Archivio mensile Ottobre 31, 2022

LE NOVITA’ SUL CONGEDO PARENTALE PER I LAVORATORI A CUI SONO AFFIDATI I FIGLI

Con la circolare numero 122 del 27 ottobre 2022, l’INPS definisce le novità circa il congedo di paternità e maternità per i lavoratori autonomi, soffermandosi anche sul caso particolare in cui la cura dei figli e delle figlie sia affidata a una persona sola.

Grazie alle novità introdotte, il periodo massimo di congedo parentale che spetta alla madre o al padre con un contratto di lavoro dipendente nel settore privato che si occupa dei figli in via esclusiva è passato da 10 a 11 mesi. Mentre per 9 mesi si ha diritto anche a un’indennità del 30 per cento della retribuzione, per i restanti due mesi, invece, non si ha diritto ad alcuna indennità, ad eccezione di coloro che hanno un reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.

Si può usufruire del congedo entro i 12 anni di vita o dall’ingresso in famiglia del bambino o della bambina.

La circolare INPS precisa che: “nel caso in cui sia stato disposto, l’affidamento esclusivo del figlio a un solo genitore, a quest’ultimo spetta in via esclusiva anche la fruizione del congedo indennizzato riconosciuto complessivamente alla coppia genitoriale. In quest’ultimo caso, l’altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato e il provvedimento di affidamento è trasmesso all’INPS a cura del Pubblico Ministero”.

Il recepimento della direttiva UE 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza che ha preso forma con il decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 ha introdotto importanti novità sul congedo parentale rivedendo in più punti il Testo Unico sulla maternità e paternità.

Le novità sono entrate in vigore dallo scorso 13 agosto. Un’attenzione particolare è stata riservata proprio alla madre o al padre che si trova a prendersi cura dei figli o delle figlie senza l’altro genitore.

Come già precisato dall’INPS con il messaggio n. 3066/2022, non sono stati ancora fatti gli aggiornamenti informatici necessari per adeguare la procedura di domanda alle novità.

È in ogni caso già possibile beneficiare delle tutele nella loro versione più ampia presentando richiesta al proprio datore di lavoro e regolarizzando successivamente l’istanza tramite il portale INPS.

QUOTA 102 FLESSIBILE  E QUOTA 103: LE ULTIME NEWS DEL GOVERNO MELONI

Il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni lavorerà presto su uno dei temi più urgenti per il nostro Paese ovvero la riforma delle pensioni.

La Quota 102 è ormai in scadenza a fine anno e, in assenza di nuovi interventi, il 1 gennaio 2023 sarebbe ripristinata la legge Fornero.

Si parla di pensionamento con 41 anni di contributi per tutti, come prevede la norma originaria. Ma il limite di età varia al fine di limitare la platea di chi realmente ne potrà beneficiare. Sembrerebbe che l’età minima per poter andare in pensione con quota 41 potrebbe essere 62 anni, diventando così una sorta di quota 103.

Si comincia a parlare di “Quota 102 flessibile”. Essa dovrebbe prevedere il pensionamento tra i 61 e i 66 anni, con almeno 35 anni di contributi, purché la somma faccia comunque 102. Finora, si poteva andare in pensione solo con 64 anni più 38 di contributi, nella nuova versione sarebbe possibile anche con tutte le combinazioni fra 61 e 66 anni di età e fra 35 e 41 anni di contributi. Sarebbe una buona soluzione che permetterebbe di scongiurare il ritorno alla legge Fornero e di non compromettere l’equilibrio dei conti pubblici.

Secondo i calcoli, però, la proposta appena descritta costerebbe al nostro Paese circa 5 miliardi l’anno in un triennio.

Al momento la strada più facilmente percorribile sarebbe quella di un’operazione in più tappe che nel 2023 veda Quota 41 associata a un requisito anagrafico minimo ovvero quello di 61 o 62 anni. Si partirebbe dunque con una Quota 102 o 103 di fatto, seppure in versione rivista rispetto allo schema introdotto dal governo Draghi per il 2022 .

L’obiettivo sembra quello di dare un’alternativa alle Legge Fornero che invece prevede l’età pensionabile a 67 anni.

PRECEDENZA IN ROTATORIA: LE REGOLE CHE NON TUTTI CONOSCONO

Secondo diversi studi la rotatoria consente di ridurre il numero di incidenti e la gravità della collisione oltre a  ridurre il consumo della benzina e del diesel e a contenere i costi di manutenzione. La stessa Unione Europea incentiva i Paesi a ricorrere all’utilizzo della rotatoria per migliorare la circolazione stradale.

