Archivio mensile Settembre 25, 2022

CONDOMINIO INDEBITATO: COSA RISCHIANO I CONDOMINI?

Cosa succede se un condomino non paga? Non avendo il condominio una personalità giuridica, dei debiti del condominio rispondono direttamente i proprietari dei vari appartamenti.

Ma a quali condizioni?

Se un condominio non paga i debiti, il relativo creditore può rivolgersi al giudice e far emettere un  decreto ingiuntivo. Quest’ultimo viene notificato all’amministratore di condominio che ha l’obbligo di convocare l’assemblea per informare gli altri condomini.

Le legge da al condominio 40 giorni di tempo per pagare o effettuare un ricorso laddove tale pagamento non sia dovuto. Se, invece, il debito è accertato ma nelle casse del condominio non ci sono soldi a sufficienza per rispettare agli impegni contrattuali, il creditore può avviare il pignoramento dei beni del condominio, preceduto dalla notifica di un ultimo avviso, il cosiddetto atto di precetto. Quest’ultimo lascia al condominio altri 10 giorni per pagare prima dell’avvio delle azioni esecutive.

Ma quali beni possono essere pignorati?

Il creditore non è tenuto ad aggredire prima i beni del condominio, potendo rivolgersi subito nei confronti dei singoli condomini che, come detto in apertura, sono tutti titolari dei debiti assunti dall’amministrazione.

È da evidenziare come i beni del condominio pignorabili si riducano solo al conto corrente ove l’amministratore deposita mensilmente le quote condominiali versate dai singoli condomini.  Tuttavia, in presenza di morosità, è supponibile che il conto potrebbe essere incapiente: se così non fosse, non ci sarebbero altri motivi per non pagare il creditore.

Se l’amministratore, in presenza di un conto corrente che possa far fronte alle relative spese, non vi provvedesse, sarebbe personalmente responsabile.

Dunque il creditore è libero di scegliere di pignorare il conto del condominio ma può anche rivolgersi direttamente ai singoli condomini, per pignorare i beni di questi ultimi.

Ma in che modo può tutelarsi il condomino in caso di pignoramento?

Per evitare che a rimetterci siano i condomini puntuali nei pagamenti, la legge prevede che il creditore che vuol agire contro i condomini deve prima rivolgersi contro i morosi, quelli cioè che non hanno pagato le quote condominiali a cui si riferiva la fattura rimasta insoluta e che ha dato origine all’azione esecutiva. A dare l’elenco dei morosi al creditore è obbligato l’amministratore di condominio. Se questo non fornisce tali indicazioni, il creditore può imporgliele ricorrendo al giudice.

Attenzione però: il creditore non può chiedere al singolo condomino l’integrale pagamento del debito condominiale. Ciascuno infatti risponde solo nei limiti dei propri millesimi di proprietà, sia che si tratti dei condomini morosi che di quelli virtuosi.

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COME RIDURRE IL COSTO COMPLESSIVO DEL GAS: ALIQUOTA IVA AGEVOLATA ANCHE PER L’ULTIMO TRIMESTRE DEL 2022

A seguito dell’emergenza dovuta dalla guerra in Ucraina, che ha messo in crisi l’intero Paese, l’Agenzia delle Entrate ha introdotto “Misure urgenti per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico e del gas naturale”. In particolare è stata emanata una norma temporanea in merito alla corretta aliquota IVA da applicare alle diverse componenti addebitate in bolletta agli utenti finali.

In particolare, l’agenzia si è soffermata sul trattamento IVA delle operazioni diverse da quelle di somministrazione di gas naturale, quali i servizi accessori o la quota fissa.

Nello specifico, l’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 130 del 2021 deroga temporaneamente a quanto stabilito al riguardo dal Decreto IVA poiché prevede letteralmente che «le somministrazioni di gas metano usato per combustione per usi civili e industriali (…), sono assoggettate all’aliquota IVA del 5 per cento».

La misura agevolativa è stata più volte prorogata, e da ultimo con l’articolo 1- quater del Decreto Legge 17 maggio 2022 n. 50, convertito dalla legge 15 giugno 2022 n. 91 il legislatore ha sostanzialmente esteso il medesimo trattamento agevolato, anche per il terzo trimestre 2022 e ad ottobre, novembre e dicembre 2022 con l’art 5 del DL 115/2022.

