Archivio mensile Ottobre 5, 2022

I CONTROLLI DA FARE PRIMA DI ACQUISTARE UN IMMOBILE

È  bene sapere che non si compra mai a scatola chiusa. Figuriamoci una casa.

Per questo motivo chi è interessato all’acquisto di una casa deve controllare almeno queste quattro cose, prima di scendere nei particolari:

  • la qualità dell’investimento;
  • se il prezzo richiesto è congruo con il bene messo in vendita;
  • se è il caso di inserire determinate clausole nel contratto preliminare e in quello definitivo;
  • se è meglio chiedere particolari garanzie al venditore su situazioni potenzialmente pericolose.

Per questo motivo, il venditore è obbligato a rendere disponibile l’immobile oggetto della compravendita affinché il potenziale acquirente possa compiere un sopralluogo e vedere da vicino la casa alla quale potrebbe essere interessato.

L’acquirente ha, inoltre, la possibilità di rivedere l’immobile con un perito di propria fiducia al fine di valutare lo stato della situazione e capire se è necessario effettuare degli interventi di ristrutturazione che andranno a incidere sul costo finale dell’immobile oggetto di compravendita.

Il potenziale acquirente ha inoltre il diritto di richiedere dei documenti urbanistici, tecnici, legali o amministrativi in modo da avere una visione più ampia dell’investimento che sta per fare.

Dal momento che non si tratta di documenti molto semplici da consultare, il potenziale acquirente può lasciare che ad esaminarli sia un professionista di sua fiducia.

È di fondamentale importanza sapere chi è il proprietario dell’immobile oggetto della compravendita, se è una persona che non ha mai avuto dei problemi in operazioni del genere e, soprattutto, se è legittimato alla vendita,  ovvero se possiede tutti i diritti di proprietà per poter concludere l’affare.

A chi sta acquistando un immobile si consiglia di controllare anche:

  • eventuali locazioni in corso, cioè se attualmente ci vive un inquilino;
  • le eventuali pertinenze, come posti auto, box, cantine, lavanderie, solai, ecc.;
  • lo stato di fatto e le risultanze planimetriche;
  • l’eventuale presenza di vincoli come ipoteche, sequestri, iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli;
  • la categoria catastale dell’immobile;
  • eventuali licenze in corso di validità, condoni o altro;
  • eventuali vizi occulti, come infiltrazioni d’acqua, difetti strutturali non visibili;
  • l’esistenza degli impianti tecnologici promessi;
  • la regolarità degli impianti;
  • il regolamento del condominio e l’eventuale presenza di condomini morosi o di contenziosi in atto;
  • il regolare versamento dei tributi locali (Imu e Tari) oltre che del pagamento delle utenze domestiche (acqua, luce, gas).

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INVESTIMENTO PEDONALE: CHI E’ RESPONSABILE?

L’art. 2054 del Codice civile sottolinea che “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone e cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

La regola del concorso di colpa paritario, dove la responsabilità del sinistro al 50% viene ripartita tra le parti, non è applicabile all’investimento di pedoni, perché riguarda esclusivamente i casi di incidente tra veicoli.

Dunque, fermo restando che anche il pedone quando si trova sulla strada ha degli obblighi di comportamento si tende ad attribuire la responsabilità del sinistro al conducente del veicolo investitore. ma ciò non avviene in automatico.

Il conducente può tutelare i propri diritti solo se riesce a dimostrare che il pedone  ha posto in essere un comportamento incauto, imprevedibile ed azzardato, che rendeva praticamente impossibile impedire lo scontro tra la persona a piedi e l’autovettura.

È importante sapere che il Codice della strada, recentemente riformato, definisce il pedone come un utente vulnerabile, al pari delle persone con disabilità, dei ciclisti e in genere di “tutti coloro i quali meritino una tutela particolare dai pericoli derivanti dalle strade”.

Per questo motivo il pedone è tutelato in maniera più intensa dai pericoli derivanti dalla circolazione stradale.

Nonostante ciò, l’art. 190 del Codice della strada impone ai pedoni una serie di obblighi di comportamento da tenere come quello di circolare sui marciapiedi o di attraversare sulle apposite strisce pedonali.

Per quanto concerne i conducenti, invece, l’art. 141 del Codice della strada impone ad essi  l’obbligo di regolare la velocità del proprio veicolo in base alla tipologia del mezzo, alle caratteristiche della strada ed alle concrete condizioni di visibilità e di traffico, in modo da evitare “ogni pericolo per la sicurezza delle persone”.

