Archivio mensile Ottobre 20, 2022

INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO 104: POTREBBE SPARIRE

Secondo quanto emerge dalle ultime notizie, l’indennità di accompagnamento potrebbe essere eliminata. Sarà invece introdotta una nuova misura che prevede una scelta: l’ausilio di tipo economico oppure assistenziale.

La nuova misura si trova all’interno del disegno di legge delega che riguarda proprio la non auto-sufficienza e che è stato autorizzato di recente dal Consiglio dei ministri. É però necessario sottolineare che l’autorizzazione da parte del Consiglio alla legge delega è soltanto l’inizio del processo in quanto sarà poi necessario rendere la norma esecutiva.

Per rendere la legge esecutiva, sarà necessario attendere l’insediamento del nuovo Governo  che prima controllerà tale norma e poi toccherà al Parlamento. In modo particolare, lo scoglio che tale norma deve superare riguarda la disponibilità economica e in questo casa sarebbero necessari 7miliardi di euro.

Dunque l’indennità di accompagnamento dovrebbe essere sostituita a breva dalla Prestazione universale per la non autosufficienza ma per ora non vi sono cambiamenti, infatti, sarà necessario attendere in nuovo esecutivo.

La nuova misura citata in precedenza, però, avrebbe molte diversità rispetto all’indennità di sostegno, infatti, vi sarebbe la scelta tra un sostegno economico e quello assistenziale, ma al momento coloro che dovranno richiedere tale indennizzo dovranno ancora rifarsi alla normativa per ora vigente.

Ma che cos’è l’indennità di accompagnamento?

È una pensione economica riconosciuta agli invalidi totali ed anche ai mutilati che non hanno la possibilità di camminare da soli e che non possono svolgere le attività quotidiane senza l’ausilio di nessuno.

Per riceverla è necessario rispettare diversi requisiti, il primo di questi è quello di avere un’invalidità del cento per cento non reversibile. Invece, il secondo è quello di ricevere dall’ASL un riconoscimento che attesti l’impossibilità di deambulazione e di aver bisogno di un aiuto. Mentre il terzo riguarda l’impossibilità di fare atti quotidiani senza un aiuto continuo.

È poi necessario avere residenza stabile in Italia e la cittadinanza. Per quanto concerne, invece, i cittadini comunitari, questi devono essere iscritti all’anagrafe del comune dove risiedono, mentre per quelli extracomunitari vi è bisogno del permesso di soggiorno.

Come sicuramente saprà chi beneficia di tale indennizzo, l’indennità è riconosciuta per un periodo di dodici mesi. Tale somma è sospesa se il beneficiario è ricoverato se però la permanenza in struttura supera i ventinove giorni. La somma mensile per l’anno in corso è di 525,17€.

L’indennità che sostituirà quella di accompagnamento dovrebbe essere elargita non tenendo in considerazione il reddito del richiedente.

Anche se non sembra essere uguale per tutti, infatti, gli importi potrebbero essere data in relazione a quanto effettivamente si ha bisogno. Al momento, però, non si sa se ad incidere sarà soltanto la condizione medica oppure anche quella economica.

Inoltre, sarà possibile anche scegliere il tipo di assistenza. Questa può essere di tipo medico infermieristico oppure assistenziale. In base alle ultime notizie, l’incentivo sarà maggiore per l’ultima opzione elencata.

RISCALDAMENTO CENTRALIZZATO IN CONDOMINIO: STIPENDIO PIGNORATO PER CHI NON PAGA LE BOLLETTE

Per chi abita in un condominio con le spese di riscaldamento centralizzate l’inverno 2022 sarà piuttosto complicata. Sono infatti iniziati i pignoramenti sulle prime maxi bollette.

Per chi ha già difficoltà ad arrivare a fine mese il pignoramento è un ulteriore passo verso il rischio di non-sussistenza.

Inevitabilmente il riscaldamento centralizzato va pagato e se si tratta di spese condominiali a farsene carico sono gli inquilini, ma la crisi energetica ha fatto raddoppiare il costo del riscaldamento e le bollette sono delle vere proprie maxi bollette. Il momento più critico però non è stato ancora toccato, infatti il picco della crisi arriverà tra dicembre e gennaio, ovvero dopo 100 giorni dalla scadenza delle bollette. A quel punto, senza le bollette saldate, saranno interrotte le forniture.

