Il licenziamento ritorsivo consiste nel recesso deciso dall’azienda nell’ambito di «un’ingiusta e arbitraria reazione del datore essenzialmente, quindi, di natura vendicativa a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro o a questo comunque connessi».
Si pensi, ad esempio, al dipendente che, per motivi di salute, si assenta spesso dal lavoro pur restando entro i limiti del periodo di comporto. O a chi osserva scrupolosamente il suo orario di lavoro, senza mai arrivare in ritardo né uscire prima. O, ancora, a chi chiede di fruire di tutte le sue ferie e anche dei permessi maturati fino ad azzerarli. E a chi si limita a fare esclusivamente il lavoro previsto dalle sue mansioni così come contemplato dal contratto aziendale o collettivo, apparendo poco disponibile pur nel rispetto dei suoi doveri.
Il licenziamento ritorsivo è sempre da considerare nullo, a condizione che il motivo di natura vendicativa, e come tale illecito, sia stato l’unico determinante del recesso e «sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni».
Il licenziamento ritorsivo non va confuso con quello discriminatorio. Nel primo caso, come abbiamo visto, ci deve essere una reazione vendicativa e, come tale, ingiusta e arbitraria da parte del datore di lavoro contro un modo di fare comunque legittimo del dipendente.
Il licenziamento discriminatorio, invece, viene definito dalla Cassazione come quello che discende da una violazione di specifiche norme di diritto interno .
Esiste un tipo di licenziamento che qualche volta viene ritenuto legittimo per le cause che portano al recesso ed è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Consiste, in parole semplici, nel recesso deciso per problemi economici dell’azienda cioè per la necessità di ridurre il numero dei dipendenti a causa di una sopraggiunta situazione di crisi. L’onere di provare tale situazione è a carico del datore di lavoro.
La giurisprudenza definisce che esiste un giustificato motivo oggettivo quando ci sono alla base del licenziamento ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Come si inserisce il licenziamento ritorsivo in questo contesto?
L’esempio è quello fatto in precedenza: un lavoratore segue scrupolosamente le regole ma non «regala» un minuto in più all’azienda, oppure si assenta molto frequentemente dal lavoro per certificati motivi di salute pur non superando il comporto. Il datore di lavoro vuole lasciarlo a casa e tenta la strada del licenziamento per giustificato motivo oggettivo alludendo al fatto di dover tagliare il personale per questioni economiche e di non avere più bisogno della sua posizione.
Affinché il licenziamento sia valido, il datore deve dimostrare non solo che c’è una crisi di mercato in atto, che deve alleggerire l’organico pena la chiusura dell’attività, ecc.: deve anche dimostrare di non potersi tenere quel lavoratore in un altro reparto che rimane aperto e di avere, comunque, valutato la possibilità del repêchage. Altrimenti, si potrebbe dedurre che il licenziamento è ritorsivo, cioè che il datore si voglia disfare proprio di quel lavoratore senza un motivo ben preciso.
Secondo la Cassazione, in presenza di un licenziamento ritorsivo, dovrà essere il lavoratore a provare l’intento ritorsivo del licenziamento, dimostrando gli elementi che portano a pensare ad una rappresaglia del datore nei suoi confronti. Allo stesso modo, il datore di lavoro dovrà provare le ragioni alla base del giustificato motivo oggettivo.