L’art. 191 del Codice della strada, inoltre, dispone una serie di precauzioni a carico del conducente e in favore dei pedoni che attraversano la strada: in particolare, essi hanno la precedenza quando transitano sugli attraversamenti pedonali o anche quando “si trovano nelle loro immediate prossimità”.

Possiamo dunque affermare che il pedone non ha sempre ragione ma in pratica quasi sempre la ragione gli viene riconosciuta, specialmente dopo le ultime modifiche rafforzative del Codice della strada, che operano in suo favore.

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FACEBOOK: QUANDO C’E’ DIFFAMAZIONE?

Secondo la giurisprudenza, mandare a quel paese qualcuno non è più un crimine, ma solo un illecito civile. Il reato massimo potrebbe essere quello di dover pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento.

Se, invece le offese avvengono davanti a tutti e in assenza della vittima, scatta allora il reato di diffamazione.

La legge precisa che la diffamazione scatta quando si offende la reputazione altrui, in assenza della vittima ma in presenza di almeno altre due persone.

Affinché si parli di diffamazione ci devono essere:

  • l’offesa alla reputazione che può avvenire in qualsiasi modo;
  • l’assenza della vittima. La persona offesa non deve essere presente al momento dell’ingiuria che gli è rivolta oppure, se presente, non deve essere in grado di percepire quanto detto.
  • la presenza di altre persone diverse dalla vittima.

Le offese su Facebook possono trasformarsi subito in diffamazione dal momento che tutti possono leggere cosa c’è scritto all’interno di una bacheca pubblica.

Tuttavia, non sempre le offese su Facebook costituiscono reato.

Ad esempio, secondo la Cassazione, non c’è reato se l’offesa è rivolta alla persona che risulta essere online dal momento che c’è presenza, seppur online. Non si può parlare di diffamazione nemmeno se il fatto avviene in una chat privata o in un gruppo chiuso Facebook. Comunicare privatamente con altri non costituisce infatti reato.

Si evidenzia come la Corte di Cassazione ha stabilito che l’intestatario della bacheca risponde delle offese a terzi che risultano pubblicate a suo nome, a meno che non si sia rivolto alle autorità per denunciare che altri ignoti se ne siano appropriati .

Secondo la Suprema Corte, infatti, affinché la condanna per diffamazione venga definita, l’omessa denuncia del furto d’identità da parte del titolare dell’account sul quale vi è stata la pubblicazione può costituire valido elemento indiziario che conferma la colpevolezza dello stesso.

Dunque non è possibile rispondere di diffamazione per l’offesa apparsa sul proprio profilo se si denuncia tempestivamente il furto d’identità.

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VOLTURA CATASTALE: COSA E’ E COME DEVE ESSERE PRESENTATA

La voltura catastale deve essere fatta dal contribuente che deve comunicare all’Erario la variazione di un determinato diritto reale su un bene immobile.

È necessario presentare la voltura entro 30 giorni dal trasferimento di proprietà o di altri diritti reali su terreni e fabbricati, come ad esempio donazioni, atti di compravendita o denunce di successione. Lo scopo di tale adempimento serve ad aggiornare le intestazioni catastali e consentire così all’Amministrazione finanziaria di adeguare le relative situazioni patrimoniali.

La domanda di voltura deve essere presentata da coloro che sono tenuti a registrare gli atti con cui si trasferiscono diritti reali su beni immobili.  

Qualora più persone sono obbligate alla presentazione, è sufficiente presentare una sola domanda di volture.

I notai e i pubblici ufficiali diversi dai notai eseguono i diversi adempimenti legati allo stesso atto immobiliare inviando online all’Agenzia un solo modello: il Modello unico informatico.

Questo modello, infatti, può contenere anche le domande di voltura catastale.

Nelle successioni ereditarie, invece, spetta a chi ha presentato la dichiarazione di successione, presentare la domanda di voltura.

Ciascuna domanda di voltura catastale può riguardare esclusivamente immobili censiti al Catasto fabbricati o al Catasto terreni situati in un unico Comune. È opportuno allegare copia, in carta libera, delle dichiarazioni di successione o degli atti civili, giudiziari o amministrativi che danno origine alla domanda.

Dopo aver registrato la dichiarazione di successione, ciascun contribuente ha trenta giorni di tempo per presentare la richiesta di voltura catastale all’ufficio provinciale.

