Il venir meno delle distinzioni previste ai fini dell’accesso all’esenzione dal pagamento del ticket sanitario è avvenuto con l’emanazione del decreto legislativo n. 150/2015 . Questo, infatti, ha equiparato le situazioni di chi non ha precedentemente svolto un’attività lavorativa ed è alla ricerca di impiego e di chi ha perso il lavoro.
Tra coloro che possono beneficiare dell’esenzione dal pagamento del ticket sanitario ci sono i titolari di redditi bassi e, in merito ai disoccupati, la soglia è fissata a 8.263,31 € , importo che sale a 11.362,05 € in presenza del coniuge e di ulteriori 516,46 € euro per ogni figlio a carico.
La sentenza del Consiglio di Stato pubblicata il 13 luglio 2022 fa chiarezza sulla platea dei beneficiari dell’agevolazione e a seguito dell’abrogazione del d.lgs. 181/2000 evidenzia che è ormai superata la distinzione tra disoccupato ed inoccupato.
L’articolo 19 del decreto legislativo n. 150/2015 ha previsto che:
“Sono considerati disoccupati i lavoratori privi di impiego che dichiarano in forma telematica al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’art. 13 la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro dell’impiego.”
Cambiano dunque i criteri per l’individuazione della platea dei destinatari dell’esenzione del ticket sanitario per reddito e il Ministero della Salute si è quindi rivolto al Consiglio di Stato nel 2017 evidenziando la questione e le possibili ricadute sul fronte della copertura finanziaria.
La sentenza del 13 luglio 2022 pone in luce la necessità di una revisione normativa. Si richiede una modifica legislativa che, dopo anni, adegui la normativa alla luce delle nuove regole in materia di disoccupazione previste dal Jobs Act.
A dicembre scade la modalità per andare in pensione in anticipo attraverso lo strumento introdotto dal Governo Draghi che permette il pensionamento con 64 anni d’età e 38 di contributi.
Ultimi 3 mesi a disposizione, dunque, per maturare il diritto alla prestazione con queste modalità, prima di tornare ai requisiti previsti dalla Legge Fornero, 67 anni e 20 di contributi.
Cosa cambierà dal 2023?
Il Governo nato dalle elezioni del 25 settembre 2022 sarà chiamato a formulare una nuova riforma pensionistica.
A partire da gennaio 2023, chi è in possesso dei requisiti previsti da Quota 100 e 102 potrà beneficiare dell’uscita agevolata, mentre gli altri a meno che non arrivi una nuova riforma dovranno maturare i requisiti previsti dalla Legge Fornero.
La riforma delle pensioni è stato uno dei temi centrali della campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre 2022, e più o meno tutti i partiti hanno presentato le loro proposte.
La coalizione di centrodestra, formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia che ha vinto con una maggioranza schiacciante si trova d’accordo nella necessità di innalzare le pensioni minime.
Il partito guidato da Giorgia Meloni, non fornisce ancora possibili cifre, ma le risorse potrebbero arrivare dalle modifiche alle misure esistenti come il reddito di cittadinanza. Tuttavia, questo partito ha proposto di interrompere l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e il rinnovo di Opzione Donna.
La Lega, invece, supporta l’introduzione di Quota 41, la pensione anticipata con 41 anni di contributi versati, la pensione di vecchiaia a 63 anni con almeno 20 di contributi e il rinnovo dell’Ape Sociale. Per le donne inoltre, l’abbassamento di un anno dell’età pensionabile per ogni figlio.
Il Movimento 5 Stelle, invece, per le pensioni propone l’uscita dal lavoro a 62 anni o 41 di contributi.
Ciò che è evidente dalla relazione annuale dell’INPS, indipendentemente dalle nuove proposte pensionistiche, è che c’è bisogno di più lavoro retribuito adeguatamente dal momento che emerge un’insostenibilità del sistema pensionistico .
Aspettiamo, dunque, le direttive del nuovo Governo.
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