La recente giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense ha rammentato che l’obbligo di diligenza da osservare nell’adempimento dell’incarico impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento dell’incarico che nel corso del suo svolgimento, ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, rappresentando tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato (CNF 34/2021), l’onere della prova della condotta incombe sul professionista, in quanto deve ritenersi insufficiente il rilascio da parte del cliente di procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi.
L’art. 27 del Codice di deontologia forense prevede l’obbligo dell’avvocato di informare il cliente anche in ordine ai percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, alle iniziative assunte e alle ipotesi di soluzione.
Il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 95/2022 conferma la sanzione irrogata all’avvocato, che ha intrapreso arbitrariamente l’azione di merito per responsabilità medica dopo l’ATP anche se la cliente dichiara di aver comunicato la volontà di volersi prendere una “pausa di riflessione “per decidere se proseguire o meno con l’azione giudiziaria. Travalicati in questo modo i limiti del mandato e violato il dovere di informazione che grava sull’avvocato ai sensi dell’art. 27 del Codice di Deontologia Forense. Corretta la sanzione della sospensione dall’attività per un anno.
Una signora presenta un esposto al Coa di Messina e racconta di essersi rivolta a un avvocato per farsi difendere in una causa di malasanità. L’avvocato, a suo dire, ha intrapreso inizialmente una procedura di mediazione e poi una causa civile, anche se la stessa ha conferito mandato al professionista solo in ordine a un accertamento tecnico preventivo.
Al termine dall’istruttoria il Consiglio Distrettuale di Disciplina contesta al legale la violazione degli articoli 9, 10 e 50 del Codice deontologico per aver intrapreso azioni per le quali la cliente non aveva conferito mandato, falsificando a tal fine addirittura la firma della signora e travalicando quanto stabilito nel mandato difensivo.
Il difensore veniva quindi condannato alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di un anno.
L’avvocato nel ricorrere al CNF chiede la riforma della decisione per mancata e completa valutazione delle prove prodotte e per assente volontarietà dell’azione.
Il legale sostiene di aver agito con correttezza perché la procura conferita era generale e non limitata all’accertamento tecnico preventivo. Da qui la legittimazione ad avviare anche la successiva fase di merito. Eccepisce poi il difetto di volontarietà dell’azione, perché non ha introdotto in giudizio, in modo consapevole o inconsapevole, atti falsi, stante il conferimento, come già ribadito, della procura generale.
Il CNF respinge impugnazione dell’avvocato perché infondata.
Provato infatti il rilascio della procura alle liti limitatamente al procedimento di accertamento tecnico preventivo visto che la cliente, dopo il deposito della relazione medica, ha comunicato al difensore di volersi prendere una “pausa di riflessione” per decidere se proseguire o meno l’azione.
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