Anche l’articolo 1-quater del d.l. n. 50 del 2022, stabilisce, al comma 3, che «al fine di contenere, per il terzo trimestre dell’anno 2022, gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore del gas naturale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5, l’ARERA mantiene inalterate le aliquote relative agli oneri generali di sistema per il settore del gas naturale in vigore nel secondo trimestre del 2022».

Inoltre, nei successivi commi, si specifica che per contenere ulteriormente gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore del gas naturale per il terzo trimestre dell’anno 2022, “l’ARERA provvede a ridurre, ulteriormente rispetto a quanto stabilito dal comma 3, le aliquote relative agli oneri generali di sistema nel settore del gas fino a concorrenza dell’importo di 240 milioni di euro, con particolare riferimento agli scaglioni di consumo fino a 5.000 metri cubi annui”.

Insomma, il legislatore si impegna per cercare di ridurre il più possibile il costo della bolletta a carico del contribuente.

È importante che l’aliquota agevolata del 5% venga applicata all’intera fornitura del gas resa all’utente finale e contabilizzata nelle fatture emesse relativamente al periodo in cui resterà in vigore la norma temporanea. Essa verrà applicata indipendentemente dal consumo fatturato da ciascun contribuente.

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LAVORO IN NERO: COME DENUNCIARLO?

Nel nostro Paese sono tanti orami i lavoratori che, pur di portare a casa qualche euro per il mantenimento della famiglia, accettano condizioni lavorative non regolamentate. Questa  scelta però, oltre a porre i lavoratori in una condizione di svantaggio, causa un danno non indifferente all’economia italiana.

Non è facile fare una stima di quanti lavoratori non denunciati abbiano perso la vita mentre lavoravano. È bene sapere che, alle loro famiglie, le associazioni previdenziali non riconoscono nemmeno un indennizzo.

E allora cosa fare e come denunciare un posto di lavoro a nero?

Per denunciare una situazione di lavoro non regolamentata è necessario rivolgersi all’ufficio dell’Ispettorato provinciale del Lavoro o effettuare una denuncia presso il più vicino posto di Guardia di Finanza.

Quando si decide di effettuare una denuncia di questo tipo non è necessario dichiarare la propria identità. In questo modo si garantisce la tutela dei lavoratori che temono ritorsioni sul posto di lavoro. Inoltre, se non si vuole procedere con la denuncia come tale, è possibile effettuare delle segnalazioni anonime per via telefonica, semplicemente chiamando la Guardia di Finanza .

Al lavoratore che vuole procedere con la denuncia, ma che per ragione di sicurezza non se la sente  di esporsi in prima persona, viene anche fornito un ulteriore strumento, quello dei sindacati. Questi ultimi si espongono in prima persona nella risoluzione della eventuale controversia pacifica tra le parti e in tutte le attività necessarie alla preparazione della denuncia agli organi competenti (INAIL, INPS, Ispettorato del lavoro, ecc).

La denuncia per condizioni di lavoro non regolare può essere fatta da qualsiasi lavoratore, senza discriminazioni territoriali.

Effettuati i controlli da parte dei diversi organi competenti, nel caso in cui venissero rilevate delle inadempienze da parte del datore di lavoro, vengono emesse le sanzioni per il lavoro in nero, nella misura in cui il reato è stato commesso.

Parliamo di sanzioni a livello amministrativo, con il pagamento di una somma pecuniaria che deve andare a coprire anche tutte le tasse non versate nel periodo in cui il lavoratore si è dimostrato abbia lavorato sotto dipendenza in azienda. Per i casi di evasione fiscale più gravi, inoltre, è previsto che il reato nel penale,  fino ai 3 anni di reclusione.

Il lavoratore può  decidere di procedere anche per via giudiziaria intentando una causa contro il datore di lavoro, e richiedendo una somma economica come risarcimento per il periodo lavorativo illegale, più l’assunzione a norma di legge in azienda o un corrispettivo economico accettabile a discrezione del lavoratore.

Nel caso di mancati e omessi versamenti dei contributi ai lavoratori in nero l’articolo 116, co. 8 della Legge 23 dicembre 2000 n. 388 prevede dovranno versarli applicando al versamento una sanzione pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato del 5,5%.

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NUOVA RATEIZZAZIONE DEI DEBITI FINO A € 120.000

Il “Decreto Aiuti” ha previsto l’incremento, per le richieste di rateizzazione presentate dal 16.07.2022, da 60.000 a 120.000 euro, della soglia per ottenere la dilazione senza dover documentare la temporanea situazione di difficoltà.

