Archivio mensile Settembre 30, 2022

TRUFFA DA EMAIL CON RICATTO: COME COMPORTARSI

Può accadere di ricevere email con ricatto all’interno delle quali viene richiesta una certa somma di denaro perché il consumatore è stato beccato a visitare siti porno. Stiamo parlando di truffe alle quali spesso, molti consumatori abboccano.

La Polizia Postale ha scoperto che il tentativo di estorsione è opera di un gruppo internazionale di criminali che invia email in cui viene comunicato agli utenti che il loro account di posta elettronica è stato hackerato.

All’interno della email i criminali dicono di avere scoperto che l’utente visita un sito porno e di aver scaricato tutte le informazioni riservate su suo conto .

Inoltre, i criminali informano il consumatore di aver installato un virus sul suo computer attraverso il quale avrebbero avuto accesso alla webcam riuscendo a filmarlo in atti intimi.

L’utente viene, in questo modo, invitato a pagare un riscatto entro 48 ore pari a 300 dollari in bitcoin. In caso contrario i criminali si occuperanno di diffondere le immagini a tutti i contatti del consumatore.

Si tratta evidentemente di una truffa in quanto, come spiega la Polizia Postale, “è tecnicamente impossibile che chiunque, pur se entrato abusivamente nella nostra casella di posta elettronica, abbia potuto installare un virus in grado di assumere il controllo del nostro dispositivo, attivando la webcam o rubando i nostri dati”.

Ma cosa fare allora in questi casi?

I consigli da seguire sono:

  • mantenete la calma in quanto il criminale non può disporre di alcun filmato né di password dei profili social da cui ricavare la lista di amici o parenti;
  •  non pagate alcun riscatto: in questo modo si evitano altre minacce e altre richieste di denaro;
  • cambiate la password della email  scegliendone una particolarmente complessa e differente da altri profili social;
  •  abilitare meccanismi di autenticazione “forte”: ad esempio, all’inserimento della password,  associare l’immissione di un codice di sicurezza ricevuto sul telefono cellulare.

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IN CHE MODO DIFENDERSI DALLE TRUFFE ALL’HOME BANKING

Difendersi dai rischi informatici è molto importante al mondo d’oggi dove tutto avviene telematicamente. Anche all’interno del mondo bancario sono sempre più diffuse le iniziative di formazione del personale e campagne di sensibilizzazione della clientela.

Del resto la clonazione di una carta di credito rappresenta un costo per le banche che sono chiamate a rimborsare il correntista.

Ma quali sono le principali regole da seguire per operare online in modo comodo e sicuro?

Innanzitutto bisogna diffidare di qualunque richiesta di dati relativi a carte di pagamento, chiavi di accesso all’home banking o altre informazioni personali ricevute su qualsiasi canale digitale. Gli istituti bancari non chiederanno mai queste informazioni, anche in ragione di presunti motivi tecnici o di sicurezza.

Per connettersi all’home banking è consigliato scrivere direttamente l’indirizzo nella barra di navigazione. Non bisogna cliccare su link presenti su e-mail e sms, che potrebbero invece condurre il correntista su siti non corretti ma simili all’originale.

Un’attenzione particolare deve essere posta all’autenticità della connessione con la banca, controllando il nome del sito nella barra di navigazione.   

Si consiglia, inoltre, di controlla regolarmente le movimentazioni del conto corrente affinchè le transazioni riportate siano quelle realmente effettuate.

Bisogna diffidare di qualsiasi messaggio, anche se apparentemente autentico, ricevuto tramite e-mail, sms, social network, etc. che invita a scaricare documenti o programmi in allegato. Potrebbero contenere dei malware che si installano sul  pc.

È consigliato, inoltre, mantenere aggiornati software di protezione ed effettuare delle scansioni periodiche del pc.

Se il computer rallenta o si verifica l’apertura di finestre non richieste, potrebbero essersi verificate delle infezioni sospette .

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COME COMPORTARSI IN CASO DI OVERBOOKING?

Molti passeggeri non sanno che le compagnie aeree hanno il diritto di vendere più biglietti rispetto agli effettivi posti a sedere. Esse, infatti, si avvalgono di dati statistici per calcolare quanti biglietti vendere al fine di trarre un profitto elevato da ogni volo ed evitare di ritrovarsi con numerose disdette e troppe poche persone a bordo.

Capita, così, al viaggiatore di recarsi al banco del check in dell’aeroporto munito di regolare biglietto e prenotazione e sentirsi dire: “non abbiamo più posti disponibili”.