Tuttavia non tutti gli automobilisti hanno ben chiaro come funzioni la precedenza in rotatoria. Non tutti sanno come dare la precedenza agli altri automobilisti in transito nella rotonda.

Mettiamo subito in chiaro che la presenza di una rotatoria non prevede che ci si debba obbligatoriamente fermare come nel caso di un semaforo rosso.

Infatti, la rotatoria ha l’obiettivo di agevolare e semplificare il traffico e la circolazione stradale, aumentando la sicurezza e riducendo il rischio di incidenti stradali.  Essa consente di eliminare i semafori e gli incroci pericolosi.

Ma come utilizzare le frecce all’interno di una rotatoria?

Il Ministero dei Trasporti specifica che quando si entra con la propria vettura all’interno della rotatoria non è necessario l’utilizzo delle frecce. La freccia deve essere azionata solo nel caso in cui si voglia impiegare la prima uscita a destra. L’indicatore di direzione dovrà essere in ogni caso azionato con largo anticipo per consentire agli altri automobilisti di controllare le intenzioni ed i comportamenti.

Come funziona, invece, la precedenza all’interno di una rotatoria?

È importante distinguere tra rotatoria nazionale e comunitaria. In Italia la precedenza spetta a chi viene da destra. Pertanto, le vetture in transito nella rotonda devono darla a coloro che procedono ad entrare. Per quanto concerne la rotatoria comunitaria la precedenza spetta agli automobilisti che sono già in transito all’interno della rotonda. Le auto che vogliono entrare nella rotatoria devono rallentare o fermarsi per dare la precedenza. È sempre necessario regolare la velocità e controllare il comportamento degli altri.

Quando è possibile essere multati?

Attraverso i dispositivi di controllo video è possibile individuare i trasgressori che violano le regole relative al buon funzionamento ed alla corretta circolazione nella rotatoria. Nel caso in cui non si rispetti la precedenza o si trasgredisca ogni altra regola del codice della strada scatta la sanzione, il cui importo varia da oltre 160 euro fino a 700 euro. Un’ammenda davvero salata che può comportare anche la decurtazione di cinque punti sulla patente di guida. Ma attenzione: la sospensione della patente si avrà solo nel caso in cui l’infrazione si ripresenta per la seconda volta.

AGEVOLAZIONI LEGGE 104 PER GLI ABBONAMENTI DI TELEFONIA: COSA C’E’ DA SAPERE?

L’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha allargato la platea di persone che hanno diritto a dei benefici riguardanti le tariffe di telefonia a casa.

Si tratta dei soggetti affetti da disabilità che hanno problemi a deambulare e quelli ai quali è riconosciuta la 104.

I soggetti appena citati sono esonerati dal pagamento del canone di abbonamento e hanno diritto a centottanta ore di navigazione web gratis. Quest’ultima agevolazione è possibile se parliamo di navigazione  con tipologia a consumo.

La legge definisce che coloro che hanno una disabilità riconosciuta possono ricevere un’agevolazione del cinquanta per cento sull’abbonamento alla rete web, sulla linea fissa ed anche quella del cellulare.

Queste agevolazioni possono essere utilizzate anche sulla  rete mobile.

Per poter ricevere le agevolazioni appena descritte è opportuno farne richiesta.

Purtroppo, per richiedere le agevolazioni sulla rete di casa sembra sia troppo tardi in quanto era possibile farlo entro il 30.04.2022.

Non è tardi, però, per continuare a richiedere le agevolazioni per la linea del proprio cellulare per chi possiede la Legge 104. È necessario redigere la richiesta quando si decide di firmare un contratto con un’azienda di telefonia.

Il modulo da compilare deve essere messo a disposizione dall’azienda telefonica. Alla richiesta sarà necessario aggiungere un certificato redatto dal medico in cui si fa presente la disabilità del soggetto.

Per vedere attiva l’agevolazione potrebbero passare fino a trenta giorni dalla richiesta, mentre per fare domanda c’è tempo fino al 31.12.2022.

I POSSIBILI INTERVENTI DEL NUOVO GOVERNO CONTRO IL CARO BOLLETTE

Molti contribuenti attendono con ansia i primi interventi del governo Meloni su un argomento ormai all’ordine del giorno, ovvero quello del caro bollette.

Si pensa, infatti, che le nuove proposte riguarderanno soprattutto le imprese. Ad esse continuerà ad essere riconosciuto del credito d’imposta. L’obiettivo è sempre quello di cercare di attenuare il peso delle fatture con importi triplicati che hanno portato molte attività a rischio chiusura.