Inoltre, per i provvedimenti di accoglimento delle richieste di rateizzazione presentate dal 16.07.2022, la decadenza si concretizza al mancato pagamento di otto rate, anche non consecutive, invece delle cinque precedentemente previste. In caso di decadenza tali carichi non potranno essere nuovamente rateizzati.

La decadenza della rateizzazione di uno o più carichi non preclude la possibilità di chiedere la dilazione del pagamento di carichi diversi .

Se invece si verifica la decadenza dal beneficio della rateazione relativamente a richieste presentate prima del 16.7.2022, il carico può essere nuovamente rateizzato se, alla data di presentazione della nuova richiesta, sia effettuato il pagamento delle rate scadute a tale data. In questo caso al nuovo piano di rateazione sono applicabili le novità introdotte dalla Legge 91/2022.

Per importi fino a 120.000 euro è possibile ottenere la rateizzazione o direttamente sul sito di “Agenzia delle entrate e della Riscossione” o compilando il modello R1 da inviare via pec agli specifici indirizzi riportati all’interno del modello stesso.

Sarà necessario dichiarare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà, ma senza aggiungere alcuna documentazione.

In questo caso si accede al piano ordinario che consente di pagare il debito fino a un massimo di 72 rate (6 anni), con rate costanti o crescenti in base alla preferenza espressa.

È bene ricordare che la soglia di 120.000 euro è riferita ad ogni singola richiesta di rateizzazione.

Se si accetta il piano di rateizzazione, l’Agenzia delle entrate-Riscossione,  finché il contribuente risulta in regola con i pagamenti delle rate non iscrive ipoteche o fermi amministrativi, né attiva alcuna procedura esecutiva nei confronti del contribuente.

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SFRUTTAMENTO LAVORATIVO: COME TUTELARSI

L’art. 603 bis del Codice penale ha introdotto il reato di sfruttamento del lavoro.

La condotta punibile è quella del datore di lavoro che «recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori».

Lo sfruttamento del lavoro è abbastanza facile da accertare attraverso il confronto tra le concrete condizioni di svolgimento del rapporto lavorativo con quelle previste dal contratto collettivo nazionale di riferimento. È difficile da provare ,invece, su come il datore di lavoro sia riuscito a convincere il lavoratore ad accertare determinate condizioni. Sicuramente c’è, in questo caso, un approfittamento dello stato di inferiorità o su altri elementi di disagio del lavoratore, tanto da fargli accettare quelle condizioni di sfruttamento lavorativo e salariale che, in assenza di condizionamenti, avrebbe senz’altro rifiutato.

La Corte di Cassazione ha precisato che questo stato di bisogno del lavoratore «non si identifica con una situazione di vulnerabilità che annienta in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, ma coincide comunque con una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, che limita la volontà della vittima e la induce ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose».

La norma del Codice penale si preoccupa anche di indicare in modo specifico gli indici rivelatori, che fanno ritenere la sussistenza del fenomeno illecito di sfruttamento del lavoro e dunque del reato. Essi sono:

  • i Ccnl, integrati dalle effettive condizioni di lavoro svolto;
  • il datore di lavoro che viola in modo sistematico il diritto dei suoi dipendenti a fruire del riposo, giornaliero e settimanale, o delle ferie, e li costringe a orari di lavoro eccessivi, risponderà sicuramente dell’illecito penale;
  • la «sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
  • la «sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti»: è il caso dei lavoratori alloggiati in condizioni precarie e di sovraffollamento.

Se i lavoratori sfruttati vengono esposti a «situazioni di grave pericolo» c’è una specifica aggravante che comporta un aumento da un terzo alla metà della pena base prevista per il reato di sfruttamento del lavoro, che è la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro «per ciascun lavoratore reclutato»: questo significa che l’entità della pena è commisurata al numero di lavoratori sfruttati, e, se il numero complessivo è superiore a tre, scatta l’aggravante dell’aumento di pena da un terzo alla metà.

Se, invece, i fatti sono commessi con violenza o minaccia, la pena della reclusione sale da un minimo cinque a un massimo di otto anni e la multa va da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Una nuova ordinanza della Corte di Cassazione ha, infine, confermato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, delle somme incassate dal titolare di un’azienda che impiegava lavoratori sottopagati. L’importo sequestrato è stato commisurato alla differenza tra le paghe corrisposte ai dipendenti e il salario loro spettante in base alle previsioni del contratto collettivo nazionale applicabile.