Secondo le statistiche, la percentuale di passeggeri che non si presentano al gate è compresa tra il 5 e il 15%.

È bene sapere che soltanto l’operazione di check-in e la corrispettiva emissione della carta d’imbarco assicurano che il posto venga assegnato definitivamente. Ecco perché si consiglia sempre di fare il check-in online, anziché aspettare di arrivare in aeroporto.

La prenotazione del volo, quindi, non assicura la disponibilità del posto in aereo.

Cosa fare quindi e come comportarsi in caso di overbooking?

La prima cosa che la compagnia aerea è tenuta a fare in caso di negato imbarco di un passeggero è un appello ai “volontari disposti a rinunciare alla prenotazione in cambio di benefici da concordare tra il passeggero interessato e il vettore aereo operativo” ai sensi dell’art. 4 del Reg. CE 261/2004.

La normativa europea stabilisce una serie di obblighi a cui le compagnie devono attenersi in questi casi. In caso di overbooking la compagnia aerea è obbligata ad offrire al passeggero una delle seguenti alternative :

  • il rimborso del prezzo del biglietto entro 7 giorni
  • il primo volo possibile fino a destinazione;
  • un volo in una data successiva.

Oltre a questo la compagnia è tenuta a dare un rimborso al passeggero che ammonta a  250 euro per i voli fino a 1.500 km; a 400 euro per i voli interni alla UE oltre 1.500 km e per tutte le altre tratte comprese tra 1500 e 3500 chilometri e a 600 euro per i voli che non rientrano nei punti precedenti.

Il passeggero ha inoltre diritto a  due telefonate o fax, telex o e-mail, pasti o rinfreschi e al pernottamento in albergo qualora sia necessario.

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ATTENZIONE ALLE APPLICAZIONI CHE VIOLANO LA NOSTRA PRIVACY

Accade spesso di scaricare, inconsapevolmente, sul nostro cell, delle App che si appropriano facilmente dei nostri dati personali. Basta semplicemente  prestare il consenso alla geolocalizzazione o accettare l’accesso ai propri contatti o alla galleria fotografica e la frittata è fatta: si finisce per cedere, inconsapevolmente, tutta una serie di dati relativi  al proprio profilo. Tutto questo ha delle conseguenza: pensiamo agli operatori pubblicitari che possono creare danni alla nostra privacy.

Alcuni studi  effettuati dimostrano, infatti, come tramite le coordinate GPS oppure i punti di accesso al WLAN possa essere tracciata la posizione del dispositivo mobile e dunque gli spostamenti dell’utente.

Dal momento che gli smartphone sono ormai sempre con noi, chi riesce a tracciarli, stila un profilo ricco di informazioni sui singoli utenti in possesso di tali dispositivi.

Dunque anche le applicazioni installate sul nostro telefono si prestano bene alla crescente smania degli operatori del settore di raccogliere dati personali.

Quando ci troviamo ad avere il nostro traffico dei dati prosperoso, spesso non sappiamo neanche di cosa si tratti perché il trattamento dei dati da parte di queste Applicazioni è poco trasparente .

È facilmente immaginabile come, se tutti i dispositivi “smart” possono essere associati ad una persona, sarebbe bene riflettere sulla facilità con la quale possono creare profili di comportamento utilissimi a chi si occupa di pubblicità.

Si chiede dunque una maggiore responsabilità a carico dei produttori dei dispositivi e i gestori di app.

Anche l’utente deve essere maggiormente informato circa l’utilizzo delle applicazioni.

Il consiglio è quello di disattivare la geolocalizzazione quando non necessaria, e magari di evitare di cliccare sui link pubblicitari.

Altro consiglio utile è quello di disinstallare le applicazioni ormai inutilizzate.

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DOPO QUANTO TEMPO UN DEBITORE SEGNALATO AL CRIF PUO’ CHIEDERE UN FINANZIAMENTO?

Diventa impossibile, per chi ha ricevuto una segnalazione al Crif, ottenere un finanziamento.

Ma che cosa è il Crif?

Si tratta di una banca dati che raccoglie tutte le informazioni sulla situazione finanziaria di ogni soggetto richiedente un prestito.

Qualsiasi istituto finanziario utilizza la banca dati Crif per conoscere lo status del cliente che va in banca per chiedere un prestito. Essere segnalato al Crif come cattivo pagatore vuol dire vedersi negata qualsiasi possibilità di ottenere credito.

La segnalazione al Crif avviene se si ritarda o si manca il pagamento di due rate consecutive di un finanziamento. La banca che ha corrisposto il prestito invia al cliente, 15 giorni prima di segnalarlo al Crif, una comunicazione di avviso sull’avvenuto ritardo. Il cliente ha 15 giorni di tempo in cui è ancora possibile evitare di essere segnalati saldando l’importo dovuto.