Si tratta di una misura che al Governo costa poco meno di cinque miliardi e che dovrebbe essere finanziata con il tesoretto avanzato dai conti pubblici grazie al deficit inferiore alle attese: circa 10 miliardi a disposizione. Il credito d’imposta per l’energia elettrica verrà erogato nei confronti di  imprese che hanno registrato aumenti almeno del 30% rispetto all’abituale esborso per le forniture.

Cosa è invece previsto per i consumatori?

Saranno previsti dei bonus sociali, già erogati in precedenza dal governo Draghi ma con un’eccezione: si sta pensando, infatti, di non considerare il parametro Isee che ha reso in qualche caso difficile l’individuazione della platea realmente bisognosa.

Il nuovo parametro utilizzato riguarderebbe, infatti, il reddito effettivo dei contribuenti e non quello che fa riferimento a due anni addietro.

Nuova novità dovrebbe essere quella di inserire una moratoria di sei mesi per le fatture non saldate. Si cerca in questo modo di superare il periodo più complicato, in attesa di una primavera in cui i consumi calino e anche i prezzi facciano registrare un ripiego.

Il nuovo governo sta pensando anche ad un intervento nei confronti dei più giovani: si pensa di introdurre un ulteriore aiuto nei confronti delle coppie under 35 che intendono acquistare la prima casa.

Ma ci saranno risorse sufficienti per far fronte a tutto questo? Si cercherà di trovare una soluzione anche per far quadrare i conti dello Stato e allo stesso tempo far fronte a questo inevitabile problema che sta vedendo già la chiusura di storiche attività nei diversi Paesi e che sta mettendo in ginocchio quasi tutti i contribuenti.

Il governo è già al lavoro.

SPESE CONDOMINIALI: QUANDO VANNO IN PRESCRIZIONE?

Secondo il  nuovo art. 1129, comma 9, c.c., qualora ci siano dei condomini morosi all’interno di un condominio, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.

Inoltre, l’amministratore è anche tenuto a redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e a convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni.

Ma quali sono le spese oggetto di prescrizione?

Tra le spese che possono essere oggetto di riscossione forzosa rientrano anche le spese ordinarie, ovvero i pagamenti periodici relativi alle spese fisse per la pulizia ed ordinaria manutenzione del fabbricato condominiale. Esse hanno un termine di prescrizione di cinque anni ai sensi dell’art. 2948 c.c.

Diversamente invece, le spese straordinarie, hanno un periodo di estinzione di dieci anni ai sensi dell’art. 2946 c.c..

Da quando decorrono i termini di prescrizione?

La legge ci dice che l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali

sorge per effetto della delibera assembleare.

C’è invece un’altra parte della giurisprudenza che afferma come l’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, sorge soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 c.c., n. 3.

Nel 2008 il decreto Calderoli  ha affermato, col D.L. n 112/2008 che il termine quinquennale di prescrizione delle spese condominiali vale sia per i rapporti tra condominio e condomino che per quelli tra conduttore e locatore.

Ovviamente questa legge non ha potuto avere effetto retroattivo, per cui non ha potuto avere effetto sui rapporti giuridici già dissolti.

Ricordiamo che il termine quinquennale di prescrizione decorre dalla data in cui l’assemblea del condominio ha approvato il bilancio consuntivo ed il riparto delle spese tra i condomini. Soltanto in quel momento si potrà formare il debito del condomino o il credito del condominio nei confronti del condomino.

BONUS 800 EURO PER GENITORI SEPARATI E DIVORZIATI: COME FARE PER OTTENERLO?

Il 26 ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo che concede ai genitori separati o divorziati di ottenere un bonus di € 800 finalizzato a garantire il mantenimento dei figli minori.

Ad aver diritto al bonus sono i genitori separati o divorziati che devono provvedere al mantenimento dei figli conviventi minorenni o maggiorenni con handicap grave, e che non hanno ricevuto l’assegno a causa dell’inadempienza dell’ex partner e genitore del figlio.

Il bonus è riconosciuto in caso di inadempienze legate a difficoltà collegate all’emergenza Covid come in caso di cessazione, riduzione o sospensione dell’attività lavorativa dell’ex, a decorrere dall’8 marzo e per almeno 90 giorni; o di riduzione del reddito pari almeno al 30 per cento rispetto a quello percepito nel 2019.

Il richiedente potrà beneficiare del bonus esclusivamente in caso di reddito inferiore o uguale all’importo di 8.174 euro.