In alternativa, la dichiarazione può essere spedita per posta raccomandata o per posta elettronica certificata all’indirizzo Pec dell’ufficio provinciale – Territorio competente.

Gli immobili devono essere indicati nella domanda di voltura con gli identificativi catastali utilizzati nella dichiarazione di successione e presenti all’attualità negli atti del catasto.

Per evitare intoppi, il consiglio è quello di, prima di redigere la dichiarazione di successione, richiedere una visura catastale e verificare che le variazioni catastali precedenti siano state regolarmente registrate nella banca dati.

L’Agenzia, una volta ricevuta la domanda di voltura, provvede ad eseguire le opportune verifiche e, se necessario, provvede alle rettifiche d’ufficio, apponendo eventualmente una riserva che viene notificata agli intestatari con uno specifico atto di accertamento.

Per presentare ogni domanda di voltura si versano 55,00 euro a titolo di tributo speciale catastale, a cui si aggiungono 16,00 euro di imposta di bollo per ogni 4 pagine della domanda.

È possibile pagare gli importi dovuti direttamente allo sportello dell’ufficio, esclusivamente con modalità diverse dal contante, utilizzando le carte di debito, o quelle prepagate, oppure apponendo sulla domanda i contrassegni denominati “marca servizi” e “marca da bollo”, disponibili presso i rivenditori autorizzati, per versare, rispettivamente, i tributi speciali catastali e l’imposta di bollo.

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COSA SI RISCHIA SE SI INVESTE UN CICLISTA?

Il reato di fuga, nel caso di incidente stradale, vale anche se si investe un ciclista.

Se poi le ferite procurate al ciclista dovessero essere giudicate gravi, è obbligo dell’automobilista chiamare al più presto i soccorsi affinché prestino le cure alla vittima. La violazione di tale dovere integra il reato di omissione di soccorso, punito con la reclusione da uno a tre anni.

Anche se l’automobilista tiene un comportamento diligente e presta soccorso in caso di investimento di un ciclista, potrebbe comunque essere ritenuto responsabile penalmente per il reato di lesioni.

Ricordiamo che questo tipo di reato scatta solo in presenza di lesioni gravi in capo al ciclista oppure, chiaramente, in caso di omicidio stradale.

La pena è proporzionata al tipo di reato commesso. Per le lesioni gravi si rischia la reclusione da tre mesi a un anno, mentre per le lesioni gravissime scatta la reclusione da uno a tre anni.

Il reato di lesioni non considera i casi, ad esempio, di un investimento fatto per distrazione, e quindi senza malafede ma per semplice colpa.

Dunque la prima cosa da fare quando si investe un ciclista è fermarsi, chiamare la polizia e attendere l’arrivo delle autorità.

Se si è convinti di avere ragione, bisogna raccogliere tutte le prove del caso come, ad esempio, dichiarazioni testimoniali e fotografie da cui si possa ricostruire l’accaduto.

È necessario, in ogni caso, procedere con la denuncia di sinistro entro i successivi tre giorni alla propria compagnia di assicurazione al fine di avvisarla dell’evento.

Ricordiamo tuttavia che, anche il ciclista, come ogni utente della strada, deve rispettare il Codice della strada.

Ciò nonostante l’automobilista è garante della sicurezza degli utenti della strada, dovendo arrivare a prevedere e prevenire anche le altrui imprudenze.

Quindi  se il ciclista viola il Codice della strada, non per questo l’automobilista è esente da colpa se poteva evitare l’incidente.

Una recente sentenza della Cassazione ha escluso ogni responsabilità in capo a un automobilista per aver investito un ciclista. Nello specifico, entrambi i veicoli circolavano a una velocità moderata , ma il ciclista non si era fermato alla linea di stop e l’investimento era stato inevitabile in quanto la sua presenza era impossibile da avvistare con anticipo in modo da evitare lo scontro con l’auto.

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LAVORATRICE IN GRAVIDANZA: COME VIENE TUTELATA?

Il decreto legislativo n. 151 del 2001, disciplina il “Testo unico a tutela della maternità e paternità”. Quest’ultimo sancisce il divieto di affidare un’attività lavorativa alla donna in gravidanza nei due mesi che precedono il parto, anche se la lavoratrice può chiedere di lavorare più a lungo se le sue condizioni lo consentono e se non ha una mansione che comporti un rischio per lei e per il bambino. Significa che, in questo caso, la lavoratrice rientrerà più tardi dal congedo obbligatorio dopo il parto.

