Archivio mensile Ottobre 29, 2022

LA CONSERVAZIONE DEL POSTO DI LAVORO PER I LAVORATORI INVALIDI

Anche il lavoratore invalido deve stare attento a mantenere il proprio posto di lavoro. Bisogna infatti considerare i limiti dell’organizzazione interna dell’impresa e specialmente nel mantenimento degli equilibri finanziari dell’azienda e nel diritto degli altri lavoratori di conservare le mansioni assegnate.

È quello che ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 4896 del 23 febbraio 2021. Si è cercato di trovare un punto di equilibrio tra il diritto alla non discriminazione del disabile, il diritto alla libera iniziativa economica dell’imprenditore-datore di lavoro e gli interessi dei colleghi.

La pronuncia della Corte si riferisce alla corretta applicazione del Decreto legislativo del n. 216 del 2003, il provvedimento che attua la Direttiva dell’Unione Europea 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

L’articolo 3, comma 3-bis del citato Decreto, così come modificato dal Decreto Legge n. 76/2013, prevede che:

“Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli”

La giurisprudenza nazionale ha ritenuto che l’impossibilità di impiegare il lavoratore divenuto inabile può costituire giustificato motivo di licenziamento se altera in maniera sproporzionata l’assetto organizzativo dell’azienda.

Il giudice di merito eventualmente investito dalla questione riguardante la pretesa di un lavoratore invalido di mantenere il proprio posto in azienda deve indagare sulla sussistenza, all’interno della struttura dell’azienda, di mansioni che possono eventualmente adattarsi all’inabilità del lavoratore.

A quel punto può giudicare legittimo il licenziamento non solo quando risultano inesistenti accorgimenti pratici utili al suo mantenimento, ma anche quando viene accertata l’impossibilità di affidargli mansioni equivalenti o anche inferiori senza stravolgere l’organizzazione dell’azienda.

Si tratta dunque, di applicare il principio di ragionevolezza che prevede il divieto di modifica in peius delle posizioni lavorative degli altri lavoratori. Come, peraltro, lo stesso principio della libertà dell’iniziativa imprenditoriale sancito dall’articolo 41 della Costituzione.

BONUS 600 EURO PER I LAVORATORI DIPENDENTI: COME OTTENERLO?

La nuova novità introdotta dal decreto Aiuti-bis pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre 2022 è il cosiddetto bonus bollette 600 euro. Si tratta di una misura di potenziamento del welfare aziendale che va ad affiancarsi al cosiddetto bonus carburanti da 200 euro lanciato a marzo contro il caro benzina.

Parliamo di un contributo economico concesso e rimborsato dall’azienda privata al lavoratore dipendente per il pagamento delle bollette di luce, gas e acqua. Le somme erogate sono escluse dalla formazione del reddito di lavoro dipendente ai fini Irpef, entro il limite di 600 euro. Le aziende possono anche fornire benefit superiori a 600 euro nell’anno di imposta 2022, ma in questo caso l’eccedenza sarà tassata.

Ma come funziona?

Il lavoratore può ricevere il bonus bollette 600 euro direttamente in busta paga come rimborso spese, presentando fattura e ricevuta di pagamento.

C’è anche la possibilità che l’azienda versi direttamente le somme al fornitore della somministrazione del servizio.

E se le utenze sono intestate al coniuge o al convivente? Il nodo è da sciogliere, dal momento che nel decreto legge manca qualsiasi riferimento ai familiari. In attesa di un intervento da parte del legislatore, non è chiaro se l’incentivo spetta anche in caso di utenze intestate non al lavoratore.

Per ottenere il bonus non è previsto l’invio di una domanda. Infatti è l’azienda a decidere se e in che misura concederlo ai lavoratori.

Allo stesso modo non sono previsti requisiti o tetti di reddito per poter ricevere il bonus bollette 600 euro.