D’altra parte le società del gas stanno invece rompendo i contratti con chi è stato in passato cattivo pagatore. Tanto che ci sono stati casi di interruzione di acqua calda in ben tre casi su un solo palazzo. Al momento sono in aumento le richieste di supporto al Comune, dove in base all’Isee si ha la possibilità di ricevere contributi per pagare le bollette. I Comuni fanno quello che possono, ma non è abbastanza.

Le strategie dei condomini per risparmiare luce e gas non salveranno però gli inquilini da bollette maggiorate, praticamente raddoppiate, del gas. Le prime difficoltà si stanno già manifestando come le prime testimonianze di chi si è visto pignorare parte dello stipendio per il pagamento delle bollette.

A parte il decreto del ministero della Transizione ecologica che ha stabilito un massimo di ore giornaliere disponibili per riscaldamento centralizzato, al momento non sono previsti aiuti e supporti economici per chi si trova in difficoltà nel pagare le bollette e le spese condominiali centralizzate.

Alcuni amministratori di condominio hanno raccontato di come i pignoramenti sugli stipendi in alcuni casi sono stati di appena 60€ al mese dov’è stato possibile, mentre in altri casi vi è solo una promessa da parte dell’inquilino sul pagamento con la 13ª mensilità. Uno scenario cupo e che prevede un sempre maggior utilizzo dello stipendio per la sopravvivenza, le spese essenziali e sempre meno per il soddisfacimento di beni extra, con conseguenze pesanti anche sul resto dei settori.

I sostegni economici sono basati sull’Isee e sono specifici per il pagamento delle bollette, tanto che secondo gli amministratori di condominio sono in aumento gli inquilini che chiedono una copia della bolletta centralizzata per poterla portare in Comune e dimostrare la difficoltà economica per ottenere il contributo. Un inverno difficile necessita però di un’azione di sostegno di ampio respiro e di profilo nazionale per essere superata senza piegare le famiglie italiane.

NOTE DI RETTIFICA INPS: COSA SONO E COME COMPORTARSI

L’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (Inps) ha il compito di garantire una serie di prestazioni economiche ai lavoratori dipendenti a fronte di eventi che impediscono agli stessi di rendere la prestazione lavorativa e, pertanto, ricevere la retribuzione.

Le prestazioni interessano gli eventi vecchiaia (pensioni), invalidità, superstiti, malattia e gravidanza. Soltanto per citare alcuni esempi.

Le attività dell’Inps vengono finanziate grazie al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, da parte dei datori di lavoro, a mezzo modello F24.

I contributi in questione sono per la maggior parte a carico dell’azienda, mentre una percentuale ridotta, destinata a finanziare l’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) e gli ammortizzatori sociali, è trattenuta al lavoratore in busta paga.

La somma dovuta dal datore di lavoro e quella trattenuta al dipendente, è versata all’Inps, come anticipato, con modello F24, entro il giorno 16 del mese successivo quello di competenza dei contributi.

Una volta pagati i contributi con F24 l’Inps ricalcola le somme dovute dall’azienda. Nel caso in cui vi sia una differenza) l’Istituto trasmette una «nota di rettifica».

Si tratta di una segnalazione con cui l’Inps comunica al datore di lavoro una differenza di importo tra:

  • i contributi calcolati dalle procedure di controllo dell’Inps;
  • i contributi calcolati dal datore di lavoro, comunicati con la denuncia UniEmens.

In particolare, possono verificarsi due situazioni:

  • Nota di rettifica a credito dell’azienda, qualora i contributi calcolati dalle procedure di controllo dell’Inps siano inferiori a quanto denunciato dal datore di lavoro e versato con modello F24;
  • Nota di rettifica a debito dell’azienda, qualora i contributi calcolati dalle procedure di controllo dell’Inps siano superiori a quanto denunciato dal datore di lavoro e versato con modello F24.

A fronte di una nota di rettifica a debito, l’azienda è tenuta a versare la differenza rilevata dall’Inps con modello F24, nel rispetto della data di scadenza indicata nella comunicazione.