Il datore di lavoro ha il dovere, inoltre, di rendere più agevoli le condizioni di lavoro della donna incinta, assicurandole una protezione dall’inizio della gravidanza fino ai sette mesi di età del figlio.

È inoltre assolutamente vietato, al fine della sicurezza della lavoratrice, adibire la stessa al trasporto e al sollevamento pesi, a lavori pericolosi, faticosi e insalubri.

Il datore di lavoro ha inoltre l’obbligo di analizzare le condizioni in cui operano le lavoratrici in maternità ed i rischi di esposizione ad eventuali agenti chimici, fisici e biologici. È necessario, dunque, qualora è possibile, modificare temporaneamente le condizioni della lavoratrice e l’orario di lavoro. Se ciò non è possibile bisogna affidare, temporaneamente, una mansione meno rischiosa per la futura mamma.

Ma non sol: la lavoratrice in gravidanza ha diritto a permessi retribuiti per sottoporsi ad esami prenatali o a visite mediche specialistiche.

La giurisprudenza stabilisce che, da quando la donna scopre di essere incinta fino al compimento di un anno di età del bambino è vietato adibire le donne al lavoro dalle 24 alle 6, indipendentemente dal settore di impiego.

È molto importante, infine, che il datore di lavoro comunichi alle donne in gravidanza, nel documento di valutazione sulla sicurezza sul posto di lavoro, i rischi specifici che potrebbero correre nello svolgimento della loro attività e i rimedi da adottare per azzerarli.

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SCHIAMAZZI ALL’INTERNO DI UN CONDOMINIO: QUANDO SCATTA LA DENUNCIA?

Secondo l’articolo 659 del Codice penale  che parla di «Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone»,  si può parlare di illecito penale in quanto il rumore è avvertibile potenzialmente da un numero indeterminato di persone. Non importa quanti condomini si lamentano ciò che conta, è che lo schiamazzo possa arrivare all’orecchio di molti soggetti e non solo di quelli confinanti con il vicino rumoroso.

Ciò che conta è la potenziale diffusione del rumore, indipendentemente da quante persone poi vengono effettivamente molestate.

Un esempio può essere dato dall’organizzazione di una festa sulla terrazza, con musica alta, quando questa può essere sentita da tutti i condomini dello stabile, anche se gran parte di questi non si lamentano.

Ciò che tutela, infatti, la norma penale è la quiete pubblica ossia quella della collettività.

Come comportarsi, allora, in caso di schiamazzi e disturbo della quiete pubblica?

Il reato di disturbo della quiete pubblica è procedibile d’ufficio. Dunque non è necessaria la denuncia del privato e nemmeno una raccolta firme da parte dei soggetti molestati.

Questo vuol dire che le autorità competenti possono muoversi autonomamente se vengono a conoscenza del reato.

Queste ultime possono accertare l’illecito tramite le prove testimoniali dei residenti. Anche lo stesso intervento di polizia o carabinieri, che abbiano ascoltato il frastuono, è un elemento più che sufficiente per l’incriminazione: essendo questi pubblici ufficiali, le loro attestazioni riportate nel verbale fanno piena prova e possono da sole giustificare una condanna penale.

Ricordiamo che è possibile incriminare anche un minorenne che abbia compiuto almeno 14 anni. In questo caso i genitori del minore saranno tenuti solo a risarcire i danni, non potendo questi gravare su un soggetto con meno di 18 anni.

Le sanzioni penali per questo reato consistono nell’arresto fino a 3 mesi e nell’ammenda fino a 309 euro.

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AGENZIA DELLE ENTRATE: NUOVA SANATORIA IN ARRIVO?

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha attuato diversi provvedimenti per rispondere alle difficoltà dei contribuenti e permettere a questi ultimi di saldare i debiti con l’Erario.

Uno dei provvedimenti più importanti è stato quello della rottamazione di alcune cartelle e della cancellazione di altre. Nonostante queste misure però, risultano comunque molti gli italiani indebitati che a malapena riescono a far fronte ai pagamenti.

Non è facile fare i conti con l’aumento del costo della vita, e molti contribuenti restano indietro con i pagamenti relativi alle tasse, all’imposta sul valore aggiunto o ai contributi Inps.

L’Agenzia della Riscossione si trova quindi a dover fare i conti con la grande quantità di insoluti, ma deve allo stesso tempo permettere che i contribuenti riescano a saldare quanto dovuto per far quadrare i suoi conti.  Ragion per cui potrebbe essere in arrivo una nuova rottamazione.