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PUO’ LA BANCA RIFIUTARE LA SURROGA DI UN MUTUO?

la legge Bersani specifica come la banca che eroga il mutuo non può impedire al proprio cliente di portarsi il suo debito altrove. Nessuna legge però indica che l’altra banca, cioè quella in cui si sono trovate delle condizioni più convenienti, sia obbligata ad acconsentire al passaggio.

La giurisprudenza ha previsto che possa esserci il passaggio di un mutuo in corso da una banca ad un’altra. Devono essere, però, rispettate delle condizioni per poter fare la surroga del finanziamento.

Innanzitutto  il nuovo mutuo deve avere un importo pari o inferiore al debito residuo nel momento in cui viene effettuato il passaggio. Le spese relative al trasferimento, inoltre, sono da imputare alla nuova banca.

La durata del piano di ammortamento ed il tipo di tasso possono essere modificati.

Inoltre deve essere cancellata la vecchia ipoteca sull’immobile ed è necessario iscriverne una nuova a favore della banca presso la quale avviene il passaggio.

Infine, è bene sapere che non è possibile cambiare gli intestatari e i garanti del mutuo originale, a meno che la banca lo proponga per l’importo residuo o per altre circostanze favorevoli.

La banca che ha erogato il finanziamento non può mai rifiutare il passaggio del mutuo in corso verso un altro istituto di credito. Il nulla osta, dunque, deve essere rilasciato, sempre che venga rispettata la procedura relativa alla surroga del mutuo.

A rifiutarsi può essere il nuovo istituto di credito per diversi motivi:

  • l’importo del finanziamento ancora da restituire è inferiore a 50mila euro: una somma bassa comporta interessi bassi, cioè un guadagno poco interessante per la banca;
  • il reddito del mutuatario è cambiato rispetto a quando gli era stato concesso il finanziamento dalla vecchia banca;
  • ci sono stati dei problemi in precedenza con il pagamento di alcune rate del mutuo;
  • il valore dell’immobile si è ridotto in maniera consistente e non rappresenta più una garanzia valida;
  • la fine del piano di ammortamento è vicina e la nuova banca si rende conto che la differenza tra le spese per accendere un nuovo mutuo e il guadagno che questo procura non rappresenta per la banca un guadagno significativo.

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TRUFFE SUL RIMBORSO CANONE RAI: COME FARE ATTENZIONE

Molte sono le segnalazioni di false e-mail provenienti dall’Agenzia delle Entrate in cui viene comunicato ai contribuenti il rimborso del canone Rai.  Affinché questo avvenga è richiesto di compilare un modulo all’interno di un sito dal nome fraudolento www.rimborso.rai.it. L’appello è stato in seguito ripreso e diramato dalla Polizia Postale italiana.

Non è la prima volta che e-mail di questo tipo, associate all’Agenzia delle Entrate, vengono inviate a migliaia di persone.  È necessario verificare se la mail in questione provenga da un indirizzo direttamente collegato all’Agenzia, se questo non avviene, è evidente che le mail nascondono un evidente tentativo di truffa.  L’Ente raccomanda di cestinare immediatamente questi messaggi, di non cliccare sui collegamenti presenti e, soprattutto, di non fornire i propri dati anagrafici e gli estremi della propria carta di credito nella pagina web indicata nella mail.

Di fronte a mail di questo tipo, è bene ricordarsi che l’Agenzia delle Entrate non comunica che è possibile ricevere dei rimborsi effettuando delle operazioni via e-mail e, soprattutto, non chiede mai ai contribuenti di fornire informazioni sulle loro carte di credito.

La denuncia per questi tentativi di truffa è stata fatta anche dalla Rai stessa. In generale, per quanto riguarda i rimborsi del canone, questi vengono addebitati direttamente dalle società di energia elettrica sulla prima bolletta utile.

Ricordiamo anche che, per ottenere un rimborso del canone Rai, è necessario che si riscontrino specifiche condizioni, quali:

  • il pagamento deve essere stato effettuato due volte, ad esempio con addebito sulla pensione o con addebito sulla bolletta elettrica intestata a un altro componente della famiglia;
  • il canone viene addebitato nella bolletta dell’elettricità anche se l’utente ha comunicato di non possedere un televisore in casa;
  • il canone viene addebitato anche se l’utente ha più di 75 anni e possiede un reddito inferiore a 8.000 euro.