L’importo dovuto è rappresentato dalla differenza contributiva cui si sommano le sanzioni civili, calcolate in base ai giorni di ritardo di versamento delle somme.

La somma da versare all’Inps può in ogni caso essere regolarizzata attraverso una richiesta di rateazione, comprensiva di ogni altro debito contributivo accertato alla data di presentazione della domanda.

In caso di omesso pagamento entro la data indicata (e salvo il ricorso amministrativo presentato nei termini) la somma dovuta verrà richiesta con avviso di addebito, avente valore di titolo esecutivo che verrà contestualmente consegnato all’Agente della Riscossione.

È bene sapere che contro la nota di rettifica è possibile presentare ricorso, per il tramite della sede Inps, al Comitato competente individuato ai sensi degli articoli 23, 26 e 39 della Legge 9 marzo 1989, numero 88.

Al fine di presentare ricorso l’azienda è tenuta a raccogliere tutti gli elementi in grado di dimostrare che il calcolo dei contributi è stato effettuato correttamente. Di norma si presentano buste paga dei dipendenti, contratti di lavoro, lettere di proroga o trasformazione a tempo indeterminato, oltre a qualsiasi altro documento necessario.

In caso, invece, di nota di rettifica a credito per l’azienda, i contributi versati in eccesso possono essere recuperati tramite compensazione in F24.

Solitamente le note di rettifica Inps vengono trasmesse all’indirizzo di Posta Elettronica Certificata (Pec) che il datore di lavoro ha comunicato all’Istituto.

In mancanza della Pec, l’Istituto trasmette il documento in questione con raccomandata.

COSA RISCHIA CHI ARRIVA IN RITARDO A LAVORO?

Le ragioni che possono comportare un ritardo al lavoro sono diverse ed è per questo che è bene capire cosa fare per giustificarsi e quali possono essere le conseguenze.

Il rispetto dell’orario di lavoro, sia di entrata che di uscita, è di fondamentale importanza ai fini della corretta esecuzione delle proprie attività, ragion per cui venendo meno a un tale obbligo si è soggetti a sanzioni disciplinari. Anche se alcune volte non si può evitare di fare ritardo al lavoro, per il dipendente ci sono una serie di obblighi che lo mettono al riparo da eventuali sanzioni disciplinari, come può essere un semplice richiamo scritto o persino il licenziamento, come tra l’altro confermato dalla Corte di Cassazione.

Indipendentemente da qual è la ragione che comporta il ritardo, è opportuno informare l’azienda non appena si acquista la consapevolezza di non riuscire ad arrivare puntuali.

Un imprevisto può sempre capitare, ma è bene che il datore di lavoro ne venga tempestivamente informato, per poi essere aggiornato sull’evoluzione della situazione. L’avviso può arrivare con qualunque mezzo: una telefonata o anche un semplice messaggio su Whatsapp, così che il datore di lavoro possa trovare una soluzione per organizzare le attività in vostra assenza.

Senza dimenticare poi che, qualora disponibili, potete chiedere al datore di lavoro di fruire di qualche ora di permesso qualora l’imprevisto non sia risolvibile in poco tempo.

In caso di recidiva di ritardi è bene dimostrare che si è trattato di un imprevisto che non si poteva evitare con un atteggiamento maggiormente diligente.

Non si può giustificare un ritardo ripetuto dicendo, ad esempio, che non è suonata la sveglia, mentre maggiore comprensione ci sarà in caso di ritardo del treno, anche se il dipendente dovrà dimostrare di essere partito con largo anticipo, considerando quindi anche eventuali imprevisti.

Quel che è importante sottolineare è che le scuse per il ritardo al lavoro devono essere oggettive e dimostrabili, e per poter evitare una sanzione disciplinare bisogna, oltre ad aver assolto l’obbligo di comunicazione al datore di lavoro, dimostrare di aver fatto quanto possibile per arrivare comunque puntuali.

Quali sono le sanzioni per chi arriva in ritardo al lavoro?

La normativa rimanda ai singoli contratti collettivi di lavoro la determinazione delle sanzioni previste per chi fa ritardo al lavoro. Esistono Ccnl che stabiliscono che eventuali ritardi vadano comunque recuperati in uscita, il giorno stesso o comunque entro un certo termine, altri che invece fissano una decurtazione dello stipendio.

