Archivio mensile Novembre 28, 2022

E’ POSSIBILE CHE IL COMUNE CONCEDA IL CONDONO A CHI HA REALIZZATO OPERE ABUSIVE?

Il regolamento all’interno di un condominio impone che per ogni modifica delle parti comuni o  all’interno della proprietà del singolo condomino, ci sia l’obbligo della comunicazione all’assemblea o dell’autorizzazione di quest’ultima.

L’assemblea o l’amministratore potrebbero decidere tuttavia di concedere l’autorizzazione ad un condomino e negarla ad un altro.

Tale decisione deve essere obbligatoriamente rispettata da tutta la collettività condominiale, anche se le opere eseguite senza la prescritta autorizzazione non sono lesive degli interessi degli altri condomini.

Dunque se un condomino decide di fare delle modifiche agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, renderebbe queste opere come abusive e potrebbe arrecare dei danni al decoro architettonico della facciata dell’edificio. In questo caso il singolo condomino avrebbe diritto ad agire in giudizio a tutela della cosa comune.

 Ma il Comune che deve attestare la sussistenza del titolo che legittima il condomino a richiedere un permesso o una sanatoria edilizia, deve tenere conto delle clausole del regolamento condominiale?

Con la sentenza n. 13212 del 17 ottobre 2022, il Tar ha sottolineato che le questioni “civilistiche”, come il mancato rispetto dell’obbligo sancito dal regolamento condominiale di notificare preventivamente all’amministratore qualsiasi intervento, si inserisce nell’ambito di quei complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile considerato al fine di accertare ogni aspetto potenzialmente idoneo ad incidere sul regime dominicale. Tali  accertamenti, se da un lato rilevano nel contesto processuale di un giudizio civile, dall’altro lato non rilevano invece nel diverso contesto procedimentale di un’istruttoria amministrativa volta a valutare l’istanza di condono edilizio.

In sintesi, il condomino che decide di eseguire delle opere edilizie all’interno del proprio appartamento anche senza l’autorizzazione preventiva dell’assemblea condominiale, può richiedere il condono al Comune senza essere ostacolato in alcun modo.

E’ POSSIBILE DESTINARE L’EREDITA’ AD UN’UNICA PERSONA ESCLUDENDO GLI ALTRI EREDI?

La nostra giurisprudenza non permette di dare soldi in eredità ad un’unica persona escludendo tutti gli altri eredi legittimi. Questo perché, quando parliamo di eredità, esiste una successione che regola le quote legittime.

Tuttavia è bene sapere che esistono delle soluzioni che permettono di dare soldi in eredità ad una sola persona escludendo tutti gli altri eredi pur se legittimi.

Come è possibile farlo?

Le quote legittime, riconosciute dalla giurisprudenza, sono delle percentuali di eredità destinate a tutti gli eredi legittimi, sia in presenza che in assenza di testamento.

Questo vuol dire che, anche se non espressamente indicato all’interno di un testamento, ciascun erede ha sempre diritto a ricevere la propria quota legittima di eredità. Le quote legittime per la successione dell’eredità variano in base al grado di parentela tra de cuius .

I primi eredi legittimi sono sicuramente il coniuge e i figli, ai quali spetta, anche in assenza di menzione all’interno del testamento, una quota consistente.

Ricordiamo che, in assenza di figli e coniuge e di ascendenti e collaterali al momento della morte del defunto, l’eredità spetta anche ai parenti indiretti fino al sesto grado in base ai legami di parentela più prossimi, partendo cioè dagli zii, per arrivare ai parenti in terzo grado, cugini, parenti di quarto grado, ecc.

Qualora invece, il defunto non  abbia congiunti, parenti prossimi o remoti, in assenza di testamento, l’eredità verrà totalmente devoluta allo Stato.

È importante sapere che ci sono dei casi nei quali la legge permette di dare soldi in eredità solo ad una persona escludendo gli altri eredi.

Uno dei metodi più utilizzati è quello della stipula di una polizza vita. Attraverso quest’ultima, infatti, è possibile nominare un beneficiario, che può essere l’erede che si vuole favorire, e che non rientra nell’asse ereditario.

Secondo il nostro Codice Civile infatti, la polizza vita non facendo parte dell’asse ereditario non deve essere divisa tra gli eredi, per cui permette di dare soldi in eredità ad una sola persona escludendo tutti gli altri eredi legittimi.