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LE TUTELE DEL CONSUMATORE NELL’ACQUISTO DI SERVIZI DIGITALI

Grazie al d.lgs. n. 170/2021 e n. 173/2021 i consumatori possono ora accedere alle tutele previste dal Codice anche nel caso di contratti che riguardino la fornitura di contenuti o servizi digitali.

Ma cosa si intende per “contenuto digitale”?  ci riferiamo a qualsiasi dato che sia prodotto e fornito in formato digitale. Pensiamo all’acquisto di un film in formato digitale o di un software antivirus. Si considerano, invece “servizi digitali”  gli abbonamenti a piattaforme che forniscono un servizio streaming (ad esempio Dazn, Netflix o Amazon Prime video), o qualsiasi programma o app che permetta di condividere, salvare o creare contenuti digitali ( social networks e i servizi cloud).

Essendo la privacy un diritto fondamentale soprattutto quando si acquista un servizio digitale, il consumatore avrà diritto ad essere informato su quali saranno le modalità di raccolta e utilizzo dei propri dati personali e dunque a chi saranno ceduti, per quali fini e per quanto tempo.

Con il d.lgs. n. 170/2021 non solo il consumatore gode di maggiori tutele negli acquisti di beni mobili, ma il venditore viene investito di maggiori obblighi. Infatti, tra i beni di consumo rientrano anche i beni con elementi digitali come smartphone, smartwatch o smartTv.

Con essi si intende qualsiasi bene mobile materiale che incorpora un contenuto digitale o un servizio digitale, in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni del bene.

Le ricadute sulla tutela dei consumatori dovute a questa inclusione sono diverse. Dal momento che si tratta di prodotti con elementi digitali il difetto si considererà esistente al momento della consegna del bene qualora dovesse venire ad esistenza entro un anno dall’acquisto e senza che il consumatore sia tenuto a provarlo.

 Ma la novità più significativa riguarda l’obbligo di ripristinarne la conformità da parte del commerciante: trattandosi di beni con elementi digitali, è possibile che con il decorrere del tempo si renda necessario aggiornare il software incorporato. Il venditore è tenuto a fornire tutti gli aggiornamenti necessari per il funzionamento del bene e per il periodo eventualmente pattuito o, se non ne ha le competenze, dovrà contattare il produttore del bene affinché questo li fornisca al consumatore. L’ obbligo di erogazione degli aggiornamenti risponde poi alla necessaria pretesa del consumatore di veder tutelata la propria privacy. Un prodotto non aggiornato potrebbe esporre i suoi utilizzatori a furto di dati o, addirittura, a illegali intercettazioni ambientali. Dunque, il professionista che vende il bene è tenuto ad assicurare la conformità dello stesso anche dal punto di vista della protezione della privacy.

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PRODOTTI ACQUISTATI DIFETTOSI: COME PROCEDERE?

Quando un prodotto acquistato risulta difettoso, quali sono i termini per far valere la garanzia post vendita? Il Codice del Consumo stabilisce che nella garanzia post vendita, il termine per far valere i diritti del consumatore è di 2 anni dall’acquisto del bene. In caso di vendita di beni usati le parti possono limitare tale termine a 1 anno.

È sempre bene conservare tutti i documenti che attestino la data dell’acquisto (scontrino, fattura, ecc.) e la data di consegna del bene, in caso il difetto venga scoperto successivamente al perfezionamento dell’acquisto.  Un consiglio utile è quello di fotocopiare gli scontrini per evitare che la carta termica nella quale sono stampati si deteriori nel tempo.

Il venditore deve in tutti i casi garantire che il prodotto consegnato abbia tutte le caratteristiche da lui promesse o indicate dall’etichetta.

I beni devono:

  • essere idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
  • essere conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del campione o modello mostrato al consumatore;
  • avere qualità e prestazioni di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto delle dichiarazioni pubblicitarie fatte anche dal produttore.

Ma in che modo far valere la garanzia?

È stato ampliato da 6 mesi ad un anno il periodo nel quale il difetto si presume sia già esistente al momento della consegna. Spetta, in questo caso, al venditore dimostrare che il vizio non era originario ma è stato provocato dal consumatore.

Quando il prodotto è ancora coperto da garanzia la legge lascia alla volontà dell’acquirente la scelta tra la riparazione o la sua sostituzione. Quando però la riparazione o la sostituzione sono impossibili, allora l’acquirente può scegliere tra altri due rimedi: una riduzione del prezzo proporzionale alla diminuzione del valore del bene oppure la risoluzione del contratto.