Specialmente in caso di recidiva, poi, possono esserci delle sanzioni disciplinari ai danni del dipendente. E, qualora ne sussistano i presupposti è possibile procedere anche con il licenziamento disciplinare.

LA PRECEDENZA IN ROTATORIA: QUANDO SI RISCHIA IL RITIRO DELLA PATENTE?

Le normative europee spingono forte sulle rotatorie. Queste, infatti, diminuiscono enormemente gli incidenti gravi.
Con le rotatorie si possono verificare anche tamponamenti, ma sono sicuramente di minore entità, come impossibili sono gli scontri frontali, proprio per la natura della rotatoria stessa.
Le regole da rispettare in caso di rotatorie sono leggermente diverse per Italia e Comunità Europea.
All’interno della rotatoria italiana la precedenza ce l’ha chi proviene da destra, quindi le auto all’interno della rotonda devono darla a coloro che entrano. Il segnale stradale corrispondente è quello classico della rotatoria.
In particolare, è necessario moderare la velocità e adeguarsi al comportamento degli altri veicoli, dando la precedenza se necessario. Se la rotatoria presenta una sola corsia e strada d’accesso ad una sola corsia per senso di marcia, allora bisogna immettersi nella rotatoria rimanendo in prossimità del margine destro.
All’interno invece, della rotatoria a due corsie in assenza di segnaletica ci sono comunque delle regole universali che valgono universalmente:
• precedenza di diritto: ha diritto a transitare con precedenza chi proviene da destra
• precedenza di fatto: chi viene da sinistra, e sta già attraversando l’incrocio, ha diritto a passare per primo.
E se si volesse svoltare a sinistra? In questo caso bisogna cominciare a rallentare e portarsi al centro della carreggiata. Se la strada è a senso unico, dovremo spostarci nella carreggiata di sinistra. Obbligatorio è dare la precedenza alle auto che si trovano davanti, a quelle che sopraggiungono nella corsia di sorpasso in autostrada, o eventualmente ai pedoni nelle strade urbane.
Mai svoltare a sinistra se c’è una linea bianca continua. Se la linea è tratteggiata è possibile svoltare a sinistra ed eseguire cambio di carreggiata o corsia, e persino compiere un’inversione a U dove consentito. Se si viene sorpresi a infrangere le regole delle rotatorie, le conseguenze sono pesanti.
Per quanto concerne le sanzioni, si ricorda che in caso di immissione irregolare all’interno delle rotatorie, si rischia una sanzione che va da 167 euro a 666 euro.
Prevista anche la sanzione accessoria della decurtazione di 5 punti dalla patente di guida, ma è a opzionale a totale arbitrio dell’agente che redige il verbale. I recidivi incorrono in sanzioni più dure che possono arrivare alla sospensione della patente da 30 giorni fino a 90.

MUSICA IN AUTO: SI PUO’ ESSERE MULTATI?

Viaggiare con la musica troppo alta in auto può essere pericoloso, perchè non permette di sentire ciò che accade attorno al proprio veicolo. Le multe sono dietro l’angolo e occorre quindi ricordare alcune regole del Codice della Strada. Ecco quali sono.

La distrazione è una delle principali cause di incidenti in auto o in moto. Concentrazione alla guida e rispetto delle norme di sicurezza sono temi imprescindibili per chi si mette al volante e per chi deve fare rispettare la legge.

Secondo il “Tavolo sulla Sicurezza Stradale” 2017, addirittura 3 su 4 sinistri in Italia sono provocati dalla deconcentrazione al volante. Il Codice della Strada punisce anche i rumori prodotti dall’auto, compresi quelli generati dalla radio e dallo stereo, se non sono ritenuti a norma.

In particolare, per legge, secondo l’articolo 155 del Codice della Starda, è vietato produrre “rumori molesti causati dal modo di guidare i veicoli, specialmente se a motore, sia dal modo in cui è sistemato il carico e sia da altri atti connessi con la circolazione stessa. Il dispositivo silenziatore, se prescritto, deve essere tenuto in buone condizioni di efficienza e non deve essere alterato. Nell’usare apparecchi radiofonici o di riproduzione sonora a bordo dei veicoli, non si devono superare i limiti sonori massimi di accettabilità fissati dal regolamento”.