Affinché la polizza vita sia effettivamente valida come sistema per lasciare l’eredità ad una sola persona, è necessario che venga stipulata per tempo e non se la persona che decide di lasciare soldi in eredità ad una persona sta per morire.

Un’altra soluzione da adottare potrebbe essere quella di fare testamento, nominando l’erede a cui si vuole lasciare la somma di denaro decisa ma a patto di assegnare agli altri eredi legittimi altri beni del patrimonio posseduto per rispettare le quote legittime.

Ancora si potrebbe decidere di cointestare il conto corrente con la sola persona a cui si vogliono lasciare i soldi, in modo da far passare in successione con gli altri eredi solo metà della somma sul conto e non tutto l’importo, lasciando l’altra parte interamente all’erede a cui si vogliono lasciare soldi. 

COSA FARE IN CASO DI OPERA ABUSIVA EDILIZIA ALL’INTERNO DI UN CONDOMINIO? 

È noto che all’interno di un condominio ciascun condomino  può liberamente eseguire opere all’interno del proprio appartamento senza dover chiedere l’autorizzazione all’assemblea.

Ciò che deve fare il condomino che ristruttura il proprio appartamento  è informare l’amministratore il quale deve poi informare il resto dei condomini.

Cosa succede però in caso di abuso edilizio all’interno di un condominio?

Se qualcuno si accorge che, all’interno dello stabile, sono in corso opere di  abuso edilizio, è possibile chiamare la polizia municipale, i carabinieri o la Questura.

Dal momento che l’amministratore è garante delle parti comuni del condominio, dell’estetica e della sicurezza del fabbricato, questo può essere sollecitato ad intervenire affinché prenda gli opportuni provvedimenti e agisca contro il responsabile a nome di tutto il condominio. 

Nulla vieta a ciascun condomino di poter agire singolarmente qualora l’amministratore non intervenga.

La Corte di Cassazione ha però ritenuto responsabile l’amministratore che non interviene qualora si verifichino casi di abusi edilizi all’interno dello stabile. Essendo garante della cosa comune, egli è tenuto ad intervenire per difendere l’edificio anche senza bisogno di chiedere prima il mandato dall’assemblea.

Qualora si verificasse un caso di abuso edilizio, i condomini possono addirittura richiedere il risarcimento del danno eventualmente procurato all’edificio. 

Come accorgersi se c’è in atto un intervento di abuso edilizio all’interno di un edificio?

È stato già spiegato come ogni condomino può iniziare i lavori in casa propria senza dover preventivamente chiedere l’autorizzazione al condominio.

La Cassazione specifica come ciascun condomino può esercitare il diritto di accesso agli atti amministrativi ed esigere dal Comune il rilascio di una copia dei documenti che attestino la regolare esecuzione dei lavori all’interno di un appartamento appartenente allo stabile dove risiede. Tutto ciò al fine di verificare la regolarità della ristrutturazione in corso.

L’AGENZIA DELLE ENTRATE PUO’ PIGNORARE IL CONTO CORRENTE DI UN CONTRIBUENTE?

Quando un contribuente ha un debito esattoriale con un Ente di riscossione è possibile che il soggetto si veda pignorato il proprio conto corrente.

Attenzione però: l’ente preposto al pignoramento del conto corrente e quindi della riscossione dei crediti non è l’Agenzia delle Entrate ma l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Quando parliamo di pignoramento è importante sapere che questo non avviene automaticamente quando non si paga, ad esempio, un avviso di addebito. La procedura per arrivare al pignoramento è un po’ più lunga e complessa.

Solitamente tra l’ente creditore e l’esattore c’è un passaggio di carte che allunga i tempi esecutivi.

Si ricorda inoltre che per diversi difetti relativi alla notifica dell’atto o alla mancata ricezione di quest’ultimo, il contribuente può sempre fare ricorso, allungando così i tempi per procedere, in futuro, al pignoramento del conto corrente del contribuente.

Quest’ultimo, infatti, potrà essere pignorato solo se il debitore non si oppone contro la richiesta del pagamento da parte del Fisco.

Ricordiamo che nel caso in cui il contribuente riceve una notifica di immediato accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate che invita al pagamento entro 60 giorni,  qualora il versamento non sarà eseguito, dopo 30 giorni il debito passerà all’Agenzia di riscossione. Solo allora si potranno avviare le procedure previste per recuperare il debito e dunque procedere al pignoramento tramite lettera d’incarico da parte dell’Agenzia delle Entrate.