I TERMINI PER LA NOTIFICA DI ACCERTAMENTI DEI TRIBUTI LOCALI

La giurisprudenza per evitare che la contestazione della violazione dell’obbligo relativo ai tributi locali possa avvenire troppo in la nel tempo prescrive che l’atto di accertamento deve essere notificato a pena di decadenza entro il  31 dicembre de quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento avrebbero dovuto essere effettuati. Il comma 161 dell’articolo 1 della legge 296/2006 prevede infatti che “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La legge inoltre, prevede che i termini per la notifica dell’avviso di accertamento emesso per omessa o infedele dichiarazione decorrono dal 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata o doveva essere presentata. In questo caso occorre precisare che si tratta dell’anno successivo a quello oggetto di dichiarazione. Di conseguenza, ad esempio, il comune potrà notificare fino, ma non oltre, il 31 dicembre 2025 l’avviso di accertamento relativo alla mancata o infedele dichiarazione IMU attinente al 2019, posto che questa andava presentata nel 2020.

Il dl n. 18 del 2020, ha disposto la sospensione dei termini di notifica degli atti di accertamento (art. 67). Questa norma però, non è stata dettata specificatamente per i tributi comunali, ma  riguarda anche gli atti dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.

Quali sono allora i termini dell’accertamento dei tributi locali nel 2022?

All’8 marzo 2020 erano pendenti i termini relativi agli atti di accertamento esecutivi per omesso versamento per gli anni 2015- 2019 e gli atti di accertamento esecutivi per infedele o omessa denuncia per gli anni 2014-2018. Il 2016 sarà prescritto nel 2021 e il 2016 nell’anno corrente.

La notifica dell’avviso di accertamento può essere effettuata in diversi modi, ovvero mediante raccomandata semplice, messi notificatori, pec o atto giudiziario.

In caso di assenza del destinatario, l’agente postale depositerà l’avviso presso l’ufficio postale e lascerà presso l’abitazione del destinatario l’avviso di giacenza. Il plico rimarrà nell’ufficio postale per 30 giorni, trascorsi i quali, in casi di mancato ritiro verrà spedito al mittente e la notifica verrà comunque .

Come ha sostenuto la Cassazione la notificazione dell’avviso di accertamento non è un elemento per la giuridica esistenza dell’atto, ma ne rappresenta una mera condizione di efficacia. La notificazione dell’atto rappresenta dunque un momento susseguente e autonomo, rispetto a quello della sua giuridica formazione, tant’è che eventuali vizi del procedimento notificatorio non incidono sull’esistenza e sulla validità dell’atto stesso.

La Corte ritiene quindi che un atto di impugnazione processuale deve ritenersi tempestivamente notificato se la richiesta di notifica sia avvenuta nel termine di legge. Anche l’atto tributario deve ritenersi rispettoso del termine di decadenza previsto per legge se entro tale termine sia stato emesso e sia stato oggetto di richiesta di notificazione.

La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 40543/21 ha pronunciato un importantissimo principio di diritto secondo cui “In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e agli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi di imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art.60 del d.P.R . 29 settembre 1973 n.600, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell’atto e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente“.

NASCONDERE UN TESTAMENTO: COSA SI RISCHIA?

L’articolo 490 del codice penale prevede un reato a carico di chi distrugge, sopprime o nasconde un testamento che pertanto può essere denunciato e, in conseguenza di ciò, dovrà affrontare un processo penale.

Secondo la Corte di Cassazione l’erede testamentario, che sopprima il testamento olografo, risponde del reato di «Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri». L’erede, infatti, abbia o meno accettato l’eredità, non ha diritto di distruggere il testamento stesso, del quale non ha potere esclusivo di disposizione, ma è tenuto viceversa a provvedere a renderlo pubblico, appena abbia notizia della morte del testatore.

Il reato in questione si configura, quasi sempre, in presenza di un testamento olografo visto che quello pubblico è custodito da un notaio ed è  registrato.

