Archivio mensile Settembre 28, 2022

IN QUALI CASI LA COMPAGNIA ASSICURATIVA NON PAGA?

Molti pensano che una volta sottoscritta una buona assicurazione auto per la responsabilità civile si sia protetti in qualsiasi caso, indipendentemente dalla colpa che si possa avere nel sinistro.

Purtroppo questo non è del tutto vero. Esistono infatti alcune clausole specifiche che possono prevedere un contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. Parliamo, in questo caso, di diritto di rivalsa.

Per quest’ultimo si intende il diritto della compagnia assicurativa a recuperare nei confronti del contraente quanto pagato a terzi per danni da lui causati in determinate condizioni, così come previsto da contratto.

Ci riferiamo a tutte quelle situazioni in cui ci sia stata una grave mancanza o si sia verificato un comportamento scorretto dell’assicurato che ha causato il sinistro. Pensiamo, ad esempio, alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Ma in quali altri casi l’assicurazione potrebbe chiederci di risarcire una parte dei danni ?

  • Guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.

In questi casi è lecito che la compagnia assicurativa chieda all’assicurato di risarcirla di una parte di quanto pagato alla controparte. Le tipologie di rivalsa applicate sono diverse in base alle compagnie e al contratto sottoscritto.

Molte assicurazioni prevedono una rivalsa limitata, ovvero si fanno carico del risarcimento del danno solo per la parte eccedente una determinata quota  mentre il resto rimane a carico dell’assicurato. Nella maggior parte dei casi queste limitazioni si applicano solo al primo sinistro provocato da alcool o droghe, mentre dal secondo in poi l’intero risarcimento sarà a carico dell’assicurato. Alcune compagnie, addirittura, prevedono la totale esclusione dal risarcimento fin dal primo sinistro.

  • Patente scaduta o conducente non abilitato

Alcune assicurazioni rinunciano alla rivalsa in caso di patente scaduta da meno di 12 mesi, a condizione che venga rinnovata entro 45 giorni dal sinistro.

  • Veicolo soggetto a fermo amministrativo

La compagnia potrebbe rivalersi sull’assicurato per i danni risarciti alla controparte di un eventuale sinistro da te provocato.

  • Trasporto di passeggeri in soprannumero

Se sulla carta di circolazione del  mezzo c’è indicato che può trasportare fino a 5 persone, se se ne fanno salire 6 o più e si provoca un incidente anche lieve la compagnia chiederà il risarcimento di quanto corrisposto per eventuali lesioni ai passeggeri in eccesso.

  • Dichiarazioni false in fase di stipula del contratto

Tutte le informazioni fornite in fase di sottoscrizione di una polizza assicurativa servono alla compagnia per determinare il livello di rischio del profilo dell’assicurato e calcolare così il premio. Se vengono fornite informazioni false questo potrebbe rivalersi sul conducente in caso di sinistro con colpa.

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COSA PUO’ O NON PUO’ ESSERE PIGNORATO ?

Un contribuente che non paga una cartella esattoriale ricevuta o un debito fiscale, va incontro a provvedimenti stabiliti dal Codice di Procedura Civile che comprendono azioni atte al recupero della somma insoluta. Il pignoramento tuttavia non riguarda solo lo stipendio, ma potrebbero venir sequestrati molti altri beni personali.

Purtroppo si sentono tutti i giorni, soprattutto in questo difficile periodo di grave crisi economica, le testimonianze di persone che non possono più permettersi di pagare le proprie cartelle esattoriali perché sono realmente in condizioni di povertà assoluta, dopo aver perso il lavoro e quindi risultare disoccupate da tempo.

Se pensiamo che in Italia le famiglie in povertà assoluta sono quasi 2 milioni (7,5% del totale), risulta davvero difficile per la maggior parte dei cittadini far fronte ai propri debiti.

Diversamente sono, invece, i mancati pagamenti dei “furbetti” che cercano ogni modo per arricchirsi, evitando di intestare alla propria persona i beni, in modo da risultare fiscalmente in un situazione di disagio.

Ma cosa può essere effettivamente pignorato e cosa no?

Il Codice di Procedura Civile gestisce il pignoramento per debiti di natura fiscale, tributaria e di cartelle esattoriali, elencando nell’articolo 514 quali sono i beni che possono essere sequestrati e quali invece non possono finire nelle mire dell’esecuzione forzata.

L’Agenzia delle Entrate che procede con un pignoramento può decidere di appropriarsi:

  • della casa di abitazione principale del contribuente;
  • di 1/5 dello stipendio ;
  • dell’auto od il veicolo essenziale per svolgere l’attività lavorativa o per attività salvavita.