A volte però, il contribuente, più volte sollecitato, potrebbe ricevere un avviso di accertamento immediato esecutivo. In questo caso l’Agenzia delle Entrate Riscossione invia al contribuente una cartella esattoriale. Quest’ultima dovrà essere pagata entro 60 giorni oppure dovrà essere richiesta una rateizzazione sulla stessa. Solo se il debito non verrà pagato in alcun modo, saranno attivate le procedure per il recupero delle somme dovute.

È bene sapere che, l’Agenzia Riscossione può decidere, a seguito del mancato pagamento di un debito di un contribuente, di intraprendere azioni cautelari ed esecutive. Con le prime si intende il fermo amministrativo del veicolo oppure l’ipoteca sugli immobili. In entrambi i casi, il debitore riceve un preavviso di 30 giorni per pagare o chiedere la rateazione e solo dopo il mancato pagamento o la mancata comunicazione si procederà di conseguenza.

Le misure esecutive consistono invece nel pignoramento dei beni, sia mobili che immobili. In questo caso se trascorre più di un anno dalla notifica della cartella, il debitore riceverà l’intimazione di pagamento e dovrà pagare entro 5 giorni. Entro lo stesso termine, potrà chiedere la rateizzazione delle somme.

LE NOVITA’ SUL CONGEDO PARENTALE CON LA NUOVA MANOVRA DI BILANCIO

Secondo le ultime novità relative all’ultima manovra di bilancio, il congedo parentale subirà ulteriori cambiamenti dal 2023.

Molti sono state le variazioni fatte nel corso degli anni riguardo questo argomento.

Già dallo scorso 13 agosto, infatti, era stata data la possibilità per i padri di rimanere a casa con i propri figli per 10 giorni, con retribuzione piena, così come la possibilità per i dipendenti di fruire di un periodo di congedo allungato da sei a nove mesi.

Il nuovo Governo ha invece previsto un ulteriore allungamento del periodo di congedo parentale.

In particolare si parla della possibilità di poter usufruire di un mese di congedo facoltativo retribuito all’80% e utilizzabile fino al sesto anno di vita del bambino.

Un’importante novità questa se consideriamo che, il congedo parentale attuale è retribuito solo al 30% .

Se così fosse, le famiglie con situazioni economiche critiche, tali da non potersi permettere di rinunciare al 70% della propria retribuzione, avrebbero un incentivo in più per poter stare a casa con i propri figli.

Ricordiamo che il congedo parentale altro non è che un periodo di astensione facoltativa dal lavoro, destinato a entrambi i genitori. Fino ad oggi è possibile usufruirne per un periodo massimo di 10 mesi, con indennità pari al 30% della retribuzione.

Se la nuova manovra di bilancio avrà i suoi frutti, come si spera, sarà possibile disporre di un mese di congedo facoltativo in più entro il sesto anno di età del bambino, da retribuirsi all’80%.

È necessario sapere che, per poter usufruire di tale agevolazione, a richiedere il congedo devono essere i genitori naturali o affidatari del bambino. La domanda deve essere fatta entri i primi 12 anni di vita del figlio. I mesi di fruibilità del congedo devono essere calcolati complessivamente tra i due genitori.

SANZIONI PER RIFIUTO PAGAMENTI CON POS: COSA PREVEDE LA MANOVRA 2023

Il 21 novembre 2022  è stata approvata la Manovra 2023 che ha visto come argomento principale la“lotta al contante”.

Una delle decisioni più importanti riguarda il limite del contante che, come ormai tutti sanno, dal 2023 si innalza da 1.000 a 5.000 euro.

Oggetto di un discusso dibattito è stato l’obbligo imposto agli esercenti di accettare pagamenti in moneta elettronica.

A partire dal 30 giugno 2022 era stata anticipata la decorrenza delle sanzioni a carico dei soggetti che rifiutano i pagamenti effettuati con carta, sanzioni che in realtà sarebbero dovute partire dal 2023. A seguito di questo provvedimento tutti i soggetti che effettuavano la vendita di prodotti e prestazioni di servizi, dovevano obbligatoriamente dotarsi di un terminale Pos.

La giurisprudenza prevede delle sanzioni per gli esercenti che rifiutano di accettare un pagamento elettronico. La sanzione fissa è di almeno 30 euro alla quale si aggiunge il 4% del valore della transazione per la quale viene rifiutato il pagamento elettronico.