Il reato scatta anche quando il reo ha il sospetto che si tratti di un testamento falso o invalido. Chi, ad esempio, trova un testamento redatto da una persona in età anziana, probabilmente incapace di intendere e volere, non può comunque strapparlo ma deve ugualmente consegnarlo a un notaio per la sua pubblicazione. Sarà poi l’accertamento del a stabilire se il testamento sia valido o meno.

Il reato scatta anche quando si distrugge o si occulta una copia del testamento, sempre che non si tratti di una banale fotocopia. A riguardo è necessario sapere che il testatore che voglia fare più copie del proprio testamento non può limitarsi a fotocopiare l’originale. Esso  deve scrivere invece, di proprio pugno, tanti duplicati per quante sono le copie che vuole realizzare, seguendo gli stessi passi e riproducendo lo stesso contenuto del testamento in questione. In pratica, il documento va riscritto integralmente dall’inizio alla fine, con data e firma.

Tuttavia non è facile punire chi nasconde o distrugge un testamento se non vi sono altre copie in circolazione. E ciò perché, chiaramente, la prova della condotta delittuosa potrebbe essere assai difficile una volta venuto meno il documento in questione.

A questo punto, dinanzi a un testamento occultato, in assenza di prove del reato, scatteranno le norme sulla divisione del patrimonio secondo la cosiddetta successione per legge. Nel caso in cui il defunto non abbia lasciato testamento o questo non venga mai trovato, la divisione dell’eredità viene fatta seguendo una linea di successione in ordine di priorità.

IN ARRIVO UN NUOVO BONUS DI € 300 PER IL CONSUMO DI ACQUA, LUCE E GAS

In questo periodo il Governo e i vari comuni si stanno mobilitando per aiutare le famiglie che hanno difficoltà nel far fronte ai rincari delle bollette di luce e gas.

Infatti diversi bonus sono stati erogati e tanti altri saranno ancora considerati per aiutare i contribuenti che hanno difficoltà, col loro reddito, ad arrivare a fine mese.

Tra questi si parla di un bonus bollette di ben 300 euro.

L’avviso ufficiale è stato pubblicato il 18 Ottobre dell’anno corrente e chiarisce come si tratti di un rimborso circa i costi legati alle utenze di acqua, luce e gas e che siano stati sostenuti dal mese di gennaio 2022 fino al 30 settembre.

Insomma si parla di un aiuto economico a favore di quelle famiglie che anche a causa della crisi economica non riescono a far fronte a queste spese. L’importo varia in base al numero dei componenti del proprio nucleo familiare.

Sono infatti previsti 100 euro per quei nuclei formati da un solo componente e per ogni componente aggiuntivo al primo, tale importo aumenta di 50 euro. Ricordiamo che l’importo massimo è di 300 euro e riguarda quindi nuclei familiari numerosi.

Ma come può essere ottenuto tale bonus? È necessario possedere un ISEE che non superi le 15.000 euro.

Questo tipo di bonus però non è ancora stato adottato da tutti i comuni, bisognerà controllare sul sito del proprio comune se vi sono  aiuti che spesso presuppongono anche requisiti diversi.

NOTIFICHE DI PREAVVISO DI FERMO AMMINISTRATIVO MOLTIPLICATE: COSA FARE?

In quest’ultimo periodo il Fisco ha moltiplicato le notifiche di preavviso di fermo amministrativo su mezzi a due e quattro ruote. Una sorta di ultimatum, dato che il ricevente avrà a disposizione 30 giorni per regolarizzare la propria condizione debitoria prima che scatti il blocco alla circolazione.

L’Agenzia delle entrate e riscossione ha ripreso recentemente un più massiccio invio di cartelle esattoriali e intimazioni di pagamento.

È nota, infatti, la pioggia di comunicazioni preventive di fermo amministrativo su motocicli o autovetture di proprietà di contribuenti su cui gravano debiti arretrati. Debito che, se non si vuole incorrere nel blocco del mezzo, va saldato entro 30 giorni dalla ricezione della notifica.