I beni che possono essere sequestrati per primi sono quelli facilmente vendibili, così da estinguere il debito.

È bene sapere che esistono beni che non possono essere oggetto di pignoramento. Ci riferiamo a quei beni che i creditori non potranno mai aggredire e che nessuno può mai sottrarre al debitore.

Parliamo di beni essenziali allo svolgimento della vita del debitore e della sua famiglia quali, ad esempio: la fede nuziale, vestiti e biancheria, i letti, i tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe ed i fornelli di cucina anche se a gas o elettrici, la lavatrice.

Non possono, inoltre, essere pignorati, beni commestibili e combustibili, armi e oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio.

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COSA SUCCEDE IN CASO DI UN INCIDENTE CAUSATO DA UN ANIMALE?

Secondo quanto citato dal Codice della strada «il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile».

La condotta di un automobilista, quando si trova in una zona in cui può spuntar fuori da un momento all’altro un animale selvatico, deve essere alquanto prudente.

Se, ad esempio, in un certo punto della strada, precedente a quello in cui avviene l’avvistamento, è stato collocato l’apposito cartello di pericolo che segnala la presenza in zona di animali selvatici, in caso di incidenti, l’automobilista potrebbe non aver diritto ad alcun risarcimento se la propria guida non è stata attenta.

Quindi l’incidente con animale può essere colpa del conducente, almeno in parte, quando egli non adotta le dovute cautele pur essendo stato avvertito dal segnale di pericolo.

Infatti, non bisogna dare per scontato il risarcimento del danno da incidente stradale causato da un animale. Non è possibile, quindi, chiedere all’ente pubblico proprietario della strada di recitarla completamente, dal primo all’ultimo chilometro per evitare un sinistro.

Questo significa che non c’è diritto al risarcimento del danno subito da chi va a impattare contro l’animale o, per evitare di investirlo, contro il muro di contenimento. Anche se il conducente o uno dei passeggeri riportano nello schianto delle lesioni personali permanenti.

Secondo, infatti, una sentenza della Corte d’Appello, si può evitare che un animale selvatico finisca in mezzo alla carreggiata «solo ricorrendo alla recinzione di tutte le strade in modo continuativo», cosa, però, «non suscettibile di pratica attuazione e, quindi, inesigibile». Va da sé che se non si può pretendere dal proprietario della strada una responsabilità del genere, non si può nemmeno chiedere di avere un risarcimento.

Diversamente la Cassazione ha stabilito che, in caso di incidente stradale causato da animali selvatici, c’è il risarcimento per l’automobilista e che deve essere pagato dall’ente proprietario della strada stessa, che si tratti di Comune, Provincia o Regione.

Secondo la Corte, infatti, l’automobilista che rimane vittima di un incidente a seguito del passaggio improvviso di un animale ha diritto ad essere risarcito dalla Pubblica amministrazione a norma dell’articolo del Codice civile.

«Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito».

Attenzione però: bisogna valutare differentemente il caso in cui che l’animale sbucato all’improvviso sulla carreggiata è di proprietà di un privato che non ha controllato la recinzione in cui lo tiene in custodia e che, quindi, non ha impedito la sua fuga.  Non trattandosi di una specie selvatica protetta, la responsabilità ricade sul privato che è chiamato a pagareil risarcimento.

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E’ POSSIBILE INSTALLARE, ALL’INTERNO DI UN’AREA CONDOMINIALE, UNA TELECAMERA CHE RIPRENDA LA PROPRIA AUTO?

Si può installare una telecamera dall’abitazione e puntarla in direzione della propria auto per disincentivare furti e atti vandalici?

Per stabilire se la telecamera puntata sull’auto viola la privacy degli altri condomini è necessario verificare come l’impianto è stato realizzato. Bisogna valutare l’angolatura dell’obiettivo, fin dove la telecamera riesce a riprendere, quanto questa può influire sulla privacy dei vicini rivelando al titolare dell’impianto i movimenti altrui.

Secondo la giurisprudenza ciascuno è libero di utilizzare un sistema di videosorveglianza privato al fine di proteggere i propri beni come la casa, l’automobile, il garage .

La tutela della proprietà è un diritto riconosciuto tacitamente dalla Costituzione.

Dunque, il sistema di videosorveglianza privata, se posizionato all’interno di un condominio, non deve presentare il cartello con l’indicazione «zona sottoposta a controllo tramite telecamere». L’obbligo del cartello rimane invece per le telecamere installate dal condominio.

Attenzione però: la telecamera non può essere puntata in direzione della proprietà altrui.

In questo caso c’è il rischio di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata punito dall’articolo 615-bis del Codice penale con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

La rimozione della telecamera è dovuta solo se si prova che questa è lesiva alla propria riservatezza. In mancanza di tale prova o se la prova è generica, il giudice non può accogliere la richiesta di rimozione della videosorveglianza che pertanto deve ritenersi legittima.

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IN CHE MODO E’ POSSIBILE CONTESTARE I PROVVEDIMENTI DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

Per legge l’assemblea è l’organo decisionale di qualsiasi condominio.

A  fine di evitare inutili rallentamenti nella gestione dell’edificio, la giurisprudenza ha stabilito che tale potere sia condiviso con l’amministratore, al quale il Codice civile ha riconosciuto una limitata capacità decisionale in ordine a tutto ciò che rientra nella cosiddetta “manutenzione ordinaria”. Per quest’ultima si intende l’insieme degli interventi di scarso rilievo economico, soprattutto se resi necessari dalla normale usura del bene dovuto al suo prolungato e normale utilizzo.

È importante sapere che la legge riconosce all’amministratore un ruolo importante anche nelle decisioni relative ad atti di straordinaria manutenzione se questi sono ritenuti urgenti e non sia pertanto possibile attendere la convocazione dell’ assemblea.

Pensiamo ad una rottura improvvisa della tubazione oppure al crollo improvviso di una parte dell’edificio.

 Per poter agire contro l’amministratore, il Codice civile afferma che è ammesso ricorso all’assemblea e al tribunale.

Per contestare le decisioni di un amministratore condominiale, il condomino che si sente leso dalle decisioni prese, può decidere di far ricorso:

  • all’assemblea condominiale;
  • al giudice.

L’impugnazione di un provvedimento dell’amministratore davanti all’assemblea non richiede il  rispetto di alcun termine. Si può decidere di ricorrere all’assemblea anche dopo molti mesi, perfino dopo anni.

Dunque, il condomino che si lamenta del provvedimento dell’amministratore può decidere di  attendere la successiva convocazione dell’assemblea, la quale potrà avvenire anche dopo molto tempo; o chiedere egli stesso la convocazione.

Tuttavia la legge stabilisce che la richiesta di convocazione dei condomini obbliga l’amministratore a provvedere alla formazione della stessa solo se proviene da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.

Nel momento in cui l’assemblea, convocata per decidere sul ricorso del condomino contro la decisione dell’amministratore, dovesse approvare il provvedimento impugnato dall’amministratore, il condomino dissenziente potrebbe impugnare quest’ultima deliberazione davanti al giudice.

Il ricorso deve avvenire entro 30 giorni dalla delibera assembleare.

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MULTA ZTL: COME CONTESTARLA?

La multa all’interno di zone a traffico limitato (ZTL) viene effettuata attraverso sistemi di rilevazione di telecamere. Dunque l’automobilista riceve la contravvenzione direttamente presso l’indirizzo della propria residenza per conto del Comune.

È necessario sapere che la raccomandata con la multa deve essere spedita entro 90 giorni da quando è stata commessa l’infrazione. In difetto di questo presupposto la multa è nulla e può essere impugnata.

La data a cui fare attenzione è la data di spedizione e non quella di notifica al cittadino trasgressore.

La sanzione per passaggio in zona ZTL va da un minimo di 80 euro a un massimo di 332 euro.

Se si decide di pagare entro 5 giorni da quando la multa viene notificata, si può usufruire dello sconto del 30% applicato sul minimo, ossia su 80 euro.

Questa riduzione non è possibile se si decide di procedere con il ricorso al giudice.

Se invece il conducente paga dopo i 5 giorni ma nei primi 60 giorni è tenuto a corrispondere la multa in misura ridotta, ossia 80 euro più le spese di notifica.

Per il pagamento dopo 60 giorni, si deve corrispondere un importo pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa (ossia la metà di 332 pari a 166 euro) più le spese di procedimento e notifica. Successivamente, ogni sei mesi scattano gli interessi del 10%.

Per quanto riguarda i punti decurtati dalla patente, il passaggio nelle zone a traffico limitato non fa perdere alcun punto al conducente. La sanzione è prettamente di tipo amministrativo.

Ma come contestare una multa per passaggio in zona a traffico limitato?

Il conducente che vuole procedere al ricorso ha, come in tutti gli altri casi per violazione del codice della strada, due alternative:

  • ricorrere entro 30 giorni al Giudice di Pace;
  • spedire al Prefetto entro 60 giorni un atto di ricorso.

Nel primo caso bisognerà sostenere i costi del contributo unificato (pari a circa 40 euro) e partecipare alle udienze; se tuttavia si perde, il giudice conferma l’importo minimo della sanzione. Nel secondo caso invece, parliamo di un ricorso completamente gratuito. Tuttavia, in caso di rigetto, l’ordinanza del Prefetto ordina il pagamento della metà del massimo edittale, con conseguente aggravio dell’importo.

In questo caso, nei successivi 30 giorni si può sempre procedere con il ricorso al giudice di pace.

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COME ADDEBITARE ALL’AFFITUARIO LE IMPOSTE SULLA CASA

Per legge, il titolare dell’abitazione è tenuto a pagare l’Imu, mentre il pagamento della Tari spetta a chi, in quel momento, sta occupando l’abitazione ovvero l’affittuario.

In che modo, invece, è possibile addebitare entrambe le imposte all’inquilino?

Fermo restando che, per la legge, l’unico responsabile per il versamento dell’Imu e della Tari è il soggetto passivo d’imposta ovvero rispettivamente il proprietario e l’affittuario, il contratto di affitto può ben prevedere diversamente.

Si può facilmente  convenire che l’Imu gravi sull’affittuario per intero o solo in parte. Si tratta in questo caso di un accordo tra privati, che esplica effetti solo tra le parti e non nei confronti dello Stato.

Questo significa che, se l’inquilino non dovesse onorare l’impegno assunto, il responsabile del mancato pagamento resta il titolare dell’immobile contro il quale il Comune è tenuto ad agire.

La legittimità della clausola che scarica le tasse sulla casa sull’inquilino si fonda essenzialmente sull’assenza di divieti normativi espressi e sulla volontà delle parti di traslare gli oneri tributari come parte integrante del canone di locazione complessivamente dovuto dal conduttore.

Secondo la Cassazione, è legale far pagare all’inquilino le tasse sulla casa.

L’affittuario è tenuto a  corrispondere al proprietario dell’immobile il canone di locazione e le spese condominiali.

La misura delle spese condominiali viene fissata dal contratto di locazione.

Il contratto di locazione che prevede all’affittuario l’onere di corrispondere le tasse sulla casa non può quindi considerarsi nullo proprio perché esplica i suoi effetti non nei confronti del fisco ma solo tra le parti.

È  necessario però inserire un’apposita clausola nel contratto di locazione.

Ricordiamo che, il contratto di locazione tra le parti, per avere validità, deve essere regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate.

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A CHI SPETTA LA PRESUNZIONE DEL POSSESSO DELLA TV PER NON PAGARE IL CANONE RAI?

La presunzione che il contribuente possegga almeno un televisore se ha un’utenza di energia elettrica, si applica soltanto alle utenze domestiche ad uso residenziale. Sono, quindi, escluse le utenze non domestiche (per esempio, negozi e uffici) e quelle domestiche ove il contribuente non ha la residenza.

La Rai non è tenuta a dimostrare, qualora ci sia un contenzioso, che il contribuente è titolare o possessore di un apparecchio televisivo.

È  il cittadino tenuto a  provare che, in casa propria, non vi sia alcun apparecchio televisivo.

C’è dunque un’inversione dell’onere della prova. Il titolare della pretesa economica (in questo caso la Rai) è dispensato dalla prova, ma è sempre consentita la prova contraria.

Non è più solo la presenza di un impianto atto alla captazione di onde elettriche a far scattare la presunzione di possesso della televisione.  La stessa presunzione sussiste in caso di esistenza di una utenza per la fornitura di energia elettrica ad uso domestico con residenza anagrafica presso il luogo di fornitura.

Il cittadino che non possiede alcun televisore presso l’abitazione di residenza, per evitare il pagamento del canone Rai, deve presentare un’apposita dichiarazione sostitutiva in cui attesta, sotto personale responsabilità, che in nessuna delle abitazioni dove è attivata l’utenza elettrica intestata è presente un apparecchio tv sia proprio che di un componente della famiglia anagrafica. La dichiarazione ha efficacia annuale.

Inoltre, con lo stesso modello di dichiarazione, è possibile segnalare che il canone è dovuto in relazione all’utenza elettrica intestata a un altro componente della stessa famiglia anagrafica. Difatti, per le persone facenti parte della stessa famiglia anagrafica, il canone è dovuto una sola volta.

La presunzione, da parte del contribuente, di non possedere alcun apparecchio televisivo, viene disciplinata dall’autocertificazione sostitutiva che il cittadino è tenuto a presentare per non vedersi addebitato il canone rai in bolletta.

È bene sapere che, nel caso si dichiari il falso, per legge scattano le sanzioni anche di tipo penale.

Inoltre, la giurisprudenza riconduce l’obbligo di pagamento del canone Rai anche al semplice possesso e non solo alla titolarità dell’apparecchio televisivo. Se in casa l’apparecchio televisivo è stato acquistato da altro soggetto, non è questo un buon motivo per essere dispensati dal pagamento del canone stesso.

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PORTIERA AUTO APERTA: DI CHI E’ LA RESPONSABILITA’ DEL SINISTRO?

Esiste una specifica norma del Codice della strada che stabilisce cosa succede a chi apre o lascia aperto lo sportello incautamente. Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, la disattenzione nell’aprire la portiera che fa cadere una moto e provoca il decesso del conducente costituisce il reato di omicidio colposo.

In caso di incidente la legge sancisce il principio della presunzione di pari responsabilità. In pratica, se il giudice non riesce ad accertare la responsabilità di una sola parte, allora dovrà stabilire che tutti i soggetti coinvolti sono ugualmente colpevoli.

Questo principio appena descritto non viene applicato nel caso di sinistro causato dall’apertura improvvisa della portiera. Esiste una specifica norma del Codice della Strada che disciplina il caso in questione.

La giurisprudenza afferma come sia assolutamente vietato aprire le porte di un veicolo o lasciarle aperte senza essersi assicurato che ciò non costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada.

La violazione di questa norma è punibile con una sanzione amministrativa da 42 a 173 euro.

Quindi nell’ipotesi di sinistro causato da una portiera aperta si presume che la responsabilità sia proprio di chi ha aperto lo sportello, dal momento che c’è stata una condotta poco negligente.

È quindi confermato che chi lascia la portiera aperta oppure la apre all’improvviso causando un incidente deve risarcire i danni.

Ma attenzione: se però dall’incidente dovessero derivare danni alla persona, c’è il rischio che si incorra in responsabilità penale.

Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione infatti, risponde di omicidio colposo l’automobilista che ha parcheggiato la vettura e ha aperto lo sportello anteriore senza essersi assicurato che ciò non costituisse pericolo per gli altri utenti della strada, causando così la caduta di una moto e la conseguente morte del motociclista.

Per cui prima dell’apertura dello sportello della propria autovettura è sempre bene controllare, tramite gli specchietti retrovisori, il sopraggiungere di altri veicoli sulla carreggiata, al fine di evitare sinistri.

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PROBLEMI NELL’ACQUISTO DELLA CASA: QUAL E’ LA RESPONSABILITA’ DELL’AGENTE IMMOBILIARE?

Quali sono i doveri del mediatore immobiliare nella compravendita di un appartamento ?

Se ci troviamo di fronte a un condono non perfezionato, a una causa in corso che grava sull’abitazione o sul condominio che ne potrebbe compromettere il valore di acquisto, che responsabilità ha l’agente immobiliare?

Il rapporto tra venditore effettivo, potenziale acquirente e agente immobiliare è disciplinato dal Codice Civile all’articolo 1754, il quale cita che: “è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza“ .

L’articolo 1759 ci spiega come l’agente immobiliare deve fornire le informazioni che sono in suo possesso e che possono anche solo indirettamente incidere sulla conclusione dell’affare.

Attenzione però: la legge non disciplina esattamente se l’agente immobiliare deve procurarsi tutte le informazioni sull’immobile che possono influire sulla conclusione dell’affare o deve limitarsi a non omettere una o più informazioni ricevute dal venditore.

L’agente ha l’obbligo, secondo la legge, di fornire tutte le informazioni di cui è in possesso ma non è obbligato ad investire tempo e denaro per il reperimento di queste informazioni.

Il lavoro del mediatore deve quindi rispondere al principio di correttezza in quanto egli ha il dovere di non omettere informazioni che potrebbero modificare le sorti dell’affare o portare ad una ridefinizione delle condizioni di acquisto o di vendita.

L’agente immobiliare ha il compito di fornire assistenza diretta al venditore per il reperimento della documentazione necessaria a stipulare il rogito dinnanzi al notaio. È, dunque, suo compito richiedere le planimetrie catastali, i nulla osta sui condoni, le ricevute pagamento rate del condono, le concessioni o licenze edilizie.

Dovrà richiedere anche l’atto di provenienza dell’immobile ossia qualsiasi atto  con cui il venditore dell’immobile ha assunto al piena proprietà del diritto a vendere a terzi l’immobile.

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