La manovra 2023 cerca di porre dei paletti anche in termini di sanzioni in caso di rifiuto per pagamenti con pos.

In particolare, si cerca di prevedere l’ampliamento dei casi nei quali la sanzione non si rende applicabile.

Oltre alla fattispecie di impossibilità tecnica, già prevista dall’attuale dettato normativo, viene infatti prevista la non applicabilità delle sanzioni limitatamente alle transazioni di valore inferiore ai 30 euro.

Attenzione però: la manovra in questione prevede che l’inapplicabilità delle sanzioni possa essere fatta valere nelle ipotesi che saranno individuate con decreto del Ministro delle imprese con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 180 giorni dall’entrata in vigore della Legge finanziaria. Tale decreto dovrà definire puntualmente i criteri di esclusione, al fine di garantire la proporzionalità della sanzione e di assicurare l’economicità delle transazioni in rapporto ai costi delle stesse.

Restiamo quindi in attesa dell’adozione del decreto anche se la manovra prevede che, nel contempo saranno sospesi i procedimenti e i termini per l’adozione delle sanzioni.

QUANDO E’ POSSIBILE PARCHEGGIARE SULLE STRISCE BLU SENZA PAGARE?

Le ormai famose strisce blu, che delimitano le aree solitamente a pagamento, non sempre obbligano all’automobilista che vi parcheggia a versare una somma in denaro.

Ci sono dei casi in cui la sosta è gratuita. Quando?

Trovare parcheggio nelle strisce blu è più semplice poiché in molti preferiscono allontanarsi dalla destinazione piuttosto che pagare il ticket per il parcheggio.

Uno dei motivi per il quale non è obbligatorio versare una somma di denaro, è la presenza all’interno dell’auto di un parchimetro rotto.

Ricordiamo che il conducente del veicolo non è tenuto ad allontanarsi più di tanto dalla propria autovettura. Questo vuol dire che, se le colonnine per il ticket più vicine non sono funzionanti, automaticamente decade l’obbligo di pagare la somma per il parcheggio.

Un’altra opzione per evitare il pagamento in presenta di strisce blu si ha quando, all’interno del parchimetro, la modalità di pagamento con il bancomat non sia funzionante. Anche in questo caso, la legge prevede che ci si possa esimere dal pagare poiché non sussiste l’obbligo di pagare in contanti in nessun caso.

Un’altra cosa a lui fare attenzione quando si parcheggia è che nei dintorni ci debbano essere  sufficienti parcheggi non a pagamento ovvero delimitati dalle strisce bianche.

L’articolo 7 del comma 8 del Codice della Strada specifica infatti che ogni quartiere o centro urbano deve avere una quantità di parcheggi gratuiti proporzionale alla propria estensione e al numero di parcheggi a pagamento.

L’automobilista che non dovesse trovare una congrua presenza di parcheggi gratuiti può, quindi, non pagare.

Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, una multa emessa per sosta senza pagamento del parcheggio è illegittima quando l’ausiliario del traffico non si trova all’interno della zona per la quale il Comune ha incaricato la società al controllo.

Inoltre, sempre secondo la cassazione, i dipendenti delle società esterne che svolgano servizio di ausiliari del traffico, devono comunque essere ufficializzati attraverso un’ordinanza comunale che sancisca il loro potere ad emettere contravvenzioni.

Ovviamente l’obbligo del pagamento del ticket di parcheggio non vale per chiunque esponga nella propria autovettura regolare pass disabili. Il contrassegno deve essere esposto in maniera ben visibile e all’interno della vettura deve essere sempre presente la persona per la quale si è ottenuto il permesso.

BONUS 750 EURO: COME FUNZIONA?

Il Bonus 750€ euro è un beneficio pensato dal Governo per sostenere tutte quelle famiglie colpite dalla crisi economica dovuta alla difficoltà di pagare le proprie bollette a causa dell’aumento dei prezzi.

Come è possibile ottenerlo?

Per richiedere il bonus in questione è necessario essere lavoratori dipendenti del settore privato.

È necessario, per ottenerlo, parlare col proprio datore di lavoro che dovrà informarsi con il proprio commercialista aziendale, per capire come inserire il bonus dei 750 euro in questione. L’ottima notizia è che, nonostante sia il capo dell’impresa a inserire l’ammontare in busta paga, non sarà lui a pagarvelo.