Per attivare la garanzia c’è solo bisogno di dimostrare l’acquisto e di denunciare il vizio al venditore.

È bene ricordare che il consumatore deve rivolgersi sempre al venditore: se il venditore si rifiuta di accettare il bene in riparazione commette una grave scorrettezza. In questo caso si consiglia di inviare un reclamo scritto direttamente al direttore del punto vendita oppure, se si tratta di catene, direttamente ai dirigenti della rete (ad esempio Mediaworld, Euronics, Unieuro, etc.).

Il successivo passo, qualora i dirigenti della rete si rifiutassero di sostituire il prodotto, è quello di effettuare una segnalazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Ovviamente, qualora decorrano i termini della garanzia legale, il consumatore potrà utilizzare la garanzia convenzionale che generalmente ha una durata maggiore.

Da quando decorre il termine per la contestazione dei difetti del prodotto?

La garanzia parte da quando l’acquirente si accorge del difetto. Il difetto del prodotto deve essere denunciato al venditore (entro il termine di due mesi solo per le vendite concluse entro il 31 dicembre 2021) a partire dalla data in cui l’acquirente lo ha scoperto.

È bene sapere che il termine decorre dal momento in cui il compratore ha acquisito certezza oggettiva dell’esistenza del difetto.

Questo vuol dire che poiché la durata della garanzia è, come detto, di due anni, il difetto potrebbe manifestarsi ed essere quindi scoperto dal consumatore anche in prossimità della scadenza.

La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio (anche con un comportamento concludente, ad esempio prendendolo in consegna per la riparazione) o lo ha occultato all’atto della vendita.

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ATTENZIONE ALLE TRUFFE ONLINE QUANDO SI PRENOTA UNA CASA VACANZE

Capita spesso di prenotare online la sistemazione per le vacanze ed è solito  che accanto ad annunci veritieri si nascondano inserzioni ingannevoli. Può trattarsi di case meno belle e accoglienti di quanto promette l’annuncio, ma si può arrivare a vere e proprie truffe con turisti che arrivano sul luogo di villeggiatura dopo aver pagato la caparra o l’intero soggiorno per poi scoprire che la casa non esiste.

Come evitare quindi una truffa nel momento in cui si prenota online la propria vacanza?

 Uno dei consigli da seguire è quello di non affidarsi a siti improvvisati o peggio agli annunci sui social. Meglio utilizzare le piattaforme più conosciute così da poter anche leggere le recensioni di chi ha prenotato la casa prima.

 È importante anche cercare di capire quanto le immagini del sito siano reali. Un consiglio è quello di utilizzare un motore di ricerca web di immagini su cui caricare le foto presenti nell’annuncio e controllate così che non si tratti di foto da repertorio ma di scatti di una casa reale.   

Inoltre, un altro consiglio è quello di cercare la strada indicata sulle mappe disponibili sul web e capire se si tratta di un posto veritiero.

Altra cosa da fare, per conferme ulteriori, è quella di contattare l’inserzionista al fine di chiedere informazioni e foto aggiuntive sull’immobile e approfondire con una chiacchierata chiedendo il numero di telefono, possibilmente fisso.

Bisogna anche capire se il prezzo è adeguato. In questo caso è opportuno fare una ricerca sulla zona tramite la piattaforma in cui è presente l’annuncio, utilizzando anche un motore di ricerca. Se il prezzo è troppo basso difficilmente si tratta di un affare, ma è più probabile che sia una fregatura.  

Ricordatevi anche che, qualora venga richiesta una caparra, questa è legittima, purché non superiore al 20% del totale.

Attenzione, inoltre, a non inviare documenti personali: carta d’identità, patente o passaporto non devono mai essere condivisi in quanto potrebbero essere utilizzati per fini poco leciti.   

Per quanto riguarda i pagamenti, è consigliabile eseguirli solo con metodi tracciati. Se chiedono un bonifico, l’IBAN bancario deve essere riconducibile a un conto corrente italiano che è possibile verificare tramite strumenti come IBAN calculator. Diffidate da chi vi chiede la ricarica di una prepagata, è uno dei campanelli di allarme che potrebbe essere una truffa.

Infine, l’ultimo consiglio è quello di tenere traccia di tutte le conversazione con il proprietario di casa. Esse potranno essere utili in caso di problemi che andranno denunciati.

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