La notifica di preavviso di 30 giorni del fermo amministrativo di un mezzo è uno degli strumenti nelle mani del Fisco per colpire i debitori in ritardo: secondo quanto previsto dall’Art.50 del dpr 602/73 infatti, l’Amministrazione finanziaria può infatti procedere a espropriazione forzata quando è decorso invano il termine di 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento al moroso. L’iscrizione del fermo amministrativo significa il divieto assoluto di circolazione del mezzo in oggetto, pena il pagamento di un’ammenda compresa tra 1.988 e 7.953 euro e: a partire da quel momento, inoltre, decade ogni possibilità di effettuare qualunque genere di atto di disposizione, come ad esempio la vendita del veicolo.

Nel caso in cui la comunicazione riguardi un mezzo che risulti “bene strumentale” per attività di impresa o professione, il diretto interessato avrà l’onere di comunicarlo al riscossore per arrestare la procedura. Il fermo amministrativo non viene iscritto infatti, qualora si dimostri, entro 30 giorni dal ricevimento del preavviso di iscrizione, che il veicolo è funzionale all’attività di impresa o della professione esercitata dal moroso, secondo quanto segue.

In questo caso sarà necessario presentare agli sportelli dell’Agenzia delle entrate oppure inviare tramite raccomandata A/R il modello F2 “Istanza di annullamento preavviso fermo bene strumentale”, allegando in copia la documentazione necessaria per attestare la strumentalità del veicolo. Si tratta della fattura di acquisto del mezzo, del certificato di proprietà, del libretto di circolazione e dello stralcio del registro dei beni ammortizzabili. La non pignorabilità vale anche per i mezzi usati per il trasporto di persone diversamente abili, ai quali è associato anche un apposito contrassegno.

COME BISOGNA COMPORTARSI SE SI RICEVE UNA MULTA FALSA?

D’avanti ad una richiesta di pagamento proveniente dalle autorità, la prima reazione dell’automobilista è quasi sempre di sottomissione. Quest’ultimo infatti, non ricordando bene l’accaduto,  è indotto a pagare subito per chiudere la partita ed evitare sanzioni più elevate dovute alla mora.

È giusto sapere che anche la polizia può sbagliare: la dimostrazione la da la valanga di multe false che stanno arrivando spesso a numerosi possessori di veicoli a motore. Può succedere infatti che, nel momento in cui l’agente della polizia, all’interno del proprio ufficio, compila il verbale da notificare al trasgressore, digiti sulla tastiera del computer un tasto sbagliato. Spesso l’errore di una lettera o di un numero fa arrivare la multa a un soggetto diverso, del tutto estraneo alla violazione stradale.

Se si ha un fondato dubbio di non aver commesso l’infrazione non bisogna pagare. Infatti l’adempimento spontaneo esclude la possibilità di un successivo ricorso, anche se ci si accorge, in un momento successivo, di non aver commesso l’infrazione.

A quel punto bisognerà muoversi in fretta perché i tempi per fare ricorso sono abbastanza risicati: 30 giorni al giudice di pace o 60 giorni al prefetto.

Bisognerà poi raccogliere le prove di non essersi trovati nel luogo e all’orario indicato nel verbale. Se ritenete di non essere stati nel luogo indicato nel verbale, a quella specifica ora, potrete recarvi presso la vostra assicurazione che vi ha installato il gps in auto per farvi rilasciare una attestazione in cui si dichiari dove effettivamente era situato il vostro veicolo in quella frazione di tempo. Tale documento può essere usato per chiedere l’annullamento della multa, richiesta che, in via preventiva, può essere anche inviato alla polizia. Questo tentativo non sospende tuttavia i termini per poi fare ricorso al giudice di pace o al prefetto. Pertanto, in caso di mancata risposta, bisognerà prepararsi a procedere per le vie ordinarie prima che scadano i suddetti termini .

STRALCIO DELLE MINI CARTELLE GRAZIE ALLA PACE FISCALE

Il nuovo Governo sta considerando, per la nuova pace fiscale, un’altra operazione di stralcio integrale delle mini-cartelle.