A pagare il lavoratore sarà lo Stato dal momento che l’erogazione del bonus avviene tramite l’azzeramento del cuneo fiscale.

Nonostante la richiesta sembra essere semplice, non si conoscono ancora le date dell’erogazione. Non vi resta, però, che affrettarvi.

Dunque, oltra al bonus dei 150 euro, un’altra agevolazione potrebbe essere erogata per aiutare le famiglie in difficoltà economica.

Non ci resta che attendere per conoscere le ulteriori misure che il nuovo Governo potrebbe decidere di adottare.

OPZIONE DONNA: COSA CAMBIA DAL 2023?

Opzione donna è una formula per la pensione anticipata delle donne che è stata introdotta nel 2004 dal governo Berlusconi.

Chi può andare in pensione anticipata sono tutte le lavoratrici dipendenti nel settore pubblico e privato e le lavoratrici autonome, in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995.

Affinché l’Opzione donna possa essere esercitata è necessario che le lavoratrici abbiano maturato, entro il 31 dicembre 2021, un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e abbiano un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e a 59 anni per le lavoratrici autonome. Inoltre, il rapporto di lavoro per le lavoratrici dipendenti deve essere cessato, mentre la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratrice autonoma non è necessaria.

Attenzione però: opzione Donna non permette il cumulo gratuito dei contributi, cioè la possibilità di sommare la contribuzione versata in diverse gestioni pensionistiche. Quindi le lavoratrici con contributi in più casse previdenziali possono richiedere la ricongiunzione dei contributi ma a fronte di un pagamento.

Le lavoratrici possono andare in pensione prima se sono passati:

  • 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti, per le lavoratrici dipendenti;
  • 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti, per le lavoratrici autonome.

Sono escluse da Opzione donna le lavoratrici che abbiano già esercitato l’opzione al sistema contributivo con effetti sostanziali, che sono iscritte alla gestione separata INPS o che abbiano già maturato il diritto alla pensione in base alla normativa vigente.

Il nuovo governo ha deciso di prorogare la misura, ma in versione diversa.  

La novità del 2023 riguarda le donne che potranno andare in pensione anticipata a età diverse a seconda del numero di figli, ovvero:

  • 58 anni con 2 figli o più
  • 59 anni con 1 figlio solo
  • 60 anni negli altri casi.

QUALI SONO I PENSIONATI CHE HANNO DIRITTO AL BONUS DEI 150 EURO?

Tra le diverse misure messe in campo dal governo c’è il cosiddetto Bonus 150 euro, che spetta ai lavoratori ma anche ai pensionati.

per quanto riguarda quest’ultima categoria, l’indennità una tantum di 150 euro viene riconosciuta automaticamente con la pensione di novembre in favore di soggetti residenti in Italia e titolari di uno o più trattamenti pensionistici, di pensione o assegno sociale, assegno per invalidi civili, ciechi e sordomuti, di trattamenti di accompagnamento alla pensione, con decorrenza entro il 1° ottobre 2022.

Affinché ciò avvenga è necessario che il reddito personale assoggettabile ad IRPEF, al netto dei contributi previdenziali e assistenziali, non superi per l’anno 2021 i 20.000 euro.

È bene sapere che il Bonus 150 euro vene corrisposto in automatico, senza effettuare nessuna domanda, anche a tutti coloro che, alla data del 1° novembre 2022, risultino titolari di pensione di inabilità, assegno mensile, pensione non reversibile, assegno sociale o pensione sociale.

Attenzione però: per quanto concerne le prestazioni di invalidità civile e assegno sociale, il Bonus è subordinato alla spettanza della prestazione principale. Questo vuol dire che, nel momento in cui viene revocata la prestazione con effetto retroattivo, sarà recuperato anche il Bonus e i pensionati saranno costretti a restituire i 150 euro una tantum ricevuti.

Il Bonus 150 euro non verrà erogato a  soggetti che risultino titolari esclusivamente di:

  • pensioni estere o di organismi internazionali
  • di pensioni e rendite facoltative, come ad esempio le pensioni del Fondo di Previdenza degli Sportivi
  • di vitalizi erogati nei confronti di coloro che hanno svolto incarichi presso assemblee di natura elettiva cessati dall’incarico titolari di rendite, come ad esempio INAIL o IPSEMA.