Moltissimi contribuenti hanno approfittato delle sanatorie passate per alleggerire il carico di pagamenti, così da riuscire anche a chiudere le pratiche insolute. Nonostante ciò, molti di loro ultimamente si sono visti recapitare nuove richieste di pagamenti relativi a debiti non rottamabili, questo poiché anche le precedenti sanatorie erano relative a specifiche situazioni in essere o non coprivano l’arco di tempo specifico.

L’Agenzia della Riscossione sta lavorando a un nuovo provvedimento che dovrebbe estendere la possibilità di sanare anche i debiti più recenti.

Nulla ancora di definito ma ciò che è certo è che ulteriori facilitazioni potrebbero essere prese in considerazione, in quanto oltre ad alleggerire il carico dei cittadini permettendo loro di pagare comodamente, faciliterebbe lo Stato al recupero dei crediti.

Senza considerare che l’Agenzia delle Entrate Riscossione si troverebbe con meno pratiche da gestire, visto soprattutto che molte pratiche fanno riferimento a debiti impossibili da riscuotere, sia per decesso del debitore o per fallimenti.

Si attende la prossima Legge di Bilancio per vedere cosa il Governo deciderà di fare.

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MUTUO E MANTENIMENTO: QUANTO IL PRIMO INFLUISCE SULL’ALTRO?

Il giudice può decidere di ridurre l’ammontare dell’assegno di mantenimento che il genitore deve versare in favore dei figli qualora questi stia già pagando un mutuo sulla casa dove la ex moglie vive insieme ai figli stessi.

Infatti, l’assegnazione della casa  garantisce un beneficio economico per l’ex coniuge. Motivo per cui, l’assegno di mantenimento per i figli deve fare i conti con le effettive capacità reddituali del soggetto obbligato.

Il giudice deve anche impedire che il coniuge titolare del mutuo possa risultare moroso nel pagamento delle rate, subendo così il pignoramento della casa da parte dell’istituto di credito che aggraverà le condizioni economiche dell’obbligato.

Dunque, l’ammontare del mantenimento dei figli deve tener conto di una valutazione comparativa della capacità economico reddituale delle parti. L’ammontare degli alimenti deve essere infatti proporzionale a tale capacità.

Bisogna poi tener conto anche delle capacità della donna che non lavora: se questa risulta ancora giovane e in grado di produrre reddito alla luce dell’età, il mantenimento potrebbe essere addirittura escluso.

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IL PRODOTTO E’ IN GARANZIA MA MANCA LO SCONTRINO: COME FARE?

Come fare se vogliamo far valere la garanzia del nostro prodotto che risulta difettoso ma non troviamo lo scontrino?  

Per esercitare il diritto di garanzia nei confronti del venditore, il Codice del consumo (art. 128 e seguenti) considera sufficiente dimostrare di aver acquistato il prodotto presso il rivenditore a cui il consumatore si rivolge, non oltre due anni dalla consegna del prodotto.

 Il Codice del consumo, infatti, non fa espresso riferimento all’esibizione dello scontrino come requisito necessario per l’esercizio del diritto di garanzia. È semplicemente necessario dimostrare la data dell’acquisto.

La legge definisce come il consumatore, al fine di dimostrare l’acquisto, possa utilizzare anche altri mezzi documentali o orali che consentano di dimostrare che il bene sia stato acquistato presso il rivenditore e in data certa.

Un esempio sono le ricevute di bancomat o carta di credito, la testimonianza di una persona presente al momento dell’acquisto, il libretto di garanzia firmato dal venditore, la registrazione dell’acquisto sulla carta fedeltà.

È bene dunque ricordarsi che il rifiuto dell’addetto alle vendite, la presenza di una clausola contenuta nel contratto d’acquisto o nelle condizioni di vendita limitativa dell’esercizio del diritto di garanzia, l’esibizione di un cartello in negozio che obbliga a presentare lo scontrino e altre situazioni simili non sono cause giustificative a non far valere la nostra garanzia.

Nonostante quanto disciplinato dalla giurisprudenza, lo scontrino è il documento fiscale più utile da far valere in caso di garanzia dal momento che contiene tutta una serie elementi utili ad attestare in maniera immediata l’effettuazione di una spesa.

È sempre bene conservarlo e di fare, in via precauzionale una fotografia o una fotocopia. Addirittura esistono applicazioni che permettono di conservare la fotografia dello scontrino nel tempo.

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