In caso di ulteriori ritardi, l’istituto di credito che eroga la liquidità segnalerà al Crif il nominativo del cattivo pagatore.

Ma quanto dura la segnalazione al Crif?

Dipende dalla gravità dell’insolvenza.

Se il cliente ha avuto ritardo di 2 rate che sono state successivamente sanate la  segnalazione al Crif  dura un anno di tempo dalla regolarizzazione, a condizione che nei 12 mesi i pagamenti siano sempre puntuali.

Se invece, parliamo di un ritardo di più di 2 rate  ma poi sanate, la segnalazione dura due anni dalla regolarizzazione, a condizione che nei 24 mesi sucvcessivi i pagamenti siano sempre puntuali.

Infine, per il ritardo di due o più rate non sanate la segnalazione avviene per la durata di tre anni dalla scadenza del contratto di finanziamento o dalla data in cui l’istituto di credito ha fornito l’ultimo aggiornamento.

La cancellazione al Crif avviene automaticamente allo scadere dei tempi stabiliti: solo allora sarà possibile richiedere un nuovo finanziamento.

Tutte le banche si affidano infatti al Crif per valutare l’affidabilità di un richiedente.

Nel caso in cui il debitore volesse  richiedere la cancellazione il Crif deve rivolgersi direttamente al proprio istituto di credito. È possibile, allo stesso modo, anche richiedere la modifica dei propri dati, se si ritiene siano sbagliati. 

Se si vuole prendere visione delle proprie informazioni presenti nella banca dati, è possibile farlo attraverso il modulo richiesta Crif.

Qual è quindi la soluzione se si ha bisogno di un prestito ma si è stati segnalati al Crif?

Una risposta potrebbe essere quella della cessione del quinto.

In questo modo viene stipulato un contratto di prestito attraverso il prelievo diretto di un quinto dello stipendio o della pensione. La garanzia viene data dal fatto che è lo stesso datore di lavoro, o l’ente previdenziale, a detrarre la rata mensile e versarla all’istituto di credito.

La cessione del quinto può essere richiesta sia dai pensionati che dai dipendenti privati o statali.

In questo caso non è necessaria alcuna garanzia, è invece obbligatoria per tutti la stipula di una polizza rischio vita.

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IL COSTRUTTORE DI UNO STABILE E’ TENUTO AL PAGAMENTO DELLE SPESE CONDOMINIALI?

Partiamo dall’idea che il condominio  nasce spontaneamente nello stesso momento in cui l’unico proprietario del palazzo o il costruttore vende un solo appartamento. Non è necessaria una delibera, una votazione o un regolamento.

Nel momento in cui nasce il condominio, scatta una regola prevista dal codice civile che obbliga tutti i condomini, anche se sono soltanto due, a partecipare alle spese condominiali in proporzione ai rispettivi millesimi.

Da ciò si evince che anche il costruttore deve pagare le spese di condominio ed è da ritenersi nulla la clausola del regolamento con cui questi si esonera da tale esborso finché non  ha venduto tutti gli appartamenti.

La norma del codice civile che stabilisce la regola della divisione delle spese condominiali secondo millesimi è inderogabile. A meno che tale regolamento non  sia stato approvato da tutti i condomini.

Attenzione però: nei contratti di vendita o nei regolamenti di condominio predisposti dal costruttore e allegati all’atto notarile viene spesso inserita una clausola con cui si prevede espressamente che il costruttore è esonerato dal pagamento di tutte o alcune spese condominiali.

La Cassazione in un primo momento ha parlato di illiceità di tali previsioni in quanto abusive perché imposte sulla parte debole.

Dopo non molto tempo, però, con una sentenza recente, è stata ritenuta valida la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore.

Questo accade però se il regolamento condominiale viene approvato all’unanimità.

Spesso però chi vende impone agli acquirenti, al momento del rogito, di accettare anche il regolamento stesso che, in questo modo, risulta essere voluto da tutti anche se con l’inganno.

Se analizziamo bene il codice civile, esso  da un lato dice che le spese condominiali vanno divise per millesimi ma poi stabilisce che ciò vale «salvo diversa convenzione». È possibile quindi un patto contrario, purché approvato all’unanimità.

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QUANDO LA BANCA E’ RESPONSABILE DEL FURTO DAL CONTO CON UTILIZZO DEL BANCOMAT?

Sappiamo tutti che, quando ci viene rilasciata una carta bancomat, la banca ci fornisce anche un codice pin grazie al quale possiamo comodamente effettuare operazioni dallo sportello. La custodia del predetto codice, ovviamente, spetta al titolare del conto corrente.

Cosa succede nel caso in cui qualcuno carpisce il nostro codice pin ed effettua prelievi da nostro conto corrente?

Che si tratti di istituto bancario oppure postale, il ragionamento non cambia. Entrambi sono tenuti a garantire la massima sicurezza nei confronti del cliente titolare di un conto corrente presso la loro sede.

Secondo la Corte di cassazione,  anche se il correntista è tenuto a conservare il pin, la banca non può sollevare eccezioni infondate di omessa custodia del pin secondo un proprio regolamento interno mai sottoscritto nelle forme previste dalla legge dai correntisti.

L’istituto bancario, quindi, ha l’onere di provare concretamente tale negligenza da parte del correntista.

Si, può, al contrario, affermare che sia del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, e dunque gli intermediari finanziari, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare del conto o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.

Pertanto l’istituto bancario, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, deve rispondere per il “furto” a danno del correntista.

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SI PARTE CON LA DEFINIZIONE DELLE LITI PENDENTI

Con risoluzione 50/2022  l’Agenzia delle entrate ha istituito i codici tributo per la definizione delle liti pendenti in Cassazione, inserita nel corpo della riforma del processo tributario (legge 130/2022). Finalmente si rende operativa questa nuova definizione del contenzioso consentendo il pagamento delle somme dovute per chiudere la partita giudiziaria.

La risoluzione, avente a oggetto “Istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello F24, delle somme dovute a seguito della definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti innanzi alla Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130”,  elenca i codici utilizzabili per chiudere le pendenze menzionate nella norma, la quale stabilisce delle percentuali di pagamento rispetto al valore della lite. Le percentuali di definizione agevolata vengono suddivise in due categorie:

  • la prima contenuta al comma 1 che riguarda “le controversie tributarie (…), per le quali l’Agenzia delle entrate risulti integralmente soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio e il valore delle quali, determinato ai sensi dell’articolo 16, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sia non superiore a 100.000 euro (…) previo pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia determinato ai sensi dell’articolo 16, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.”;
  • la seconda ipotesi invece è descritta al comma 2 secondo cui “Le controversie tributarie, (…) per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutto o in parte in uno dei gradi di merito e il valore delle quali (…) sia non superiore a 50.000 euro, sono definite, a domanda dei soggetti (…) previo pagamento di un importo pari al 20 per cento del valore della controversia (…)”.

La risoluzione , oltre ai codici tributo, riporta anche il provvedimento del direttore dell’Agenzia del 16 settembre 2022 recante modalità e termini di versamento.

È da considerare che il pagamento dell’importo da versare per la definizione deve avvenire in un’unica soluzione; non è ammesso il pagamento rateale; per ciascuna controversia autonoma è effettuato un distinto versamento; è esclusa la compensazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

Attenzione al codice ufficio che deve riportare quello delle Direzioni delle Entrate o uffici periferici o centri operativi a seconda dell’atto impugnato, e all’anno di riferimento. La definizione è circoscritta alle controversie tributarie pendenti che “si intendono quelle per le quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della presente legge (16/09/2022), purché, alla data della presentazione della domanda di cui al comma 8, non sia intervenuta una sentenza definitiva”.

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INCIDENTE STRADALE CON UN RIDER : COSA SUCCEDE?

Il Rider è oramai a livello internazionale il fattorino “new generation” che effettua consegne di cibo a domicilio. In effetti, il rider non lavora per supermercati, ristoranti o per altre aziende di tipo ristorativo, perchè egli riceve l’ordine, preleva il cibo e lo consegna a chi ne ha fatto la richiesta.

Il rider è un corriere addetto generalmente alla consegna di cibo a domicilio (pizza, panini ecc.),il quale si sposta essenzialmente in bicicletta o in motorino.

In genere il rider lavora per società di food delivery (Just Eat, Glovo, ecc.) in qualità di collaboratore autonomo: ciò significa che il rider non è, di norma, un lavoratore dipendente perché è quasi sempre un lavoratore autonomo, a differenza del fattorino il quale è un dipendente di un datore per il quale effettua, in modo stabile ed esclusivo, le consegne.

Per diventare rider, infatti, occorre semplicemente possedere uno smartphone e un mezzo proprio per effettuare le consegne, oltre che disporre di uno zaino per consegnare il cibo a domicilio e di una borsa termica.

Nel caso in cui un dipendente faccia un incidente con l’auto o con altro mezzo aziendale è la compagnia assicurativa dell’azienda a risarcire i terzi danneggiati. Tuttavia, se l’incidente è avvenuto per colpa del dipendente che era alla guida, allora l’azienda potrà conseguentemente rivalersi su di lui per ulteriori responsabilità.

Per ottenere il risarcimento del danno da parte del lavoratore, il datore di lavoro deve dimostrare la sua responsabilità, il danno subito dalla vettura e il nesso causale tra il danno subito e l’evento colposo.

Se la ricostruzione della dinamica dell’incidente evidenzia che lo stesso è stato prodotto dalla colpa del lavoratore e dal mancato rispetto degli obblighi previsti per la guida dei veicoli, l’azienda, oltre che chiedere al dipendente il risarcimento del danno provocato alla vettura, potrà anche agire a fini disciplinari nei suoi confronti, potendo giungere sino al licenziamento.

Quanto appena detto sinora si applica anche al rider che sia a tutti gli effetti un dipendente della società per cui lavora e che si avvale, quindi, del veicolo aziendale.

La situazione cambia quando il rider è soltanto un collaboratore autonomo delle società di food delivery.

In questa ipotesi, i rider hanno diritto alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali fornita da Inail e a un’assicurazione ulteriore per eventuali danni a cose o a terzi, che si dovessero verificare durante le consegne, indipendentemente dal mezzo utilizzato.

Restano invece a carico del rider gli obblighi assicurativi previsti dalla legge per il mezzo utilizzato. In altre parole, il motoveicolo del rider dovrà essere regolarmente assicurato così come prevede la legge per ogni mezzo che circola su strada pubblica.

Quindi il Rider è assicurato per gli infortuni che gli dovessero accadere durante lo svolgimento del lavoro; ed è assicurato per i danni a terzi e a cose solo mentre non è a bordo del suo motorino. Se causa un incidente mentre è alla guida, si applicherà la normale copertura assicurativa del proprio mezzo.

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LE SANZIONI PER L’USO DEL CELLULARE IN AUTO

L’articolo 173 del Codice della Strada disciplina chiaramente che è vietato al conducente di “far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore”.

Lo stesso Codice disciplina anche che è possibile ricorrere all’utilizzo “di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie”. Ma attenzione: durante l’utilizzo di questi sistemi, lo smartphone non va tenuto in mano dal momento che per la guida è necessario avere entrambe le mani libere.

Il cellulare in auto può essere utilizzato, purché con gli auricolari (solo su un orecchio, l’altro deve essere libero) o con il dispositivo Bluetooth o un altro sistema a vivavoce con comandi vocali.

La sincronizzazione con il dispositivo vivavoce deve essere fatta quando si è ancora fermi, prima di avviarsi.

Ridurre le fonti di distrazione mentre siamo alla guida è fondamentale per evitare incidenti stradali e l’uso del cellulare in auto è sicuramente uno dei comportamenti scorretti che possono mettere più a repentaglio la nostra sicurezza e quella degli altri.

Ma quali sono le sanzioni che vengono adottate a causa di un simile comportamento da parte del conducente?

La recente riforma del Codice della Strada ha ampliato il divieto a computer, notebook, tablet e dispositivi analoghi che presuppongano “anche solo temporaneamente l’allontanamento delle mani dal volante“.

I trasgressori vanno incontro a una sanzione pecuniaria che va da 165 a 660 euro, alla quale si aggiunge la decurtazione di 5 punti dalla patente. Le sanzioni non scattano solo se si sta conversando o se si sta chattando, ma per il semplice fatto di avere lo smartphone in mano, perché in questo si distoglie lo sguardo dalla strada.

Ma non solo: se si ripete la stessa infrazione nell’arco di un biennio, scatta la sospensione della patente da uno a tre mesi.

Ricordiamo che l’infrazione va contestata immediatamente dal momento che che l’agente che accerta la violazione deve fermare subito il conducente e notificare il verbale.

Se invece la multa è arrivata a casa, essa è valida solo se il verbale riporta con precisione gli estremi della violazione e i motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata.

La contestazione può infatti essere differita solamente se sia stato impossibile procedere a quella immediata. In caso contrario, si potrà invece presentare ricorso presso il Giudice di Pace competente per territorio. 

Ricordiamo che una simile infrazione può causare anche rincari sull’assicurazione.  La segnalazione avviene anche sul proprio attestato di rischio, il documento che certifica la storia assicurativa dell’intestatario della polizza, influendo negativamente sull’importo del premio da versare al rinnovo della polizza.

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