Ad aver diritto al bonus sono quindi i genitori con reddito basso e che non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento, o l’hanno ricevuto in misura parziale, nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 marzo 2022, data di cessazione dello stato di emergenza Covid.

L’importo da erogare è parametrato a quello non versato dell’assegno di mantenimento di cui è titolare il richiedente, fino ad un massimo di 800 euro al mese e per 12 mensilità.

Al fine dell’erogazione bisognerà considerare il numero dei beneficiari e le risorse complessivamente disponibili, pari a 10 milioni di euro.

Sarà possibile fare domanda mediante il portale del Dipartimento per le politiche della famiglia.

Si attende quindi che venga lanciata la relativa piattaforma per capire in che modo procedere.

EREDITA’ CON BENEFICIO D’INVENTARIO: QUALI EFFETTI PRODUCE?

Il beneficio è un’opzione che viene fatta per evitare di essere costretti a rispondere con il proprio patrimonio delle passività lasciate dal defunto quando queste sono superiori all’attivo.

Questa soluzione conviene quando i debiti sono più consistenti del valore dei beni da ereditare o anche solo quando si ha questo vago sospetto.

L’opzione del beneficio d’inventario diviene obbligatoria quando il chiamato all’eredità è una persona giuridica o incapace. In particolare, i genitori del minore e il tutore dell’interdetto possono accettare le eredità devolute a tali soggetti solo con beneficio d’inventario, previa autorizzazione del giudice tutelare.

Allo stesso modo gli inabilitati e gli emancipati possono, con l’assistenza del curatore, accettare le eredità solo con beneficio di inventario, sempre avendo chiesto prima il nulla osta del giudice tutelare. Lo stesso viene chiesto, di norma, al minore emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale.

È bene però sapere che il minore, una volta diventato maggiorenne, non può rinunciare all’eredità a suo tempo accettata per lui con beneficio d’inventario.

Infine, anche le persone giuridiche, le associazioni, le fondazioni e gli enti non riconosciuti sono obbligati a fare questa scelta. In caso contrario, l’accettazione si ha come non avvenuta. Tuttavia, recentemente, è stato precisato che il mancato compimento dell’inventario non determina un’irrimediabile situazione di decadenza dal diritto di accettare l’eredità, essendoci l’opportunità, entro dieci anni, di accettare di nuovo l’eredità con beneficio di inventario.

Quando si accetta Per accettare un’eredità con il beneficio dell’inventario bisogna sottoscrivere una dichiarazione davanti ad un notaio o al cancelliere del tribunale nella cui circoscrizione si è aperta la successione.

Successivamente la dichiarazione verrà inserita nel Registro delle successioni presso la cancelleria del tribunale del luogo di apertura della successione.

La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall’inventario nelle forme prescritte dal Codice di procedura civile. La mancata predisposizione esclude il conseguimento del beneficio fin dall’inizio. Significa che, finché l’inventario non viene completato, il chiamato non diventa a tutti gli effetti «erede».

Parliamo di un atto pubblico che contiene l’elenco e la descrizione dei beni ereditari, nonché la loro valutazione. Il compimento è soggetto a pubblicità mediante l’inserzione nel Registro delle successioni ma non va trascritto nei registri immobiliari.

Alla redazione dell’inventario occorre procedere anche se non c’è alcun bene da ereditare. In tal caso, basterà dichiarare l’assenza di beni ereditari.

Se il soggetto si trova in possesso dei beni ereditati sarà necessario procedere con l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità. Se alla scadenza l’inventario è stato iniziato ma non finito, c’è la possibilità di chiedere al tribunale altri tre mesi di proroga.

Quando, invece, il chiamato non è in possesso dei beni ereditari, ha tempo per fare l’inventario fino al termine della prescrizione del diritto di accettazione, cioè dieci anni, oppure fino alla data stabilita dal giudice.

Come abbiamo già detto, accettare un’eredità con beneficio dell’inventario permette di tenere separato il patrimonio del defunto da quello personale dell’erede.

L’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari. Pertanto, egli potrà rispondere nei confronti dei creditori ereditari non soltanto entro i limiti del valore dell’asse ereditario ma anche con i soli beni dell’eredità.

A CHI SPETTA L’OBBLIGO DI RISARCIMENTO IN CASO DI INCIDENTE PER STRADA DISSESTATA?

Il Codice della strada ci dice che l’automobilista deve sempre essere prudente e prestare attenzione al manto stradale. In caso dunque, di incidente per strada dissestata, il risarcimento può essere accordato solo se si tratta di un pericolo non facilmente visibile usando l’ordinaria diligenza.