Non è così facile poter dimostrare come la musica ad alto volume dell’autoradio possa impedire al conducente di guidare in sicurezza. In strada, infatti, mancano strumenti di rilevazione adeguati e utili a quantificare la soglia del rumore. Molto dipende anche dalla situazione ambientale: nelle ore diurne, in una via trafficata, è difficile riuscire a dimostrare questo reato. Più semplice se commesso di notte, nel silenzio, in pieno centro.

Chi viola questa disposizione rischia una multa che può andare da un minimo di 41 euro a un massimo di 168. Gli agenti dovranno constatare e verificare che sia possibile o meno sentire rumori esterni alla vettura . Secondo una sentenza della Cassazione, la musica a tutto volume può costituire anche un reato e non solo perchè è impossibile per il conducente avvertire rumori esterni. Secondo il Codice Penale “chiunque mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punibile con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”.

CANONE RAI FUORI DALLE BOLLETTE DAL 2023

Il Piano Nazionale Ripresa Resilienza (PNRR) ha confermato che dal 1° gennaio 2023 i fornitori di energia elettrica non saranno più obbligati a riscuotere il Canone Rai.

Ciò vuol dire che l’abbonamento radio televisivo italiano non sarà più una voce all’interno delle bollette della luce. Una notizia che già da diverso tempo è sulla bocca di tutti e che adempie le linee guida indicate dall’Unione Europea per poter ricevere la terza rata di finanziamenti.

Si parla di 19 miliardi di euro che, vista la situazione economica non solo italiana, ma anche europea e mondiale, all’Italia fanno davvero comodo. Ovviamente, questo cambiamento richiederà importanti modifiche sulla modalità di riscossione del Canone Rai dal prossimo anno.

Sarà quindi necessario valutare bene come evitare di tornare a una situazione fuori controllo pre bolletta per questa imposta.

Con l’ultimo caro bollette, avere fatture di energia elettrica più chiare e senza oneri impropri come il Canone Rai sarà sicuramente di beneficio. Tuttavia, il pericolo è che anche l’abbonamento radio televisivo italiano possa subire un aumento.

Storicamente, il Canone TV era pagato da ogni famiglia circa 110 euro l’anno. Con l’avvento della riscossione tramite bolletta l’importo era stato ridotto agli attuali 90 euro. Venendo meno questo metodo potrebbe non solo ritornare al prezzo di una volta, il Canone Rai potrebbe aumentare.

Riguardo alla nuova modalità per pagare questa tassa se n’è parlato tanto, ma sono tutte ipotesi. Molti parlano di 730, altri di abolizione e diversi ancora prevedono sarà passata la gestione alle Regioni, come avviene per quelle autonome e a statuto speciale.

Recentemente, attraverso un comunicato ufficiale, il Codacons ha parlato di abolizione totale del Canone Rai. Secondo la famosa associazione in difesa dei consumatori, anche “Mamma Rai”, in un mercato di libera concorrenza, potrebbe autofinanziarsi con la pubblicità, come fanno tutte le altre emittenti televisive nazionali e regionali.

DIVIETO DI MODIFICHE UNILATERALI DEI CONTRATTI DI LUCE E GAS

Le bollette finiscono sotto la lente dell’Antitrust e l’Arera, l’autorità di regolazione dell’energia elettrica e del gas, a causa di pratiche commerciali ritenute scorrette, soprattutto in una fase in cui il costo dell’energia è divenuto parte preponderante della spesa di famiglie ed imprese.

“L’aumento incontrollato dei prezzi dell’energia e lo stato di incertezza generale causato dalle tensioni internazionali stanno coinvolgendo sia i consumatori che gli operatori del settore energetico, traducendosi talvolta in iniziative che possono configurarsi come pratiche commerciali scorrette o violazioni della regolazione di settore”, spiegano in una nota congiunta l’Antitrust e o l’Arera.

A testimoniare queste pratiche scorrette diverse segnalazioni pervenute alle due Autorità, da parte di consumatori, per violazioni dell’articolo 3 del DL Aiuti bis, che prevede la sospensione delle clausole contrattuali che consentano modifiche unilaterali dei contratti di fornitura di energia elettrica e gas naturale relativamente alla definizione del prezzo, fino al 30 aprile 2023.

Inoltre, all’articolo 2 lo stesso decreto dispone che siano “inefficaci” i preavvisi comunicati, per queste stesse finalità, prima della data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 aprile 2023, a meno che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate.

 Si parla di variazioni unilaterali delle condizioni contrattuali (art. 13 Codice di condotta commerciale) in quei casi in cui, durante il periodo di esecuzione e di validità di un contratto di fornitura, il venditore decide di avvalersi, per giustificato motivo, di una clausola contrattuale legittima nella quale è prevista esplicitamente la possibilità di variare unilateralmente specifiche condizioni contrattuali, eccetto che in questa fase e fino alla scadenza del 30 aprile 2023 (ambito di applicazione articolo 3 Dl Aiuti Bis).

Mentre le variazioni automatiche delle condizioni economiche (art. 13 Codice di condotta commerciale) sono quegli aggiornamenti già previsti dalle condizioni contrattuali all’atto della stipula (aumento prezzo unitario, scadere di sconti o promozioni, passaggio da prezzo fisso a variabile e così via), che non sono ritenuti modifica unilaterale delle condizioni economiche e quindi non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 del Dl Aiuti Bis.

Pertanto i rinnovi delle condizioni economiche, cioè la stipula di un nuovo contratto alle medesime condizioni, non costituiscono un’ipotesi di variazione unilaterale, anche se il rinnovo può essere variamente regolato nell’ambito di un contratto concluso tra le parti. Nel caso delle cd. offerte PLACET, dove le  condizioni sono interamente stabilite dall’Autorità ad eccezione del prezzo di cui l’Autorità stabilisce solo la struttura, la regolazione prevede un specifica procedura di rinnovo ogni 12 mesi che non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 3.

Quando allora le modifiche sono illegittime?

Vi sono due casi di illegittimità per modifica unilaterale del contratto. Il primo caso ricorre quando il fornitore avanza una proposta di rinegoziazione per sopravvenuto squilibrio delle prestazioni a causa dell’aumento dei prezzi. Il secondo caso di illegittimità è relativo all’esercizio del diritto di recesso dal contratto di fornitura con i propri clienti, anche con effetto immediato e con conseguente attivazione dei servizi di ultima istanza.

Il decreto Aiuti Bis ha ovviamente ampliato i casi di pratiche scorrette, ma numerose segnalazioni, anche di comportamenti aggressivi, sono giunte alle authority  in tempi “normali”.

IL CONDOMINIO MOROSO PUO’ VEDERSI STACCARE L’UTENZA DI LUCE E GAS?

Un condomino diventa moroso nel momento in cui non ha pagato alla scadenza le quote che gli spettano sia per la gestione ordinaria del condominio, sia per contribuire alle spese straordinarie. Spetta all’assemblea o al regolamento del condominio stabilire entro quando bisogna effettuare i pagamenti. In assenza di queste indicazioni, bisogna fare riferimento al Codice civile, secondo cui ogni condomino è tenuto a pagare le proprie quote all’inizio di ogni mese di riferimento, quindi in anticipo.

Soltanto in questo modo è possibile affrontare le spese per la gestione dei servizi e dei beni comuni necessari al funzionamento del condominio. Eventuali conguagli dovranno essere versati dopo l’approvazione da parte dell’assemblea dei relativi importi.

Cosa può fare l’amministratore in caso di morosità?

Partiamo da quello che non è tenuto a fare l’amministratore: non è lui che deve bussare ogni mese alla porta dei condomini per riscuotere le quote ma sono i proprietari a dover prendere l’iniziativa, una volta che sono stati stabiliti e comunicati i termini e le modalità per i pagamenti delle quote.

Nel caso di condomino moroso, l’amministratore può inviare un sollecito  sperando si tratti di una banale dimenticanza, di un problema con la banca o di un ritardo nel pagamento dello stipendio che costringe il proprietario dell’appartamento ad attendere qualche giorno prima di assolvere il suo dovere. Se parte la diffida, però, scattano gli interessi sugli arretrati e, se arriva il decreto ingiuntivo, il condomino deve farsi carico anche delle spese legali. Nel caso in cui il condomino non voglia pagare quanto dovuto, l’amministratore può rivolgersi a un tribunale.

Quando si può staccare l’utenza di luce e gas al condomino moroso?

L’amministratore potrebbe tagliare luce e gas al condomino che non paga dopo sei mesi di morosità. Allo stesso modo, può vietare all’interessato l’utilizzo dei servizi comuni, come l’ascensore, la piscina condominiale, il parcheggio riservato ai condòmini, ecc. Se la sospensione delle utenze richiedesse l’accesso alla proprietà privata, l’amministratore potrebbe chiedere al giudice la relativa autorizzazione ed, eventualmente, l’intervento della forza pubblica.

L’amministratore può agire in tal senso anche senza una delibera dell’assemblea.

Cosa può fare il condomino moroso in questo caso?

Può impugnare il distacco davanti a un giudice, che sarà tenuto a valutare se il gesto dell’amministratore è fondato oppure esagerato ed inopportuno, oltre che illecito.

Va detto, comunque, che secondo il Codice civile, contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria.

Se il distacco viene ritenuto illegittimo dal giudice, l’amministratore dovrà rispondere del reato di «esercizio arbitrario delle proprie ragioni», punito a querela della persona offesa con la multa fino a 516 euro. Inoltre, il condominio dovrebbe farsi carico della spesa non pagata dal moroso per evitare che le compagnie di luce e gas procedano al taglio della fornitura all’intero edificio.

L’amministratore può evitare questi rischi rivolgendosi prima a un giudice per farsi autorizzare il distacco.

I GENITORI RISPONDONO PER I REATI COMMESSI DAI FIGLI MINORENNI?

L’articolo 2048 del Codice civile stabilisce che i genitori sono responsabili per gli illeciti commessi dai figli minorenni, sia che si tratti di illeciti civili che di illeciti penali. Si tratta però di una responsabilità civile. Il che significa che il padre e la madre del colpevole dovranno risarcire i danni patiti dalla vittima dell’illecito.

Questa responsabilità persiste finché l’azione illecita viene commessa dal figlio minorenne. Quando questi raggiunge i 18 anni, benché ancora convivente con i genitori e non ancora autonomo economicamente, il risarcimento conseguente alle sue condotte illecite grava unicamente su di lui.

Se un figlio commette un illecito quando è minorenne e, dopo poco tempo, diventa maggiorenne, i genitori mantengono ugualmente la responsabilità personale.

I genitori possono difendersi ed evitare di dover corrispondere il risarcimento solo se «non hanno potuto impedire il fatto». Il che non significa non essere stati presenti al momento dell’illecito e non aver potuto controllare o sgridare il figlio. Ciò che richiede la legge è invece una prova molto difficile: padre e madre devono dimostrare al giudice di aver impartito al giovane una corretta educazione. Il più delle volte, però, la commissione di un illecito da parte di un minorenne deriva proprio da una mancanza di disciplina in casa, il che rende automaticamente responsabili il padre e la madre.

Al contrario di quanto comunemente si pensa, seppure è vero che i genitori sono responsabili per gli illeciti commessi dai figli, a meno che non dimostrino di aver fatto di tutto per impedirli, questa responsabilità non è di tipo penale. Come anticipato sopra, si tratta solo di una responsabilità civile, ossia risarcitoria.

Ma allora chi risponde del reato del figlio minorenne? Lui stesso, se ha compiuto almeno 14 anni. La nostra legge infatti prevede che proprio a partire da questo momento scatti la cosiddetta imputabilità penale. Dunque, non è vero, come spesso si crede, che un minore non è responsabile dei reati commessi. Lo è solo se ha meno di 14 anni. Da 14 anni in poi egli è responsabile dei crimini commessi, da quelli più gravi a quelli minori. Pertanto è tenuto a sopportare il processo penale e le relative pene che ne derivano. Sarà comunque giudicato dal tribunale dei minorenni.

Se il minore ha meno di 14 anni, il reato resta impunito sotto un aspetto penale. Di esso infatti non risponde né il suo autore, né i genitori. Resta la possibilità di chiedere a questi ultimi solo il risarcimento del danno.