I due annullamenti integrali di tasse, multe stradali e contributi, secondo le stime della Corte dei conti, potrebbero aver riguardato in tutto più di 50 miliardi di euro iscritti a ruolo. Cifra che può sembrare enorme, ma che va rapportata alla mole abnorme dei carichi affidati all’Agenzia della riscossione e ormai quasi impossibili da incassare.

Insomma, il tema della pace fiscale e di una nuova misura “taglia debiti” deve essere una priorità per la maggioranza di centro-destra e il governo di Giorgia Meloni.

Parliamo di un segnale “distensivo” verso i contribuenti ancora alle prese con le crisieconomiche post Covid ed energetica.

Sono necessarie, però, almeno due ordini di valutazioni. Da un lato, il livello a cui sarà fissata

l’asticella dei mini-debiti da stralciare, cioè l’importo che farà scattare la cancellazione. Dall’altro, gli anni che saranno oggetto del condono. Sono entrambi fattori legati a doppio filo ai margini di

finanza pubblica, con cui governo e maggioranza dovranno fare i conti.

L’ipotesi valutata inizialmente di fissare a 3mila euro la soglia degli annullamenti ai rischia in questo momento di essere non sostenibile per le coperture necessarie. Più probabile, quindi, che ci si possa attestare a un valore tra i 1.000 e i 2.000 euro.

Ma, come anticipato, c’è anche la questione degli anni a cui si riferiscono le posizioni debitorie. Sia

nell’edizione della pace fiscale 2018 sia in quella 2021 il periodo di riferimento è stato rappresentato dagli anni 2000-10. Di fatto, quindi, si rischierebbe di andare su un terreno già arato.

Tra le valutazioni del nuovo Esecutivo, c’è l’opportunità di spingere un po’ più in avanti l’orizzonte temporale, arrivando così a interessare posizioni debitorie più recenti.

Il “mattoncino” da mettere con lo stralcio integrale farebbe comunque parte di una strategia più

ampia, su cui si innesterà anche una rottamazione-quater.

 Il meccanismo sarà rivisto rispetto alle precedenti rottamazioni. Si pensa, ad esempio, a far rientrare nella nuova definizione agevolata tutti i carichi affidati alla ex Equitalia fino al 30 giugno 2022, con la ricaduta pratica di ricomprendere anche cartelle inviate sia prima che dopo l’emergenza Covid.

QUALI SONO LE CARTELLE ESATTORIALI CHE NON BISOGNA PAGARE?

Anche il Fisco può commettere sbagli clamorosi, come nel caso delle notifiche irregolari dell’Agenzia delle Entrate, che hanno condotto a non pochi ricorsi presso le commissioni tributarie regionali.

La motivazione delle vittorie dei contribuenti contro l’Amministrazione finanziarie potrebbe sorprendere: infatti ha a che fare con gli indirizzi PEC riconducibili all’Agenzia, ma che però non erano ancora stati registrati alla data della notifica delle cartelle esattoriali.

Si tratta di un vizio di procedura, ovvero una particolare ‘irregolarità’ del procedimento di notifica della cartella, che di fatto rende invalido tutto l’iter. Come accennato in apertura, l’Agenzia delle Entrate Riscossione ha finora usato per inviare le notifiche indirizzi PEC (Posta elettronica certificata) non presenti nei pubblici registri. Il risultato di questa sorta di distrazione dell’ente è stato appunto il fioccare di ricorsi in commissione tributaria, con gli organi deputati a decidere che hanno sempre dato ragione ai contribuenti.

Come detto, ecco allora i ricorsi in commissione tributaria contro le cartelle esattoriali, grazie ai quali i ricorrenti hanno potuto contestare efficacemente l’invalida notifica.

