruendo dell’Iva agevolata al 4%.

CONTRATTO DI AFFITTO NON REGISTRATO: E’ DA CONSIDERARSI VIOLAZIONE DI DOMICILIO?

Qualora un contratto di affitto non venga registrato si possono avere due tipi di implicazioni: una dal punto di vista civilistico e l’altra dal punto di vista fiscale.  

Per l’aspetto civilistico il contratto di locazione a nero viene considerato a tutti gli effetti come se non fosse mai esistito e quindi nullo. Dunque entrambe le parti non possono rivalersi sull’altra dal punto di vista legale. Questo vuol dire che, se l’affittuario non dovesse pagare il canone di locazione, il locatore non potrà avviare nessuna procedura di sfratto nei confronti del locatario.

Per quanto riguarda invece l’aspetto fiscale c’è l’evasione, da parte delle parti, delle imposte. Parliamo dell’imposta di registro che viene versata al momento della registrazione del contratto. Qualora questa non venga pagata, ne rispondono in solido sia l’inquilino che il locatore. Inoltre, per i canoni di affitto non dichiarati, il locatore evade fiscalmente anche l’imposta Irpef .

Nonostante non sia registrato alcun contratto di affitto, la Corte di Cassazione afferma che è colpevole di violazione di domicilio il proprietario che entra di forza nell’immobile dato in affitto in nero.

Dunque, l’occupazione di un immobile non coperta da valido contratto, non esclude in capo all’inquilino abusivo il diritto di escludere dalla propria abitazione tutti gli estranei, compreso il proprietario dell’immobile.

Secondo la giurisprudenza, inoltre, non commette violazione di domicilio l’inquilino che, pur avendo subito un provvedimento di sfratto emesso dal giudice civile, si introduce nell’immobile prima che il locatore venga reimmesso effettivamente nel possesso.

In conclusione quindi possiamo dire che, l’affittuario “a nero” che occupa un appartamento in virtù di un contratto di locazione non registrato può considerare domicilio tale luogo con la conseguenza che chiunque vi entri senza essere autorizzato commette reato. 

Il locatore non può in alcun modo entrare con forza all’interno dell’appartamento per mandarlo via.

QUALI SONO I RISCHI QUANDO UN ASSEGNO RISULTA SCOPERTO?

Il protesto di un assegno viene considerato dalla Banca d’Italia un atto di rilevanza giuridica pubblica che può essere accertato solo da un ufficiale giudiziario, come un notaio.

Quando un soggetto emette un assegno di importo maggiore rispetto alla cifra disponibile sul suo conto corrente scatta un procedimento, chiamato protesto, che al il fine di tutelare il creditore e garantirgli il pagamento di quanto gli è dovuto.

Il correntista che emette un assegno scoperto verrà iscritto nella lista nera dei protestati custodita dalla Centrale di allarme interbancaria.

Secondo la Corte di Cassazione la banca non è tenuta a comunicare a chi ha firmato l’assegno che il titolo è stato protestato.

Può capitare che l’assegno scoperto venga emesso pensando di avere a disposizione i soldi per il pagamento entro una certa data. Solitamente questo caso può capitare quando ci troviamo d’avanti ad un assegno fuori piazza, ovvero un assegno firmato in un Comune diverso da dove viene incassato. Il questo caso il debitore ha più tempo prima che l’assegno vada all’incasso per coprire la cifra sul conto corrente.

Chi emette un assegno scoperto rischia una sanzione pecuniaria da 516 a 6.197 euro.

Il debitore che emette l’assegno scoperto rischia il divieto di emettere assegni bancari e postali per una durata da due a cinque anni.

Attenzione però: quando l’importo dell’assegno protestato o di più assegni protestati emessi in tempi ravvicinati supera la cifra di € 51.645  o possono essere stabilite delle sanzioni accessorie come  l’interdizione dall’esercizio di un’attività professionale o imprenditoriale o  l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

È bene dunque, sapere a cosa si va incontro prima di firmare un assegno con una cifra che non copra la disponibilità sul nostro conto corrente bancario.

CHI E’ TENUTO AL PAGAMENTO DELL’IMU TRA PROPIETARIO E AFFITTUARIO?

Tra i soggetti obbligati al versamento dell’Imposta Municipale Unica  non viene indicato il locatario di un immobile. Proprio per questo motivo la legge ritiene che l’Imu, in caso di immobile locato, debba essere pagato dal proprietario dell’immobile stesso.

Quest’ultimo, al fine di non pagare l’Imposta Municipale, non potrà nemmeno risiedere o dimorare all’interno dell’immobile concesso in affitto dal momento che la residenza all’interno di quel luogo è tenuta dall’affittuario.

Tuttavia è bene sapere che c’è la possibilità per il locatore di non pagare l’Imu. Si può pensare, infatti, di far pagare l’imposta, attraverso un accordo tra le parti che non ha alcuna valenza fiscale, all’inquilino tramite un’apposita previsione nel contratto.

In questo modo il canone di locazione verrà “maggiorato” della componente dell’Imu annuale del locatore.

Nonostante questo escamotage, il proprietario dell’immobile resta l’unico soggetto obbligato al pagamento dell’Imposta Municipale nei confronti del Comune.

Quindi, se l’affittuario non dovesse tenere fede agli impegni presi e risultasse moroso, l’ufficio tributi del Comune si rivolgerà al locatore.

Secondo la Corte di Cassazione, la clausola di un contratto di locazione che attribuisce all’inquilino l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati e al contratto, non è da considerarsi nulla.

Inoltre, l’accordo che impone all’affittuario di pagare i tributi locali, secondo le sezioni unite, non si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva dell’articolo 53 della Costituzione e pertanto non viola la regola sul divieto di traslazione del carico fiscale a un soggetto diverso dal titolare.

Questo tipo di accordo, tra l’altro, non viola neppure le norme che disciplinano le locazioni, in base a quanto disposto dalla legge 392/1978.

Bisogna però ricordare sempre che l’obbligo del pagamento dell’Imposta Municipale Unica, ai fini legislativi, resta sempre in capo al proprietario dell’immobile.