Chi è alla guida del mezzo deve poter prevedere le situazioni di pericolo e porsi nella condizione di evitare incidenti stradali;

Se si tratta di persone che hanno già percorso una determinata strada, queste devono anche conoscere le condizioni di pericolo della stessa e adottare maggiore cautela.

Secondo la giurisprudenza, l’automobilista non può limitarsi a rispettare le regole scritte, sancite dalla segnaletica stradale, ma deve anche adottare i comportamenti che, in relazione alle concrete circostanze di tempo e luogo, appaiano necessari per scongiurare incidenti. Si tratta di un generale dovere di prudenza rivolto a tutelare l’integrità fisica degli altri utenti della strada.

Alla luce di quanto appena detto,  in caso di incidente determinato da una insidia stradale, laddove le dimensioni dell’insidia e la visibilità della strada consentano di accorgersi in anticipo del pericolo, non è dovuto alcun risarcimento.

Se ci troviamo di fronte ad una strada chiaramente dissestata o ciò si può prevedere dalla presenza della segnaletica, dobbiamo rallentare la marcia oltre i normali limiti imposti dalla segnaletica e prestare un’attenzione superiore a quella dovuta in un qualsiasi altro tratto.

Quando parliamo di risarcimento per strada dissestata vengono presi in considerazione diversi parametri quali la dimensione dell’insidia o l’illuminazione della strada. È molto importante sapere se l’automobilista conoscesse già i luoghi percorsi e dove il dissesto è collocato.

Il risarcimento può inoltre, essere ridotto, con un concorso di colpa, quando il conducente è corresponsabile per l’incidente nel caso ad esempio di superamento dei limiti di velocità.

Per il resto è bene sapere che il Comune è tenuto alla manutenzione della strada ed è responsabile dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’automobilista danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale valutazione, bisogna tener conto che quanto più il pericolo può essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più è esclusa la responsabilità del titolare della strada.

Stesso principio viene adottato anche per i pedoni. Infatti non spetta alcun risarcimento al pedone per i danni conseguenti a una caduta dovuta alla presenza di un dissesto del marciapiede, qualora il danno sia riconducibile alla disattenzione del soggetto.

La responsabilità del Comune viene esclusa anche quando, in ragione della giovane età del danneggiato, questi, con un comportamento diligente, può agevolmente evitare l’insidia tramite una rapida manovra.

E’ POSSIBILE NON PAGARE LE TASSE SE SI HANNO CREDITI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?

Spesso il titolare di un’attività si trova dinanzi all’alternativa tra il versare le imposte oppure le retribuzioni dei dipendenti, non avendo le disponibilità economiche per adempiere ad entrambi gli obblighi. Su questo argomento la Cassazione ha affermato la priorità delle obbligazioni fiscali, anche a costo di bloccare la produzione aziendale. Ma in presenza di crediti non riscossi con la pubblica amministrazione è lecito non pagare le tasse?

Se si considera il caso di un’azienda che opera nel campo della sanità o dei trasporti che vanta un grosso credito nei confronti della Regione e che è impossibilitata a pagare le imposte. Potrebbe essere questa una giustificazione per evitare quantomeno le sanzioni collegate all’omesso o ritardato versamento dei tributi? Secondo la Suprema Corte il ritardo della P.A. non è un evento così imprevedibile da poter rientrare nel concetto appunto di “forza maggiore”.

Per questo motivo, la situazione di carenza di liquidità derivante dai ritardi, anche notevoli, dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni non integra la forza maggiore che legittima la non sanzionabilità della violazione tributaria.

Anche per le sanzioni tributarie, infatti, la forza maggiore va riferita a un avvenimento imponderabile che annulla ogni potere del contribuente. Mentre l’imprenditore ben potrebbe far ricorso al credito bancario per far fronte alle obbligazioni tributarie se è vero che, prima o poi, riscuoterà i crediti della pubblica amministrazione.

In relazione al reato di omesso versamento delle ritenute, non può essere invocata la crisi di liquidità per escludere la colpevolezza del contribuente, ove questi non dimostri che detta crisi non potesse essere altrimenti superabile. Deve trattarsi quindi di una impossibilità oggettiva, sottratta a qualsiasi prevedibilità ed evitabilità. Inoltre l’imprenditore deve dimostrare che la crisi economica non solo non è imputabile all’imprenditore ma anche che non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure.

Quindi chi intende invocare la forza maggiore deve provare che non gli sia stato in alcun modo possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto versamento dei tributi, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale