L’art. 603 bis del Codice penale ha introdotto il reato di sfruttamento del lavoro.
La condotta punibile è quella del datore di lavoro che «recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori».
Lo sfruttamento del lavoro è abbastanza facile da accertare attraverso il confronto tra le concrete condizioni di svolgimento del rapporto lavorativo con quelle previste dal contratto collettivo nazionale di riferimento. È difficile da provare ,invece, su come il datore di lavoro sia riuscito a convincere il lavoratore ad accertare determinate condizioni. Sicuramente c’è, in questo caso, un approfittamento dello stato di inferiorità o su altri elementi di disagio del lavoratore, tanto da fargli accettare quelle condizioni di sfruttamento lavorativo e salariale che, in assenza di condizionamenti, avrebbe senz’altro rifiutato.
La Corte di Cassazione ha precisato che questo stato di bisogno del lavoratore «non si identifica con una situazione di vulnerabilità che annienta in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, ma coincide comunque con una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, che limita la volontà della vittima e la induce ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose».
La norma del Codice penale si preoccupa anche di indicare in modo specifico gli indici rivelatori, che fanno ritenere la sussistenza del fenomeno illecito di sfruttamento del lavoro e dunque del reato. Essi sono:
- i Ccnl, integrati dalle effettive condizioni di lavoro svolto;
- il datore di lavoro che viola in modo sistematico il diritto dei suoi dipendenti a fruire del riposo, giornaliero e settimanale, o delle ferie, e li costringe a orari di lavoro eccessivi, risponderà sicuramente dell’illecito penale;
- la «sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- la «sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti»: è il caso dei lavoratori alloggiati in condizioni precarie e di sovraffollamento.
Se i lavoratori sfruttati vengono esposti a «situazioni di grave pericolo» c’è una specifica aggravante che comporta un aumento da un terzo alla metà della pena base prevista per il reato di sfruttamento del lavoro, che è la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro «per ciascun lavoratore reclutato»: questo significa che l’entità della pena è commisurata al numero di lavoratori sfruttati, e, se il numero complessivo è superiore a tre, scatta l’aggravante dell’aumento di pena da un terzo alla metà.
Se, invece, i fatti sono commessi con violenza o minaccia, la pena della reclusione sale da un minimo cinque a un massimo di otto anni e la multa va da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Una nuova ordinanza della Corte di Cassazione ha, infine, confermato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, delle somme incassate dal titolare di un’azienda che impiegava lavoratori sottopagati. L’importo sequestrato è stato commisurato alla differenza tra le paghe corrisposte ai dipendenti e il salario loro spettante in base alle previsioni del contratto collettivo nazionale applicabile.
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