Allo scopo di frenare questo caos di cui l’Amministrazione finanziaria è vittima, il rimedio è stato quello di aggiornare i propri indirizzi PEC. Tuttavia si tratta di una novità  che vale per il futuro. In altre parole, per tutti gli atti notificati anteriormente al nuovo elenco, la via del contenzioso presso la commissione tributaria può ancora portare ad un positivo esito.

La legge in proposito è molto precisa e non ammette deroghe. Le norme infatti indicano che le cartelle esattoriali possono essere notificate soltanto tramite PEC inclusa nei pubblici registri.

La situazione in cui si è trovata coinvolta l’Agenzia delle Entrate ha tratto origine dai ricorsi tributari contro le cartelle esattoriali illegittimamente notificate, ed effettuati tenuto conto delle regole in materia.

Anzi le stesse CTR hanno affermato che le notifiche delle cartelle esattoriali, al di fuori degli schemi di legge, non potevano essere dichiarate sanate neanche con la proposizione del ricorso contro l’atto del Fisco. D’altronde anche la stessa Agenzia delle Entrate non poteva andare contro il dettato del legislatore, anche soltanto per aspetti meramente procedurali e non attinenti dunque alla ‘sostanza’ del provvedimento contro il contribuente.

LE NOVITA’ DEL DECRETO BOLLETTE

Uno dei primi atti del nuovo governo Meloni sarà il decreto bollette, sebbene la Manovra desti più interesse per le cifre che saranno mobilitate e per le priorità che il nuovo esecutivo metterà in fila, attuando una mediazione all’interno della coalizione di maggioranza.

Il Decreto per far fronte al caro energia è stato in parte anticipato dal governo Draghi, nell’ultimo CdM prima del passaggio di consegne al nuovo esecutivo, con la proroga del taglio delle accise di 30 centesimi al litro sino al 18 novembre. Una misura che deve ora essere accompagnata da nuovi aiuti per le famiglie (bonus sociale) e le imprese (crediti d’imposta) almeno fino al mese di dicembre.

Fra i primi destinatari le imprese, che sono state letteralmente messe in ginocchio dal caro energia, cui sono destinate misure per quasi 5 miliardi al mese. Primo obiettivo dell’esecutivo sarà dunque estendere sino alla fine di dicembre il credito d’imposta riconosciuto alle imprese ed alle attività commerciali  per la spesa legata all’energia, nella forma potenziata prevista dal Decreto Aiuti Ter.

Il credito d’imposta infatti era stato già potenziato dal precedente decreto alle PMI, imprese artigiane e attività commerciali, quelle cioè con contatore da 4,5 kW rispetto ai 16,5 kW minimi previsti in precedenza.

Per le imprese dovrebbero poi essere prorogate anche le garanzie statali rilasciate da Sace per i finanziamenti richiesti per il pagamento delle fatture energetiche.

La grande novità di questo decreto, invece, dovrebbe riguardare le famiglie meno abbienti, cui è rivolto un bonus sociale rafforzato che non prevede l’uso dell’indicatore Isee , ma verrà distribuito automaticamente e con procedura semplificata.

Il problema, messo in luce più volte da Giorgetti, quando era al MISE, è arrivare a quelle famiglie che, pur avendone diritto, non hanno presentato la domanda per il bonus sociale nei mesi scorsi, perché non a conoscenza del loro diritto a percepire il contributo per ammortizzare i rincari delle tariffe.

La ratio resta quella di distribuire il bonus a chi ha più bisogno (sinora quello con Isee sotto i 12 mila euro), per combattere la povertà energetica ed aiutare le famiglie meno abbienti a pagare le bollette di luce e gas, ma senza necessità di fare domanda e senza obbligo di presentare l’Isee, usando meccanismi automatici che raggiungano coloro che ne hanno più bisogno.

Non è atteso invece il pagamento di un altro bonus una tantum da 150 euro contro l’inflazione, non tanto per un problema di fondi, che ci sono, potendo il nuovo governo attingere dal tesoretto di 10 miliardi della Nadef, ma per avere più risorse a disposizione della nuova Manovra.